Ordinanza n. 257/99

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ORDINANZA N. 257

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 16, 17 e 18 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 9 ottobre 1998 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Donato Di Natale, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 1999.

  Visto l’atto di costituzione di Donato Di Natale;

udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

  Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da un ufficiale di polizia giudiziaria, il quale aveva proposto ricorso contro la decisione della commissione di disciplina di secondo grado per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che lo aveva ritenuto responsabile di illecito disciplinare applicando la sanzione della sospensione dall’impiego per un mese, la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 9 ottobre 1998, ha sollevato, in riferimento all'art. 102, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 16, 17 e 18 (inseriti nel capo III del titolo I, delle disposizioni relative alla polizia giudiziaria) del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale);

  che le disposizioni denunciate regolamentano le sanzioni, il procedimento ed i ricorsi disciplinari per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria relativamente alle trasgressioni che si riferiscono all’esercizio di tali loro funzioni, stabilendo, in particolare: che competente a giudicare dell’azione disciplinare, promossa dal procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto l’ufficiale o l’agente presta servizio, é una commissione composta da due magistrati, nominati dal consiglio giudiziario, e da un ufficiale di polizia giudiziaria, nominato dall’amministrazione di appartenenza dell’incolpato (art. 17); che contro la decisione della commissione può essere proposto ricorso a una commissione di secondo grado, la quale ha sede presso il Ministero di grazia e giustizia ed é composta da due magistrati, nominati dal Consiglio superiore della magistratura, e da un ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa amministrazione dell’incolpato; che contro le decisioni di secondo grado può essere direttamente proposto ricorso per cassazione per violazione di legge (art. 18);

  che il giudice rimettente ritiene che le commissioni di disciplina siano da qualificare come giudice speciale, la cui istituzione é vietata dall’art. 102, secondo comma, della Costituzione, essendo ammesso nei confronti delle decisioni della commissione centrale esclusivamente ricorso per cassazione per violazione di legge, e non invece gli ordinari rimedi giurisdizionali previsti per i provvedimenti amministrativi; le commissioni, inoltre, configurerebbero un giudice speciale di nuova istituzione, non salvaguardato dalla VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, in quanto in precedenza le sanzioni disciplinari nei confronti degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria erano applicate direttamente dal procuratore generale presso la corte d’appello (si veda l’ art. 229 cod. proc. pen. del 1930);

che la parte privata, ricorrente nel giudizio principale, si é costituita nel giudizio dinanzi alla Corte, per sostenere la fondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, esaminando una questione identica, con la sentenza n. 394 del 1998 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271: ossia di quella, tra le disposizioni denunciate, che valeva a configurare come giurisdizionale, anzichè come amministrativa, l’attività delle commissioni di disciplina, prevedendo che contro le decisioni della commissione centrale potesse essere direttamente proposto ricorso per cassazione per violazione di legge;

che, essendo venuta meno, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, la disposizione dalla quale derivava il vizio denunciato dal giudice rimettente, la questione ora proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 16, 17 e 18 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento all’art. 102, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 giugno 1999.