ORDINANZA N.57
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 513 del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promosso con ordinanza emessa il 16 dicembre 1997 dal Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di L. S. ed altri, iscritta al n. 108 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Pretore di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 513 del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), nella parte in cui limita l’utilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni rese da coimputati o imputati in procedimento connesso che in dibattimento si avvalgono della facoltà di non rispondere;
che la questione é stata sollevata nel corso di un procedimento a carico di tre imputati, uno dei quali, citato per la prima volta a comparire dopo l’entrata in vigore della legge per essere sottoposto ad esame, si era avvalso in dibattimento della facoltà di non rispondere;
che, ai fini della rilevanza, nell’ordinanza si precisa che a seguito dell’esercizio della facoltà di non rispondere sono state acquisite le dichiarazioni rese da tale soggetto nel corso delle indagini al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari, le quali tuttavia non sono utilizzabili nei confronti degli altri coimputati in mancanza del loro consenso;
che il rimettente, svolgendo argomentazioni relative sia alla posizione del coimputato sia a quella dell’imputato in procedimento connesso, lamenta che la norma impugnata introduce <<regole legali di valutazione della prova che si pongono in contrasto con i principi di verità storica e di "non dispersione" dei mezzi di prova>> affermati da questa Corte con le sentenze nn. 254 e 255 del 1992;
che ad avviso del giudice a quo tale disciplina si pone in contrasto con gli artt. 24, 111 e 112 della Costituzione, in quanto non consente al giudice di conoscere fatti rilevanti ai fini della decisione, precludendo così allo stesso di <<supportare con una corretta e adeguata motivazione la decisione medesima>>, e fa dipendere il concreto esercizio dell’azione penale da scelte di convenienza o da accordi più o meno espliciti delle parti;
che il rimettente ravvisa inoltre la violazione dell’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevole diversità di disciplina riservata alle dichiarazioni rese da imputati in procedimenti connessi rispetto a quella dettata per gli <<altri mezzi di prova>>;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al contenuto dell’atto di intervento relativo al giudizio di costituzionalità promosso con l’ordinanza del Tribunale di Pordenone, iscritta al n. 32 del r.o. del 1998, il quale a sua volta rinvia all’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.
Considerato che il rimettente impugna genericamente l’art. 513 del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, formulando censure al regime di utilizzazione delle dichiarazioni in precedenza rese dal coimputato (comma 1) e dall’imputato in procedimento connesso (comma 2);
che, tuttavia, l’unica posizione rilevante nel giudizio a quo risulta essere quella del coimputato, disciplinata dal comma 1 della norma impugnata;
che pertanto la questione prospettata in riferimento alla posizione dell’imputato in procedimento connesso, regolata dal comma 2 dell’art. 513 cod. proc. pen., deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza;
che, per quanto concerne la disciplina contenuta nel comma 1 della norma impugnata, successivamente alla emissione dell’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 267 del 1997, dichiarando la illegittimità costituzionale in parte qua, tra l’altro, degli artt. 513, comma 2, ultimo periodo e 210 del codice di procedura penale;
che, per effetto di detta pronuncia, qualora il coimputato, che abbia in precedenza reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, in dibattimento rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su tali fatti, si applica la disciplina degli artt. 210 e 513, comma 2, cod. proc. pen., nonchè, in mancanza dell’accordo delle parti, il meccanismo delle contestazioni previsto dall’art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen.;
che pertanto occorre restituire gli atti al giudice rimettente affinchè verifichi se, alla luce della nuova disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, la questione sollevata sia tuttora rilevante.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 513, comma 2, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 Cost., dal Pretore di Roma con l’ordinanza in epigrafe;
ordina la restituzione degli atti al Pretore di Roma in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 513, comma 1, del codice di procedura penale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1999.
Presidente Renato GRANATA
Redattore Guido NEPPI MODONA
Depositata in cancelleria il 4 marzo 1999.