ORDINANZA N.327
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 323 del codice penale, promossi con ordinanze emesse il 14 e 27 maggio, il 16 aprile, il 7 e il 24 giugno, l’8 ottobre, il 3 luglio, il 25 giugno e il 1° luglio (n. 2 ordinanze) 1996 dal GIP c/o il Tribunale di Piacenza, il 21 giugno 1996 dal Tribunale di Milano, il 3 ed il 7 maggio 1996 e il 24 gennaio 1997 del GIP c/o il Tribunale di Piacenza, il 3 dicembre 1996 dal Tribunale di Sondrio, il 4 febbraio 1997 dal Tribunale di Grosseto, il 13 marzo 1997 dal GIP c/o il Tribunale di Piacenza, l’11 febbraio e il 18 marzo 1997 dal Tribunale di Sondrio, il 14, il 17 e il 21 marzo, l’8 aprile (n. 2 ordinanze), il 18 aprile (n. 2 ordinanze), il 21 aprile ed il 18 aprile 1997 dal GIP c/o il Tribunale di Piacenza e l’11 aprile 1997 dal GIP c/o il Tribunale di Sondrio, rispettivamente iscritte ai nn. 797, 857, 890, 891, 893, 949, 950, 951, 952, 953, 957, 967, 981 del registro ordinanze 1996 ed ai nn. 124, 171, 210, 287, 297, 298, 315, 316, 342, 379, 380, 381, 382, 383, 384, 457 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28, 38, 39, 47, 40 e 41, prima serie speciale, dell’anno 1996 ed ai nn. 13, 15, 18, 23, 24, 25, 26, 27 e 29, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Valerio Onida
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 14 maggio 1996 (R.O. n. 797 del 1996), il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Piacenza ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 25, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dell'art. 323, secondo comma, del codice penale (Abuso d'ufficio), come novellato dall'art. 13 della legge 26 aprile 1990, n. 86;
che, secondo il remittente, la disposizione sarebbe in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, in quanto prevederebbe una fattispecie non tassativa e non sufficientemente determinata, dato il carattere generico, indeterminato e neutro della locuzione "abusa del suo ufficio", applicabile a qualsiasi vizio di tipo amministrativo; né la fattispecie acquisterebbe sufficiente determinatezza in forza della previsione del dolo specifico, la cui prova, nella interpretazione giurisprudenziale, verrebbe spesso tratta dalla mera illegittimità dell'atto e del comportamento;
che, sempre ad avviso del giudice a quo, la norma contrasterebbe altresì con l'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto, per la sua insufficiente determinatezza, costituirebbe una facile chiave di accesso a disposizione del giudice penale per "penetrare nel territorio della p.a." attraverso la semplice attivazione dei meccanismi processuali: onde essa consentirebbe "incursioni giudiziali" nella sfera di valutazione discrezionale dell'amministrazione, e genererebbe un clima non favorevole alla serenità delle attività amministrative, così compromettendo il buon andamento dell'amministrazione medesima;
che la stessa questione, in termini identici, salvo il riferimento, in alcuni casi, al primo anziché al secondo comma dell'art. 323 cod. pen., è stata sollevata dalla stessa autorità giurisdizionale con altre ventidue ordinanze (R.O. nn. 857, 890, 891, 893, da 949 a 953, 967 e 981 del 1996; R.O. nn. 124, 287, 315, 316, 342, da 379 a 384 del 1997), l’ultima delle quali emessa il 21 aprile 1997;
che, con ordinanza emessa il 21 giugno 1996 (R.O. n. 957 del 1996), il Tribunale di Milano ha sollevato a sua volta, su istanza di parte, questione di legittimità costituzionale dell'art. 323 cod. pen., in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, con argomentazioni di tenore analogo a quelle svolte dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Piacenza;
che, con tre ordinanze emesse rispettivamente il 3 dicembre 1996 (R.O. n. 171 del 1997), l’11 febbraio 1997 (R.O. n. 297 del 1997), il 18 marzo 1997 (R.O. n. 298 del 1997), il Tribunale di Sondrio, su istanza di parte, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 323 cod. pen., in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione;
che, secondo il remittente, la norma, interpretata dalla giurisprudenza nel senso che sono ricompresi nella condotta contemplata dalla fattispecie incriminatrice ogni violazione del parametro di doverosità dell'azione amministrativa e ogni comportamento esplicantesi in un'illecita deviazione dai fini istituzionali della pubblica amministrazione, non consentirebbe di escludere dubbi di indeterminatezza della fattispecie, stante la genericità di tali riferimenti e l'assenza di una definizione normativa dell'eccesso di potere;
che, con una ulteriore ordinanza emessa l’11 aprile 1997 (R.O. n. 457 del 1997), lo stesso Tribunale di Sondrio ha sollevato la medesima questione con riferimento, oltre che all'art. 25, secondo comma, anche all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, lamentando in proposito che "la incertezza della norma" non permetterebbe un efficace esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito;
che questione di legittimità costituzionale dell'art. 323 cod. pen., in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, è stata sollevata dal Tribunale di Grosseto con ordinanza emessa il 4 febbraio 1997 (R.O. n. 210 del 1997), contenente rilievi di tenore analogo a quelli svolti dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Piacenza, e sopra riferiti: in particolare, secondo il remittente, l'indeterminatezza e l’elasticità della fattispecie rischierebbero di dare eccessivo spazio alla discrezionalità interpretativa dei giudici, anche per la carenza di una normativa che delinei con certezza i confini della liceità e legittimità dell'azione amministrativa, nonché per la possibilità di configurare il reato in rapporto a condotte omissive.
Considerato che, data la sostanziale identità delle questioni, i giudizi vanno riuniti e decisi con unica pronunzia;
che è sopravvenuta, dopo la proposizione delle questioni, la legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’art. 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), il cui art. 1 ha sostituito interamente il testo dell'art. 323 del codice penale;
che la novella ha sensibilmente modificato la fattispecie del reato di abuso d'ufficio: in particolare sostituendo la descrizione della condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, consistente nell' "abusare dell'ufficio", e accompagnata dal fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, o di arrecare ad altri un danno ingiusto, con l’espressione "nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto";
che pertanto si rende necessario restituire gli atti ai giudici remittenti, per un nuovo esame della rilevanza delle questioni alla luce dello jus superveniens.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Piacenza e ai Tribunali di Milano, di Sondrio e di Grosseto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Valerio ONIDA
Depositata in cancelleria il 7 novembre 1997.