ORDINANZA N.61
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, della legge 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa), promosso con ordinanza emessa il 18 marzo 1997 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Taranto nel procedimento penale a carico di R.P., iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, della legge 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che l’art. 371-bis, secondo comma, cod. pen. - ove é disposta la sospensione del procedimento per il reato di false informazioni al pubblico ministero, previsto dal primo comma del medesimo articolo, fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata la sentenza di primo grado, ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere - non si applica ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore della legge, sia già stata esercitata l’azione penale ai sensi dell’art. 405 cod. proc. pen.;
che il giudice rimettente - individuata la ratio della sospensione del procedimento nell’esigenza di evitare il rischio che il teste indagato per il reato di false informazioni al pubblico ministero renda dichiarazioni in qualche modo condizionate dalla pendenza del procedimento a suo carico, allineandosi artificiosamente sulle posizioni dell’accusa - rileva che la norma impugnata determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra imputati "le cui posizioni sostanziali e processuali sono invece assolutamente identiche", in quanto nella disciplina transitoria la sospensione del processo risulta "ancorata ad un dato (entrata in vigore della legge) indipendente dalla dinamica del processo", e non invece ad un dato concreto, quale, ad esempio, l’avere la persona indagata già reso la deposizione;
che ad avviso del giudice rimettente la norma impugnata, oltre a violare il criterio di ragionevolezza, si pone in contrasto con il consolidato principio di civiltà giuridica che impone l’applicazione della norma più favorevole in caso di successione di norme;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata;
che, in particolare, l’Avvocatura dello Stato rileva che la ratio della disciplina transitoria riposa sul dato che, "una volta esercitata l’azione penale la posizione dell’imputato é ormai sub judice, ossia ‘sottratta’ all’organo giudiziario avanti al quale il delitto é stato consumato", e che pertanto non sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 3 Cost.
Considerato che la legge n. 332 del 1995 ha modificato la precedente disciplina del delitto di false informazioni al pubblico ministero, che era stato introdotto dall’art. 11 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 306, mediante l’inserimento dell’art. 371-bis nel codice penale;
che, in particolare, l’art. 25 della legge n. 332 del 1995 ha diminuito la pena prevista per il reato di false informazioni, così escludendo la possibilità di procedere all’arresto in flagranza in caso di dichiarazioni false o reticenti, ed ha aggiunto all’art. 371-bis cod. pen. un secondo comma, ove é appunto prevista, salva l’immediata procedibilità nel caso di rifiuto di rendere le informazioni, la sospensione del procedimento fino a quando nel procedimento in cui sono state assunte le dichiarazioni ritenute false o reticenti sia stata pronunciata sentenza di primo grado, ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere;
che tale disciplina, pur essendo collocata nel contesto di una disposizione di diritto penale sostanziale, é una norma di natura processuale, come tale sottoposta al consolidato principio del tempus regit actum;
che l’art. 28, comma 1, della legge in esame prevede una disciplina transitoria, disponendo che la sospensione del procedimento per il delitto di cui all’art. 371-bis, primo comma, cod. pen. non opera nei confronti dei procedimenti per i quali alla data di entrata in vigore della legge sia già stata esercitata l’azione penale;
che la ratio della disciplina "a regime" della sospensione del procedimento é ravvisabile - come ha messo in rilievo lo stesso giudice rimettente - nell’esigenza di garantire la libertà morale e di autodeterminazione della persona indagata per il reato di false informazioni da forme di condizionamento psicologico esercitabili dal pubblico ministero nel momento in cui nel procedimento principale l’organo dell’accusa é "processualmente" interessato alla formazione della prova;
che alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte rientra nella discrezionalità del legislatore, salvo il divieto posto dall’art. 25, secondo comma, Cost., disciplinare il passaggio da una vecchia ad una nuova disciplina dettando norme transitorie volte ad escludere l’applicabilità delle nuove norme alle situazioni pendenti alla data di entrata in vigore delle norme processuali sopravvenute, semprechè la discrezionalità del legislatore non sia esercitata in modo irragionevole (sentenza n. 136 del 1991; ordinanza n. 10 del 1991);
che nel caso di specie la disciplina transitoria, nello stabilire che la sospensione del procedimento per il reato di cui all’art. 371-bis, primo comma, cod. pen. non opera quando per tale reato sia già stata esercitata l’azione penale, non contrasta con la ratio che sottostà anche alla disciplina "a regime" della sospensione: una volta che sia stata esercitata l’azione penale per il reato di false informazioni, la posizione dell’imputato é infatti ormai sottoposta al giudizio dell’autorità giurisdizionale, e quindi sottratta a potenziali condizionamenti da parte del pubblico ministero davanti al quale il reato é stato commesso;
che, in definitiva, dal confronto tra la disciplina "a regime" e la norma transitoria emerge che il legislatore ha non irragionevolmente esercitato il suo potere discrezionale nel definire l’ambito di applicabilità dell’istituto della sospensione dei procedimenti per il reato di cui all’art. 371-bis cod. pen. in corso al momento dell’entrata in vigore della legge;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, della legge 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Taranto, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Guido NEPPI MODONA
Depositata in cancelleria il 12 marzo 1998.