Sentenza n. 234/98

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SENTENZA N.234

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 44 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il 18 novembre 1996 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra la CIT TURIN s.r.l. e il Fallimento Di Perna Leonardo iscritta al n. 79 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di costituzione della CIT TURIN s.r.l.;

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1998 il Giudice relatore Annibale Marini;

udito l'avvocato Stefano Traldi per la CIT TURIN s.r.l.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto la inefficacia di un pagamento eseguito nei confronti di un fallito, la Corte di cassazione, con ordinanza del 18 novembre 1996, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare).

2. - Secondo la Corte rimettente, la norma denunciata, nel disporre che i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la pubblicazione (attraverso il deposito in cancelleria) della sentenza dichiarativa di fallimento sono immediatamente inefficaci nei confronti dei creditori anche prima dell'affissione (alla porta esterna del Tribunale) ai sensi dell'art. 17 della legge fallimentare e senza che rilevi l'eventuale buona fede del solvens, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione in quanto:

a) non discriminerebbe, quanto meno nel periodo tra la pubblicazione e l’affissione della sentenza dichiarativa di fallimento, tra coloro che abbiano avuti rapporti con il fallito quelli consapevoli e quelli non consapevoli di detta dichiarazione;

b) discriminerebbe, senza ragionevole motivo, coloro che abbiano avuti rapporti col fallito dopo la dichiarazione di fallimento e coloro i quali abbiano avuti rapporti con il fallito prima della dichiarazione di fallimento. E’ ben vero, aggiunge la Corte, " che tra le due categorie si interpone la dichiarazione di fallimento, ma appare analoga la posizione di entrambe sotto il profilo psicologico - l’una rispetto alla consapevolezza dello stato di insolvenza l’altra rispetto alla consapevolezza della dichiarazione di fallimento - e solo nei confronti della prima si prende in considerazione (ai fini della revocatoria fallimentare) lo stato psicologico soggettivo del terzo" .

2.1 - La questione viene infine ritenuta rilevante in quanto solo l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione denunciata potrebbe consentire l’accoglimento del ricorso.

3. - E’ intervenuta la parte privata, CIT TURIN s.r.l., ricorrente per cassazione, che, facendo propria la motivazione contenuta nell’ordinanza di rimessione, ha concluso per l’accoglimento della questione.

3.1 - Evidenzia la interveniente di aver acquistato in buona fede, ignorando la situazione economica del venditore, partite di carni dopo la dichiarazione di fallimento ma prima della affissione della relativa sentenza ex art. 17 della legge fallimentare. Trattandosi di contratti di vendita di merce deperibile con una quasi contestualità tra "l'offerta, la consegna (della merce) ed il pagamento del prezzo", l’acquirente potrebbe solo verificare l’effettiva appartenenza del venditore agli usuali operatori commerciali del settore, nonchè il legittimo possesso delle merce venduta. Ma ciò solo su basi intuitive o di esperienze settoriali essendogli inibita - per le esigenze stesse di tale attività imprenditoriale - ogni possibilità di accertare l’eventuale incapacità del venditore e la conseguente invalidità ed inefficacia del pagamento. L'accertamento dell’intervenuto fallimento del venditore sarebbe dunque possibile per l’acquirente solo dopo l'affissione - ai sensi dell’art. 17 della legge fallimentare - della relativa sentenza, restando invece il mero deposito della stessa non conoscibile.

Su tali premesse la parte privata sottolinea:

- come sia pacifico in giurisprudenza che i pagamenti effettuati in buona fede dall’imprenditore al creditore apparente comportino la liberazione del debitore il cui comportamento sia stato caratterizzato, oltre che dalla ignoranza della difformità tra realtà ed apparenza, anche dalla scusabilità ed incolpevolezza;

- come la norma denunciata ignori i principi della buona fede del terzo e dell’affidamento, diversamente da quanto disposto dall’art. 67 della stessa legge fallimentare per i pagamenti compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;

- come la norma censurata, nel determinare la inefficacia dei pagamenti ricevuti dal fallito dopo la pubblicazione - mediante deposito - della sentenza dichiarativa di fallimento indipendentemente dal compimento delle formalità previste dall’art. 17 della legge fallimentare e dalla buona o mala fede del solvens, discrimini ingiustamente la posizione dei terzi in buona fede rispetto ad altre identiche posizioni tutelate dall’ordinamento;

- come del tutto negative, sotto il profilo economico, sarebbero per gli imprenditori commerciali, operanti nel mercato a pronti o al minuto, le conseguenze di un mancato accoglimento della questione, dovendo costoro fare necessario affidamento sul principio dell’apparenza.

Considerato in diritto

1. - La Corte di cassazione dubita - in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione - della legittimità costituzionale dell’art. 44 della legge fallimentare nella parte in cui non esclude che gli effetti del fallimento - quanto meno nel periodo intercorrente tra la pubblicazione e l’affissione della relativa sentenza - si riflettano sui terzi che, in buona fede, siano stati destinatari degli atti compiuti dal fallito o autori di pagamenti ricevuti dallo stesso.

2. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 44 della legge fallimentare é stata dichiarata non fondata da questa Corte per la non pertinenza del parametro di riferimento allora individuato nell'art. 24 della Costituzione (sentenza n. 228 del 1995). La stessa norma viene ora denunciata per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, prospettandosi, in tal modo, una questione sostanzialmente diversa da quella già esaminata e decisa.

3. - Come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, nel sistema della legge fallimentare l'inopponibilità alla massa dei creditori dei pagamenti ricevuti dal fallito dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, diversamente dall'inefficacia conseguente all'utile esercizio dell'azione revocatoria fallimentare, si ricollega al principio generale secondo cui la dichiarazione di fallimento priva il fallito, dalla data di deposito della relativa sentenza, dei poteri di amministrazione e disposizione del suo patrimonio trasferendoli agli organi della procedura fallimentare. Principio finalizzato nella sua assolutezza ad una efficace e diretta tutela della massa dei creditori.

L'irrilevanza, agli effetti dell'inopponibilità alla massa dei creditori dei pagamenti ricevuti dal fallito, dello stato soggettivo di conoscenza del solvens, proprio in quanto necessario riflesso dell'assolutezza del suddetto principio, trova, dunque, giustificazione nell'esigenza di tutela della massa dei creditori. Trattasi, all'evidenza, di una scelta del legislatore non manifestamente irragionevole e, perciò stesso, non censurabile sul piano della legittimità costituzionale.

4. - Infondata é anche la censura di violazione dell'articolo 3 della Costituzione formulata in base al differente rilievo che assume lo stato soggettivo di coloro che hanno avuto rapporti col fallito prima della dichiarazione di fallimento e di coloro che tali rapporti hanno avuto dopo detta dichiarazione.

La non omogeneità delle situazioni poste a raffronto, caratterizzate, come riconosce la stessa Corte rimettente, rispettivamente dalla mancanza e dall'esistenza della sentenza dichiarativa di fallimento, vale, infatti, a legittimare la diversità di disciplina che il legislatore detta in relazione alle stesse.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° giugno 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Annibale MARINI

Depositata in cancelleria il 23 giugno 1998.