Ordinanza n. 244/99

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ORDINANZA N. 244

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito degli artt. 4, comma 2, 7, 28, 31, 32 e 33, comma 3, della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), promosso dal Giudice di pace di Scandiano, con ricorso depositato il 14 gennaio 1999 ed iscritto al n. 106 del registro ammissibilità conflitti.

  Udito nella camera di consiglio del 12 maggio 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

  Ritenuto che il Giudice di pace di Scandiano, nella veste di coordinatore dell’ufficio, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento, in relazione alla legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), per violazione degli artt. 81, primo comma, 100, secondo comma, 104, primo comma, e 105 della Costituzione;

  che il ricorrente, ritenuta la propria legittimazione attiva ad essere parte del conflitto, "in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene", nonchè la legittimazione passiva delle Camere del Parlamento per il medesimo motivo, lamenta la lesione - derivante dagli artt. 4, comma 2, 7, 28, 31 e 32 della legge n. 675 del 1996 - della "piena indipendenza che gli compete quale organo giurisdizionale" poichè l’organo istituito dalla citata legge n. 675 del 1996, denominato poi, con decreto legislativo correttivo 9 maggio 1997, n. 123, "Garante per la protezione dei dati personali", dotato di potere di indagine sui magistrati, titolari di uffici giudiziari, e di potere sanzionatorio nei loro confronti, si sovrapporrebbe "agli organi di controllo e di vigilanza previsti dalla Costituzione nei confronti della magistratura", con violazione degli artt. 104, primo comma, e 105 della Costituzione;

  che il ricorrente censura altresì l’art. 33, comma 3, della stessa legge n. 675 del 1996, che violerebbe l’autonomia della magistratura perchè, imponendo ai titolari degli uffici giudiziari "di fare un uso improprio dei fondi loro assegnati dallo Stato", li obbligherebbe a trasferire al Garante parte dei medesimi fondi, in violazione degli artt. 81, primo comma, 100, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione;

  che lo stesso ricorrente, ricordate le definizioni di "dato personale" (art. 1, comma 2, lettera c), di "trattamento" (art. 1, comma 2, lettera b) e di "titolare" (art. 1, comma 2, lettera d), contenute nella legge oggetto del ricorso, si duole del fatto che il Garante avrebbe autonomi poteri di controllo, indagine e vigilanza su qualunque persona fisica e giuridica ("cui competono le decisioni in ordine alle finalità ed alle modalità del trattamento di dati personali" - art. 1, comma 2, lettera d) e quindi anche sui titolari di uffici giudiziari, i quali sarebbero altresì soggetti ai poteri ispettivi di accertamento e di verifica del medesimo Garante, che si avvale della collaborazione di altri organi dello Stato (carabinieri e altre forze di polizia);

  che quindi la legge n. 675 citata, sottoponendo il magistrato titolare di ufficio giudiziario alla possibilità di essere "indagato e sanzionato" dal Garante nel caso che abbia "omesso" di fornire le informazioni e di esibire i documenti da questo richiesti, lederebbe l’indipendenza degli organi giurisdizionali e degli uffici giudiziari;

  che infine l’obbligo, derivante dall’art. 33, comma 3, della legge, a carico dei magistrati di "effettuare la notifica dei dati prevista dagli artt. 7 e 28 allegando la ricevuta del versamento di lire 25.000" su di un conto corrente intestato al Garante, confliggerebbe con l’autonomia contabile degli uffici giudiziari sull’uso delle somme loro assegnate, creando una illegittima gestione "fuori-bilancio" e distogliendo i fondi dell’ufficio dall’uso cui sono destinati (spese proprie dell’ufficio); il tutto in contrasto con gli artt. 81, primo comma, 100, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione.

  Considerato che nella presente fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte é chiamata a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile, nel concorso dei requisiti soggettivi prescritti e in quanto esista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione;

  che, sotto il profilo soggettivo, la giurisprudenza costituzionale é costante nel ritenere legittimati ad essere parti di conflitti di attribuzione i singoli organi giurisdizionali, in relazione al carattere diffuso che contrassegna il potere di cui fanno parte e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, ma limitatamente all’esercizio dell’attività giurisdizionale (ordinanza n. 87 del 1978), assistita da garanzia costituzionale;

  che, nel caso di specie, il giudice di pace ricorrente é manifestamente privo di legittimazione attiva, in quanto agisce in qualità di "coordinatore" dell’ufficio, alla stregua e con i poteri di cui all’art. 15 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), e non nell’esercizio di funzioni giurisdizionali;

  che pertanto il ricorso, per carenza del requisito soggettivo, é inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria l’17 giugno 1999.