ORDINANZA N.187
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 18, commi settimo, ottavo e nono, e 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modificazioni e dell’art. 445 del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 30 ottobre ed il 7 novembre 1995 dal Pretore di Lecce, sez. distaccata di Gallipoli, nei procedimenti penali a carico di Sagliocca Giovanna ed altri e Sances Giovanni ed altri, iscritte ai nn. 336 e 340 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 marzo 1998, il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che, con due ordinanze di contenuto identico, emesse nel corso di altrettanti procedimenti penali per lottizzazione abusiva (ordinanza r.o. n. 336 del 1997, del 30 ottobre 1995, pervenuta alla Corte costituzionale il 16 maggio 1997, e ordinanza R.O. n. 340 del 1997, del 7 novembre 1995, pervenuta alla Corte il 19 maggio 1997), il Pretore di Lecce - sez. distaccata di Gallipoli - ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, settimo, ottavo e nono comma, e 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), e 445 cod.proc.pen., nella parte in cui dette norme non prevedono con adeguata precisione - trattandosi di norme con piena incidenza penalistica diretta e indiretta - nè le caratteristiche dei provvedimenti, adottati in via amministrativa dal sindaco, di acquisizione al patrimonio del Comune delle aree lottizzate e di demolizione delle opere, nè quelle della confisca da disporsi dal giudice penale, in relazione anche all’art. 240, secondo comma, numero 2, cod.pen., nè, infine, quelle della sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi é stata lottizzazione, specie nell’ipotesi di eventuale applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 445 cod.proc.pen.;
che il giudice a quo ha osservato che da tale incertezza interpretativa potrebbero conseguire dubbi di legittimità costituzionale delle norme in esame in riferimento agli artt. 3, 9, 24, 101, secondo comma, e 102 della Costituzione, per la possibilità di sovrapposizioni e interferenze tra autorità amministrativa, organo giurisdizionale amministrativo e giudice penale, e di contrasto tra giudicati, che potrebbero riflettersi sia sulla finalità delle norme, di più efficace tutela dell’assetto urbanistico ed ambientale, sia sull’attività difensiva, per l’incertezza in cui potrebbe trovarsi l’imputato, sia sulla intera funzionalità del procedimento penale;
che, con riferimento ai medesimi parametri costituzionali, l’art. 19 della legge n. 47 del 1985 é impugnato nella parte in cui non contiene alcun riferimento specifico alla norma generale in tema di confisca di cui all’art. 240 cod. pen., per la possibilità che le conseguenti incertezze interpretative ed applicative incidano negativamente sui diritti costituzionalmente protetti di cui si é detto; e, per le stesse ragioni, viene censurato l’art. 445 cod. proc. pen., perchè, nel disporre che la sentenza prevista dall’art. 444 cod. proc. pen., comma 2, non comporta l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall’art. 240, secondo comma, cod. pen., omette l’esplicito richiamo all’ipotesi di confisca obbligatoria di cui allo stesso art. 19;
che in entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza delle questioni, rilevando che il giudice rimettente prospetta diverse ottiche ermeneutiche, e richiede l’intervento della Corte costituzionale senza evidenziare la contrarietà delle norme impugnate ai principi costituzionali invocati.
Considerato che, per la identità delle questioni sollevate, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice rimettente deve delibare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità delle norme sulla base della interpretazione che egli é tenuto a dare delle stesse, specie in assenza di un diritto vivente, in modo da verificare se le eventuali lacune dell’ordinamento possano essere colmate secondo i vari criteri ermeneutici previsti dalle norme vigenti, e privilegiando l’interpretazione conforme a Costituzione (v., ex plurimis, ordinanza n. 39 del 1998, sentenza n. 350 del 1997);
che, nella specie, il giudice a quo si é, invece, limitato a ricostruire le diverse posizioni della giurisprudenza e della dottrina in ordine alle problematiche sollevate, prospettando la semplice eventualità che dalle incertezze interpretative cui darebbe luogo la formulazione delle norme impugnate possa derivare la illegittimità costituzionale delle stesse;
che questa Corte ha ripetutamente dichiarato la manifesta inammissibilità di questioni di legittimità costituzionale sollevate in maniera perplessa o ancipite (v. ordinanze n. 39 del 1998, n. 101 del 1996), tali dovendosi ritenere quelle nelle quali sono configurate due possibili interpretazioni, con diversi esiti correttivi;
che, comunque, per quanto riguarda in particolare il dubbio interpretativo che si pone il giudice a quo in ordine all’applicabilità del provvedimento di confisca previsto dall’art. 19 della legge n. 47 del 1985 in caso di c.d. patteggiamento, esso é già stato risolto, nel lasso di tempo - tutt’altro che breve - intercorso tra la pronuncia dell’ordinanza di rimessione ed il suo invio a questa Corte, in senso affermativo dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua del rilievo che, in tema di lottizzazione abusiva, la confisca dei terreni, che ha natura di sanzione amministrativa, e non di misura di sicurezza, consegue ad una sentenza che accerta che vi é stata lottizzazione abusiva, prescindendo, pertanto, da una condanna al riguardo;
che, sotto altro profilo, le ordinanze di rimessione non contengono una adeguata motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate con riferimento ai parametri invocati;
che, pertanto, le stesse questioni devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 18, settimo, ottavo e nono comma, e 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), e 445 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9, 24, 101, secondo comma, e 102 della Costituzione, dal Pretore di Lecce - sez. distaccata di Gallipoli - con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, della Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Riccardo CHIEPPA
Depositata in cancelleria il 26 maggio 1998.