Ordinanza n. 444/98

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ORDINANZA N.444

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 513, comma 1, del codice di procedura penale come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 22 gennaio 1998 dal Tribunale di Trani, il 10 febbraio 1998 dalla Corte di assise di Agrigento, il 22 dicembre 1997 dal Tribunale di Napoli, l'11 marzo ed il 18 febbraio 1998 dal Tribunale di Locri e l'8 maggio 1998 dal Tribunale di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 234, 237, 319, 351, 353 e 549 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 15, 19, 21 e 34, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Trani (r.o. n. 234 del 1998), la Corte di assise di Agrigento (r.o. n. 237 del 1998), il Tribunale di Napoli (r.o. n. 319 del 1998) e il Tribunale di Locri (r.o. nn. 351 e 353 del 1998) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 102, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 513, comma 1, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), nella parte in cui tale norma subordina al consenso degli altri imputati l'utilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni rese dal coimputato che in dibattimento rifiuti di sottoporsi all'esame o si avvalga della facoltà di non rispondere;

  che il Tribunale di Trani censura, congiuntamente all’art. 513, comma 1, cod. proc. pen., l’art. 6 della legge n. 267 del 1997 nella parte in cui, quando il coimputato sia esaminato dopo l'entrata in vigore della legge, prevede l'immediata applicabilità della nuova disciplina;

  che analoga questione, avente ad oggetto l’immediata applicabilità della nuova normativa ai procedimenti in corso al momento della entrata in vigore della legge, é prospettata, in riferimento agli artt. 3, 101 e 112 Cost., dal Tribunale di Napoli (r.o. n. 549 del 1998), sia pure con impugnazione formalmente indirizzata al solo art. 513 cod. proc. pen. novellato;

  che tutte le questioni (comprese quelle prospettate dal Tribunale di Napoli con le ordinanze iscritte ai nn. 319 e 549 del 1998, con le quali viene impugnato genericamente l’intero testo dell’art. 513 cod. proc. pen.) sono state sollevate nel corso di procedimenti nei quali alcuni coimputati, citati per la prima volta dopo l’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, hanno rifiutato di sottoporsi all’esame dibattimentale ovvero si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, e i difensori degli altri coimputati non hanno prestato il consenso alla utilizzazione delle dichiarazioni precedentemente rese;

che secondo i rimettenti la norma impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. per la irragionevole diversità della disciplina riservata alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dall'imputato che in dibattimento si avvalga della facoltà di non rispondere o rifiuti di sottoporsi all'esame, le quali, pur essendo oggettivamente e imprevedibilmente irripetibili, non sono utilizzabili nei confronti di altri senza il loro consenso, rispetto:

a) alla disciplina delle dichiarazioni rese in precedenza dall'imputato in procedimento connesso del quale non é possibile ottenere la presenza per fatti o circostanze imprevedibili, che secondo quanto disposto dall’art. 513, comma 2, prima parte, cod. proc. pen. possono invece essere utilizzate ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. (r.o. n. 237 del 1998);

b) alla disciplina delle dichiarazioni rese dall’imputato che decida di sottoporsi all'esame dibattimentale, le quali possono essere utilizzate, ai sensi dell’art. 503, comma 5, cod. proc. pen., previo ricorso al meccanismo delle contestazioni (r.o. n. 237 del 1998);

c) alla disciplina relativa alle dichiarazioni testimoniali rese nel corso delle indagini preliminari, utilizzabili per la decisione ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. se divenute irripetibili nella fase del giudizio <<per cause naturali>>, ovvero in conseguenza dell’esercizio del diritto di astenersi dal rispondere del prossimo congiunto (viene richiamata la sentenza n. 179 del 1994), e comunque utilizzabili previo ricorso al meccanismo delle constestazioni previsto dall’art. 500 cod. proc. pen. (r.o. n. 237 del 1998 e r.o. 319 del 1998, con particolare riferimento all'ipotesi contemplata nel comma 5 dell’500 cod. proc. pen. e al controllo del giudice sulla presenza di eventuali forme di intimidazione che possano aver determinato il rifiuto di rispondere; nonchè r.o. n. 549 del 1998);

che ulteriori profili di irragionevole disparità di trattamento sono evidenziati in relazione:

a) alla posizione di imputati raggiunti dalle dichiarazioni accusatorie di altri imputati, a seconda che questi ultimi siano giudicati cumulativamente o separatamente, essendo necessario, ai fini della utilizzabilità delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, in un caso il consenso degli altri imputati (art. 513, comma 1, cod. proc. pen.) e nell’altro l’accordo delle parti (art. 513, comma 2, cod. proc. pen.), con pregiudizio in questa seconda evenienza dello stesso diritto di difesa qualora, per il mancato accordo, non sia possibile acquisire dichiarazioni favorevoli a tutti o ad alcuni imputati (r.o. n. 319 del 1998);

b) alla situazione dell’imputato raggiunto da dichiarazioni spontanee di altro coimputato o imputato in procedimento connesso rese in dibattimento al di fuori dello schema dell’esame incrociato e utilizzabili ai fini della decisione, rispetto alla posizione dell’imputato che sia raggiunto da pregresse dichiarazioni accusatorie non ribadite a dibattimento a seguito dell’esercizio del diritto al silenzio del dichiarante e, a differenza di quelle spontanee, non utilizzabili ai fini della decisione, anche se in ipotesi di identico contenuto accusatorio (r.o. n. 319 del 1998);

c) alla possibilità di addivenire, in processi per delitti a concorso necessario, alla condanna del dichiarante (nei confronti del quale sono sempre utilizzabili le dichiarazioni autoaccusatorie precedentemente rese) e alla assoluzione degli altri imputati (nei confronti dei            quali, viceversa, le dichiarazioni eteroaccusatorie non possono essere utilizzate senza il loro consenso), così determinandosi una irragionevole disparità di trattamento fra tali soggetti (r.o. n. 319 del 1998);

d) alla diversa disciplina riservata, nei processi in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, alla situazione del coimputato, esaminato per la prima volta nella vigenza della nuova legge, che si avvalga della facoltà di non rispondere, rispetto al caso, disciplinato dall’art. 6, commi 2 e 5, della legge n. 267 del 1997, del dichiarante già esaminato prima di tale momento, per il quale é prevista una nuova citazione ed é consentita, nel caso di nuovo esercizio della facoltà di non rispondere, la utilizzabilità delle sue precedenti dichiarazioni, sia pure con la particolare regola di giudizio di cui al comma 5 della medesima disposizione (r.o. nn. 351 e 352 del 1998, r.o. n. 234, in riferimento anche agli artt. 97 e 112 Cost., per conseguente violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione e del principio della obbligatorietà dell’azione penale, nonchè r.o. n. 549 del 1998, in riferimento anche agli artt. 112 e 101 Cost.);

che i rimettenti lamentano inoltre che la norma impugnata, vietando l'acquisizione, in mancanza del consenso degli altri imputati, di quanto legittimamente acquisito prima del dibattimento, deroga irragionevolmente al principio di non dispersione della prova e impedisce al giudice di pervenire ad una decisione giusta, così sacrificando l'esercizio della funzione giurisdizionale, il cui fine é quello della ricerca della verità, con conseguente lesione degli artt. 3 e 101, secondo comma, Cost. (r.o. n. 237 del 1998), degli artt. 2, 3 e 25, secondo comma, Cost. (r.o. n. 319 del 1998), degli artt. 3 e 111 Cost. (r.o. nn. 351 e 352 del 1998);

che, infine, secondo i rimettenti l’art. 513, comma 1, cod. proc. pen., condizionando alla volontà delle parti l’ingresso delle dichiarazioni rese in precedenza fra il materiale probatorio sottoposto alla valutazione del giudice, introduce un principio dispositivo in materia probatoria che viola i principi di uguaglianza, legalità, esercizio dell’azione penale, funzione conoscitiva del processo, indefettibilità della giurisdizione, in contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 101, 102, 111 e 112 Cost. (r.o. n. 237 del 1998), con gli artt. 2, 3, 24, 25, 101 e 112 Cost. (r.o. n. 319 del 1998), con gli artt. 101, 111 e 112 Cost. (r.o. nn. 351 e 353 del 1998);

che nei giudizi di legittimità costituzionale promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 237, 351, 353 e 549 del r.o. del 1998 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998;

che nel giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 234 del r.o. del 1998 l’Avvocatura ha depositato atto di intervento nel quale chiede che la questione venga dichiarata infondata, rilevando: - che l’individuazione del momento di operatività della nuova disciplina a seconda dell'avvenuta lettura delle precedenti dichiarazioni é scelta di diritto transitorio che, non essendo manifestamente irragionevole, rientra nella discrezionalità del legislatore; - che é erroneo il richiamo all'art. 112 Cost. dal quale sarebbe desunto il principio di non dispersione dei mezzi di prova, e che, comunque, le esigenze di garanzia dell'imputato sono dotate di pari rilievo costituzionale; - che é infondato il richiamo al parametro dell'art. 97 Cost.

Considerato che tutte le ordinanze di rimessione, muovendo dal quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, sottopongono a censura il regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza del consenso degli altri imputati, delle dichiarazioni rese sul fatto altrui dal coimputato che in dibattimento rifiuti di sottoporsi all’esame o si avvalga della facoltà di non rispondere;

che i giudizi, attesa la sostanziale identità delle questioni, vanno riuniti;

che, successivamente alla emissione delle ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul predetto quadro normativo, dichiarando la illegittimità costituzionale in parte qua, tra l’altro, degli artt. 513, comma 2, ultimo periodo e 210 del codice di procedura penale;

che, per effetto di detta pronuncia, qualora il coimputato, che abbia in precedenza reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, in dibattimento rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su tali fatti, si applica la disciplina degli artt. 210 e 513, comma 2, cod. proc. pen., nonchè, in mancanza dell’accordo delle parti, il meccanismo delle contestazioni previsto dall’art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen.;

che, con riguardo alle ordinanze che investono specificamente anche la disciplina transitoria (r.o. n. 234 e n. 549 del 1998), la citata sentenza n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione degli atti relativi a questioni che avevano impugnato la medesima normativa, aveva affermato che doveva essere valutato dai giudici a quibus se le questioni potessero considerarsi superate a seguito della modifica della disciplina a regime, <<che ora permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza>>;

che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della nuova disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Trani, alla Corte di assise di Agrigento, al Tribunale di Napoli e al Tribunale di Locri.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.