SENTENZA N. 321
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 68, ottavo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), pro mosso con ordinanza emessa il 22 marzo 1996 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dall'Azienda unità locale socio-sanitaria n. 19 (ora 15) del Veneto contro Lia Pistore ved. Tosto, iscritta al n. 948 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visti gli atti di costituzione dell'Azienda unità locale socio- sanitaria n. 15 del Veneto e di Lia Pistore ved. Tosto nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1997 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
uditi gli avvocati Luigi Manzi per l'Azienda unità locale socio- sanitaria n. 15 del Veneto, Giuseppe Cultrera per Lia Pistore ved. Tosto e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza emessa il 22 marzo 1996 nel corso di un giudizio promosso dalla vedova di un medico, dipendente di una unità sanitaria locale, per ottenere l'equo indennizzo per la morte del coniuge dovuta a causa di servizio, il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 38, comma 2 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 68, comma 8, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), nella parte in cui prevede l'equo indennizzo a favore dei familiari superstiti, o degli eredi, dell'impiegato deceduto per causa di servizio, in seguito ad un evento dal quale sia conseguita la morte senza soluzione di continuità con l'evento menomante.
Il Consiglio di Stato precisa che la disposizione denunciata si applica non solo agli impiegati statali, ma anche ai dipendenti delle unità sanitarie locali, giacché la disciplina del loro stato giuridico prevede che in materia di infermità dipendenti da causa di servizio e per gli accertamenti relativi operano le norme in vigore per i dipendenti civili dello Stato (art. 48 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761), le quali regolano le modalità e le procedure di concessione dell'equo indennizzo, la cui misura é invece stabilita dall'accordo nazionale unico, stipulato con le organizzazioni sindacali del comparto (art. 30 dello stesso d.P.R. n. 761 del 1979).
Il giudice rimettente ricorda che l'istituto dell'equo indennizzo ha avuto origine dall'evoluzione della disciplina della risarcibilità del danno alla persona, subito dal pubblico impiegato a causa dell'esercizio delle sue funzioni. Inizialmente l'impiegato a causa dell'esercizio delle sue funzioni. Inizialmente l'impiegato statale, divenuto inabile a prestare servizio per le ferite riportate o per le infermità contratte a cagione dell'esercizio delle sue funzioni, aveva esclusivamente diritto ad essere collocato a riposo ed a conseguire la pensione privilegiata, qualunque fosse la sua età e la durata del servizio, senza percepire altro risarcimento (secondo la disciplina degli artt. 16 ss. e 100 ss. del testo unico delle pensioni civili e militari approvato r.d. 21 febbraio 1895 n. 70 e dell'art. 1 r.d.l. 6 febbraio 1936 n. 313, convertito in l. 28 maggio 1936 n. 1126).
Le norme che escludevano ogni risarcimento, o rendevano meramente apparente l'indennizzo, per eventi lesivi di cui l'impiegato fosse stato vittima, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime, in riferimento agli artt. 3 e 28 Cost. (sent. n. 1 del 1962), perchè esoneravano da responsabilità la pubblica amministrazione e determinavano una disparità di trattamento tra il privato che fosse vittima di un fatto colposo imputabile all'amministrazione ed il dipendente statale vittima dello stesso fatto.
Ma già l'artt. 68 dello statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. n. 3 del 1957) aveva introdotto l'equo indennizzo per la perdita dell'integrità fisica eventualmente subita dall'impiegato, quando l'infermità sia riconosciuta dipendente da causa di servizio. Tale indennizzo che per un verso include anche le menomazioni non imputabili a responsabilità dell'amministrazione e, per altro verso, non esclude che si possa chiedere il risarcimento dei danni dovuti a colpa dell'amministrazione coprirebbe rischi corrispondenti a quelli ai quali, nel settore privato, si riferisce l'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Il giudice rimettente sottolinea che l'equo indennizzo costituisce il ristoro di una inabilità parziale, compatibile con il servizio, e quindi un diritto proprio dell'impiegato. La corresponsione dell'indennizzo ai superstiti, quando la conseguenza dell'evento lesivo sia la morte del dipendente statale, non é prevista espressamente. Tuttavia l'interpretazione giurisprudenziale consolidata e la costante prassi amministrativa ritengono l'equo indennizzo dovuto anche per l'evento mortale, che segua senza soluzione di continuità alla menomazione, considerando la morte come perdita dell'integrità fisica nel massimo grado.
Il cumulo tra equo indennizzo e pensione privilegiata per i superstiti determinerebbe, in violazione dell'art. 3, comma 1, Cost., una irragionevole disparità di trattamento con i lavoratori privati, nei cui confronti non é ammesso il cumulo tra pensione privilegiata e rendita per l'infortunio sul lavoro (art. 12 l. 21 luglio 1965 n. 903). L'ingiustificato privilegio per i superstiti dei pubblici dipendenti sarebbe aggravato dall'interpretazione giurisprudenziale che esclude, per essi, la riduzione dell'equo indennizzo prevista, invece, quando la pensione privilegiata venga attribuita direttamente al dipendente (art. 50 d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686).
La disciplina denunciata contrasterebbe anche con l'art. 38, comma 2, Cost. Ad avviso del giudice rimettente la garanzia, per i lavoratori, del diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia o invalidità, può essere violata anche "per eccesso", quando in capo ad uno stesso soggetto e per uno stesso evento si cumulano più trattamenti concepiti in funzione della copertura di rischi diversi. Tale cumulo determinerebbe, inoltre, un maaggior onere per le finanze pubbliche, che, in presenza di risorse necessariamente limitate, sottrarrebbe i mezzi finanziari per l'adeguata copertura di analoghi rischi di altri soggetti.
2. Si é costituita dinanzi alla Corte la ricorrente nel giudizio principale, per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata, sottolineando, in particolare, che equo indennizzo e pensione privilegiata rispondono a finalità diverse. Il primo sarebbe diretto a riparare il danno prodotto da una menomazione fisica, dipendente da causa di servizio, nell'ulteriore vita di relazione del pubblico impiegato, indipendentemente dalla continuazione del rapporto di servizio. La pensione, invece, avrebbe sempre carattere retributivo, venendo corrisposta per il servizio prestato. Il danno cui fa fronte l'equo indennizzo non verrebbe riparato dalla pensione privilegiata, caratteriziizata dall'essere liquidata nella misura massima quando il servizio prestato dia già titolo, come nel caso oggetto del giudizio, alla pensione ordinaria nella misura massima. Non si potrebbe, quindi, affermare che la pensione copra lo stesso rischio dell'equo indennizzo.
3. Si é costituita in giudizio anche l'Azienda unità locale socio-sanitaria n. 15 del Veneto (Cittadella - Padova - ), parte già costituita nel giudizio principale, aderendo alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione e sostenendo, nell'atto di costituzione ed in una memoria depositata in prossimità dell'udienza, la fondatezza della questione di legittimità costituzionale.
In particolare il diritto all'equo indennizzo compenserebbe la menomazione dell'integrità fisica subita dal dipendente a causa del servizio e non potrebbe sorgere, quindi, a titolo originario in capo agli eredi, i quali potrebbero pretendere la corresponsione solo se il diritto facesse parte del patrimonio del dipendente deceduto. Sarebbe, quindi, dubbia la stessa configurabilità dell'indennizzo, quando non intercorra un apprezzabile intervallo temporale tra la lesione o la menomazione e la morte. In ogni caso, attribuire tale indennizzo anche ai superstiti dell'impiegato deceduto sarebbe privo di razionale giustificazione e determinerebbe una situazione di privilegio per gli eredi dei pubblici dipendenti, rispetto agli altri cittadini cui non é riconosciuto lo stesso vantaggio. La duplicità di prestazioni, per il medesimo evento, finirebbe anche con il sottrarre risorse finanziarie pubbliche, necessarie per la copertura dei medesimi rischi di altri soggetti.
4. E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Ad avviso dell'Avvocatura non sarebbe possibile alcuna valutazione dell'asserita violazione del principio di eguaglianza, giacchè l'ordinanza di rimessione non ha indicato la normativa da assumere come elemento di comparazione.
Quanto alla denunciata violazione dell'art. 38 Cost., la corresponsione di una equa indennità ai superstiti in caso di decesso del dipendente costituirebbe la logica e naturale estensione all'intero nucleo familiare del principio di solidarietà posto a base della previdenza sociale.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale riguarda la disciplina dell'equo indennizzo per la perdita dell'integrità fisica eventualmente subita dall'impiegato dello Stato a seguito di infermità dipendenti da causa di servizio. Il Consiglio di Stato considera l'art. 68, ottavo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili- dello Stato), che disciplina questo istituto, da applicare anche ai dipendenti delle unità sanitarie locali, per effetto del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), che rinvia alle norme vigenti per i dipendenti dello Stato in materia di infermità dipendenti da causa di servizio e per la concessione dell'equo indennizzo (artt. 48 e 49).
Lo stesso giudice ritiene che l'equo indennizzo, espressamente previsto solo per le menomazioni dell'integrità fisica, comprenda anche l'evento mortale che segua senza soluzione di continuità alla menomazione stessa, giacchè l'interpretazione giurisprudenziale da tempo consolidata e la costante prassi amministrativa - che il giudice rimettente, pur manifestando riserve, ritiene di non poter contrastare - considerano la morte come perdita dell'integrità fisica in massimo grado. In caso di morte l'equo indennizzo verrebbe a cumularsi, in capo ai familiari superstiti dell'impiegato deceduto per causa di servizio, con la pensione privilegiata che sarebbe dovuta per il medesimo evento, sicchè si determinerebbe: a) la violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, perchè la corresponsione dell'equo indennizzo rappresenterebbe un irragionevole privilegio ed una disparità di trattamento in favore dei pubblici dipendenti rispetto ai lavoratori del settore privato, per i quali sarebbe vietato il cumulo tra rendita per infortunio sul lavoro e pensione privilegiata; b) la violazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, perchè la protezione accordata con l'equo indennizzo eccederebbe la necessità di copertura del rischio protetto, attribuendo per un medesimo evento ed in capo al lo stesso soggetto più prestazioni a carico delle finanze pubbliche, con la conseguenza che, essendo limitate le risorse disponibili, potrebbero non essere adeguatamente coperti i medesimi rischi per altri soggetti.
2. - La questione, nei termini in cui é stata proposta, non é fondata.
Il dubbio di legittimità costituzionale riguarda esclusivamente la corresponsione dell'equo indennizzo ai familiari, eredi del dipendente pubblico deceduto a seguito di infortunio derivante da causa di servizio, ai quali sia attribuita anche la pensione privilegiata di reversibilità; non si estende, quindi, alla mancata previsione della riduzione dell'ammontare dell'indennizzo, effettuata invece quando al dipendente infortunato sia corrisposta la pensione privilegiata.
3. - Il diritto all'equo indennizzo per la menomazione dell'integrità fisica viene riconosciuto anche in caso di morte, considerando che la menomazione non é necessariamente correlata alla capacità lavorativa e che il diritto all'indennizzo, dovuto per legge, sorge nel momento stesso in cui si manifesta la perdita dell'integrità fisica; momento che necessariamente precede la morte dell'infortunato, giacché il decesso presuppone L'infermità, anche se lo stato patologico possa essere di brevissima durata.
Questa ricostruzione della disciplina - operata dalla giurisprudenza, seguita dalla prassi amministrativa e non contraddetta dall'ordinanza di rimessione - offre il contenuto prescrittivo della disposizione denunciata, quale é effettivamente applicata ed operante. In coerenza con questa ricostruzione si afferma che il diritto all'equo indennizzo precede la morte ed appartiene alla sfera patrimoniale dell'infortunato; da questi é acquisito in vita ed é trasmesso agli eredi, ai quali spetta per diritto di successione e non come diritto proprio.
Muovendo in questo contesto normativo ed interpretativo, fatto proprio anche dal giudice rimettente, l'indennizzo, non privo di connotazioni equitative oltre che risarcitorie, rimane temporalmente e concettualmente collegato ad un evento lesivo distinto dalla morte e ad uno stato patologico che la precede.
L'attribuzione patrimoniale riguarda, quindi, direttamente l'impiegato che ha subito la menomazione così indennizzata, anche se, a seguito della morte, l'importo dell'indennizzo venga corrisposto agli eredi.
Sulla base di questa premessa interpretativa, diritto all'indennizzo e diritto alla pensione privilegiata, nonostante la immediata successione temporale dei rispettivi momenti genetici, non si sovrappongono e sorgono, anzi, direttamente in capo a soggetti diversi.
Difatti la pensione di reversibilità, quando ricorrano le condizioni per la sua concessione, é un diritto proprio del coniuge o degli altri congiunti che ne abbiano titolo. Sicchè, seguendo la interpretazione della disciplina dalla qua le muove l'ordinanza di rimessione, é da distinguere l'indennizzo, dovuto al dipendente e corrisposto ai suoi eredi, dalla pensione privilegiata, che é diritto proprio del coniuge o degli altri aventi titolo. In questa prospettiva le due prestazioni sono diverse e non determinano una irragionevole duplicazione di attribuzioni patrimoniali in capo al medesimo soggetto e per il medesimo evento.
La duplicità di prestazioni non consente neppure di ritenere che sussista la denunciata disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati.
Le analoghe finalità di protezione dei lavoratori in caso di infortunio, malattia ed invalidità sono perseguite, nell'ambito dei due settori, con sistemi di garanzia che danno corpo a differenti discipline degli indennizzi per le menomazioni dell'integrità fisica o per l'invalidità permanente.
La comparazione tra le discipline non può essere fatta prendendo in considerazione uno solo degli elementi che concorrono a differenziare i due diversi sistemi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 68, ottavo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 ottobre 1997.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare MIRABELLI, Giudice relatore
Depositata in cancelleria il 30 ottobre 1997.