ORDINANZA N.10
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO Giudice
Dott. Aldo CORASANITI “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 243 c.p.v. del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Revoca delle sentenze di proscioglimento), promosso con ordinanza emessa il 3 luglio 1990 dal Tribunale di Lecce nel procedimento penale a carico di Puce Sergio, iscritta al n. 542 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36 prima serie speciale dell'anno 1990.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto che, nel corso di un processo penale, il Tribunale di Lecce, dovendo decidere in ordine alla richiesta di acquisizione al fascicolo per il dibattimento di una perizia disposta dal pubblico ministero nella vigenza del precedente codice di procedura penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 243, comma 2, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), nella parte in cui, riferendosi <<agli atti istruttori>>, per equipararli <<ad ogni effetto>> a quelli delle indagini preliminari, adopera l'espressione <<già compiuti>> in luogo dell'espressione <<già disposti>>;
che, ad avviso del giudice a quo, in base all'interpretazione della norma impugnata la perizia, disposta prima dell'entrata in vigore del nuovo codice ma terminata e depositata successivamente, risulterebbe inutilizzabile <<in conseguenza di un dato meramente estrinseco e casuale costituito non dallo scorrere del tempo... e dal conseguente succedersi di normative diverse, ma dalla perfezione dell'atto prima o dopo un certo termine>>;
che, pertanto, la disposizione censurata, rendendo inutilizzabili gli atti istruttori disposti ma non ancora compiuti alla data di entrata in vigore del nuovo codice, opererebbe, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli atti disposti e compiuti entro tale data, ponendosi altresì in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, in quanto la funzionalità dell'amministrazione della giustizia verrebbe impedita non a garanzia dei diritti della difesa, ma per circostanze meramente casuali;
che la norma impugnata violerebbe anche l'art. 112 della Costituzione, in quanto, inducendo il P.M., al fine di rendere utilizzabili i propri atti, a non disporre perizia in prossimità della data di entrata in vigore del nuovo codice, ma ad attendere il decorso di tale termine per compiere l'atto istruttorio, determinerebbe una sospensione <<di fatto>> dell'obbligatorietà dell'azione penale;
che nel giudizio è intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo che il comma in questione, contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, non distinguerebbe affatto, sul piano della utilizzabilità processuale, gli atti <<disposti>> da quelli <<compiuti>> sotto la vigenza del codice abrogato, stabilendo, invece, un generale principio di equipollenza tra gli atti di polizia giudiziaria e gli atti istruttori alla omologa attività compiuta nel corso delle indagini preliminari;
che, pertanto, in relazione all’utilizzabilità della perizia, le conseguenze sarebbero state identiche anche nell'ipotesi in cui l'atto istruttorio fosse stato non solo disposto, ma si fosse integralmente esaurito prima della data di entrata in vigore del nuovo codice di rito;
che l'interveniente ha quindi concluso chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza e, in subordine, non fondata nel merito, non potendosi comunque esigere dal legislatore un regime transitorio che realizzi una commistione di discipline processuali fra loro cosi profondamente diverse, quali sono quelle che caratterizzano il vecchio ed il nuovo codice.
Considerato che, da quanto risulta, la fase processuale in cui la questione è stata sollevata cade sotto il regime dell'attuale codice di procedura penale e che la norma impugnata assume rilevanza nel giudizio a quo perché richiamata dal terzo comma, ultima parte, dell'art. 258 delle disposizioni transitorie, di cui deve farsi diretta applicazione in detto giudizio;
che, ciò premesso, deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza - formulata dall'Avvocatura dello Stato nell'assunto che la norma impugnata non porrebbe una differenza tra atti <<disposti>> ed atti <<compiuti>> perché il giudice a quo muove proprio dall'opposta interpretazione ritenuta con sufficiente e persuasiva motivazione come l'unica possibile-secondo cui la norma impugnata discrimina gli atti semplicemente disposti, escludendone qualsivoglia utilizzabilità per i processi da compiersi sotto il nuovo regime;
che, appunto sul presupposto di tale interpretazione, la questione sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione è manifestamente infondata, in quanto la scelta del legislatore di attribuire rilevanza, nel passaggio dal vecchio al nuovo rito, solo agli atti istruttori già compiutamente formatisi sotto il regime precedente non può dirsi irragionevole;
che, difatti, fra i possibili criteri da adottare per la disciplina dei rapporti di diritto transitorio, rientra anche quello di attribuire rilievo ai soli fatti già completamente verificatisi, escludendo le fattispecie ancora in via di formazione;
che, quanto alla possibilità del prodursi degli inconvenienti indicati nell'ordinanza di rimessione - da quello secondo cui la conservazione degli effetti relativamente ai soli atti già compiuti verrebbe cosi fatta discendere da circostanze meramente casuali, a quello secondo cui l'organo giudiziario potrebbe essere indotto a non disporre nuovi atti istruttori in prossimità del sopravvenire del nuovo rito - va osservato che trattasi di evenienze di mero fatto che non possono comunque mettere in discussione la ragionevolezza della scelta di fondo adottata dal legislatore nel senso di tener conto solo delle situazioni processuali già perfezionatesi al momento dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale;
che queste ultime considerazioni denotano la manifesta infondatezza della questione, anche in riferimento agli artt. 97 e 112 della Costituzione.
Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n.87 e 9, comma secondo, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 243, comma secondo, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Lecce, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 gennaio 1991.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.
Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1991.