Ordinanza n. 14/98

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ORDINANZA N.14

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 323, secondo comma, del codice penale, promossi con due ordinanze emesse il 13 marzo ed il 26 giugno 1997 dal GIP presso il Tribunale di Piacenza, iscritte ai nn. 513 e 612 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 36 e 39, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 1998 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 13 marzo 1997 (R.O. n. 513 del 1997), il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Piacenza ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 25, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dell'art. 323, secondo comma, del codice penale (Abuso d'ufficio), come novellato dall'art. 13 della legge 26 aprile 1990, n. 86;

che, secondo il remittente, la disposizione sarebbe in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, in quanto prevederebbe una fattispecie non tassativa e non sufficientemente determinata, dato il carattere generico, indeterminato e neutro della locuzione "abusa del suo ufficio", applicabile a qualsiasi vizio di tipo amministrativo; nè la fattispecie acquisterebbe sufficiente determinatezza in forza della previsione del dolo specifico, la cui prova, nella interpretazione giurisprudenziale, verrebbe spesso tratta dalla mera illegittimità dell'atto e del comportamento;

che, sempre ad avviso del giudice a quo, la norma contrasterebbe altresì con l'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto, per la sua insufficiente determinatezza, costituirebbe una facile chiave di accesso a disposizione del giudice penale per "penetrare nel territorio della p.a." attraverso la semplice attivazione dei meccanismi processuali: onde essa consentirebbe "incursioni giudiziali" nella sfera di valutazione discrezionale dell'amministrazione, e genererebbe un clima non favorevole alla serenità delle attività amministrative, così compromettendo il buon andamento dell'amministrazione medesima;

che nel corso di un distinto giudizio la questione, in termini identici, é stata nuovamente sollevata dalla medesima autorità, con ordinanza emessa il 26 giugno 1997 (R.O. n. 612 del 1997).

Considerato che, data l'identità delle questioni, i giudizi vanno riuniti e decisi con unica pronunzia;

che dopo la proposizione delle questioni é sopravvenuta la legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'art. 323 del codice penale, in materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), il cui art. 1 ha sostituito interamente il testo dell'art. 323 del codice penale;

che la novella ha sensibilmente modificato la fattispecie del reato di abuso d'ufficio: in particolare sostituendo la descrizione della condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, consistente nell' "abusare dell'ufficio", e accompagnata dal fine di procurare a sè o ad altri un ingiusto vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, o di arrecare ad altri un danno ingiusto, con l'espressione "nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto";

che questa Corte, investita della medesima questione, sollevata prima della novella all'art. 323 del codice penale, con l'ordinanza n. 327 del 1997 ha disposto la restituzione degli atti ai giudici remittenti per un nuovo esame della rilevanza alla luce dello jus superveniens;

che analoga decisione va adottata nel caso in esame.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Piacenza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1998.