ORDINANZA N.300
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 371- bis del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, nel procedimento penale a carico di Carano Giuseppe, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 giugno 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che nel corso del giudizio a quo il pubblico ministero chiedeva al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli l'applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti di Carano Giuseppe, indagato per il delitto di cui all'art. 371-bis del codice penale;
che il giudice respingeva la richiesta, ritenendo che l'applicazione della misura cautelare non <<é consentita dalla attuale normativa>> in relazione al reato di false informazioni al pubblico ministero e, con ordinanza del 3 dicembre 1996, sollevava, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 112 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 371-bis, comma 2, del codice penale (come modificato dall'art. 25 della legge 8 agosto 1995, n. 332), nella parte in cui dispone la sospensione del procedimento <<fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere>>, lamentando in sostanza che non si possa procedere immediatamente nei confronti della persona che ha reso dichiarazioni false o reticenti al pubblico ministero;
che, ad avviso del remittente, la norma impugnata, nel prevedere la sospensione del procedimento in caso di reticenza della persona informata sui fatti o di falsità delle dichiarazioni da questa rese, determina una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di cui all'art. 378 cod. pen. (favoreggiamento personale), in relazione alla quale é prevista l'immediata procedibilità e finanche l'arresto, nonchè rispetto alla fattispecie di cui all'art. 372 cod. pen. (falsa testimonianza), aventi entrambe <<la medesima ratio e lo stesso bene giuridico da tutelare>>;
che l'art. 371-bis, comma 2, cod. pen. si porrebbe inoltre, secondo il remittente, in contrasto con i princìpi sanciti negli artt. 2 e 13 della Costituzione, che assegnerebbero allo Stato, anche attraverso l'azione repressiva dei reati, una funzione di garanzia dei diritti dell'uomo e dell'inviolabilità della libertà personale, dal momento che la sospensione del procedimento imposta dalla norma impugnata impedirebbe in casi come quello di specie, in cui si procede per omicidio volontario, l'accertamento della responsabilità in ordine a reati di notevole allarme sociale, con il conseguente venir meno della predetta funzione di garanzia;
che il giudice a quo denuncia altresì il contrasto dell'art. 371-bis, comma 2, cod. pen. con il principio sancito nell'art. 112 della Costituzione, in quanto tale norma, subordinando la procedibilità per il delitto di cui al comma 1 della stessa disposizione all'esito del procedimento nel quale sono state rese le dichiarazioni, introduce una <<notevole restrizione del precetto dell'obbligatorietà dell'azione penale>>;
che la norma censurata violerebbe infine, a parere del remittente, il principio di economia processuale e il <<principio internazionale della speditezza dei processi>> di cui all'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848; principio, quest'ultimo, che secondo il giudice a quo <<ha assunto una valenza costituzionale anche nell'ambito del nostro ordinamento>>; di qui la presunta violazione dell'art. 10 Cost., esplicitamente evocato nella sola parte motiva dell'ordinanza di rimessione;
che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile sotto il duplice profilo del difetto di rilevanza e per essere le censure indirizzate alla disapplicazione della norma impugnata e all'applicazione di un regime più sfavorevole all'indagato o, comunque, infondata.
Considerato che, come emerge dall'ordinanza, la questione é stata sollevata contestualmente al provvedimento con il quale il giudice a quo, ritenuta l'impossibilità di applicare la misura cautelare in carcere, ha rigettato la richiesta formulata dal pubblico ministero;
che, avendo già fatto applicazione della norma impugnata, il rimettente ha esaurito la propria cognizione relativa alla fase cautelare nell'ambito della quale é stata sollevata la questione di costituzionalità;
che, di conseguenza, la questione sollevata, in quanto priva - secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, ordinanze nn. 104 del 1997 e 49 del 1996) - del requisito della rilevanza nel giudizio a quo, va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 371-bis, comma 2, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Guido NEPPI MODONA
Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.