ORDINANZA N.278
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio sull'ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Pretore di Brescia nei confronti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, sorto a seguito dell'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e dell'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), proposto con ricorso depositato il 1° febbraio 1997 e iscritto al n. 70 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che il Pretore di Brescia in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza pronunciata "fuori udienza" e asserendo di avere pendenti innanzi a sè "oltre 2.400 ... giudizi (ivi compresi quelli sospesi a seguito di ordinanze di trasmissione alla Corte costituzionale di questioni di legittimità costituzionale rilevate d'ufficio)" giudizi nei quali viene richiesta l'applicazione dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, "nella versione creata dalla Corte con la sentenza n. 495 del 1993", nonchè dell'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come integrato a seguito della sentenza della Corte n. 240 del 1994 ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti delle due Camere del Parlamento, in relazione all'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che disciplinano, rispettivamente, le modalità di pagamento delle somme maturate a titolo di integrazione delle pensioni, in seguito alle richiamate sentenze della Corte, i soggetti cui spetta il diritto a percepire detti arretrati, l'estinzione dei giudizi in corso e l'inefficacia delle sentenze non ancora passate in giudicato, e all'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), che reca la sanatoria degli effetti di una serie di decreti-legge decaduti, il cui art. 1 era dello stesso tenore delle norme riprodotte nell'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge n. 662 del 1996;
che, secondo il ricorrente, il legislatore avrebbe leso le attribuzioni del potere giudiziario, garantite dagli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, in quanto, disponendo l'estinzione dei giudizi in corso, anzichè dettare quelle regole generali e astratte che sono tipiche della legge e che il giudice é tenuto ad applicare attraverso l'interpretazione, avrebbe sostituito alla decisione del giudice una statuizione legale;
che la violazione delle norme costituzionali sarebbe ancora più evidente perchè il momento dell'estinzione dei giudizi non é connesso all'esatto adempimento dell'obbligazione di pagamento dei crediti attribuiti, con inosservanza anche degli artt. 24 e 25 della Costituzione in riferimento alle posizioni giuridiche degli interessati;
che sarebbe altresì violato l'art. 113 della Costituzione, perchè l'estinzione dei giudizi non consentirebbe ai ricorrenti di agire contro gli atti di diniego dell'INPS, con "invasione illecita della specifica attribuzione dell'organo di giurisdizione ordinaria (giudice del lavoro in sede di merito e di legittimità) competente a conoscere delle domande spiegate dai ricorrenti contro l'INPS";
che, ad avviso del ricorrente, il conflitto sarebbe ammissibile, sussistendo sia la legittimazione attiva del giudice, quale espressione del potere "diffuso" riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, sia la legittimazione passiva delle Camere, in quanto unico organo titolare del potere di emanare le norme contestate, sia il requisito oggettivo del conflitto, richiedendosi alla Corte di valutare la legittimità di norme che privano l'autorità giudiziaria della funzione sua propria;
che sussisterebbe l'interesse del potere ricorrente, inteso non come interesse "proprio della parte" che propone il conflitto, ma come interesse "generale ed assoluto" in quanto diretto a tutelare la legalità dell'ordinamento e la corrispondenza alla Costituzione degli atti dei diversi organi dello Stato;
che, sempre ai fini dell'ammissibilità del conflitto, non sarebbe richiesto il collegamento con uno specifico giudizio in corso, anche se nel caso di specie tale correlazione sarebbe dimostrata dalla pendenza di numerose controversie (oltre 2400), nè la proponibilità del conflitto sarebbe preclusa dal permanere del "poteredovere del giudice di rilevare d'ufficio questioni di legittimità costituzionale a carico delle norme che determinano l'eliminazione della funzione giurisdizionale, sostituendosi ad essa";
che, secondo il ricorrente, i due rimedi (conflitto di attribuzione e questione di legittimità costituzionale) non solo non sono incompatibili, ma concorrono allo stesso fine, sì che "l'utilizzazione già avvenuta dell'uno, non può precludere la liceità del ricorso anche all'altro rimedio, non operando gli stessi allo stesso livello e con la stessa efficacia";
che, in prossimità della camera di consiglio, il giudice ricorrente ha depositato una memoria a ulteriore sostegno dell'ammissibilità del conflitto.
Considerato che il Pretore di Brescia ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti delle due Camere del Parlamento, in relazione all'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e all'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608;
che, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte é chiamata a deliberare in camera di consiglio e senza contraddittorio se il ricorso sia ammissibile, in quanto esista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza;
che i commi 181 e 182 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996 - concernendo, il primo, le modalità di pagamento delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995 sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza dell'applicazione delle sentenze di questa Corte n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994 e, il secondo, la titolarità del diritto al pagamento delle somme anzidette nonchè l'esclusione dalla loro determinazione degli interessi e della rivalutazione monetaria - sono per il loro contenuto evidentemente inidonei a ledere la sfera delle attribuzioni costituzionali del giudice ricorrente, recando esclusivamente una disciplina sostanziale di diritti in materia pensionistica;
che il comma 183 del medesimo art. 1 della legge n. 662 del 1996 - stabilendo che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge stessa, aventi a oggetto le questioni di cui ai commi 181 e 182, sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra le parti e che le sentenze non ancora passate in giudicato restano prive di effetti - contiene norme, disciplinanti direttamente l'esercizio della giurisdizione, di cui il giudice è chiamato o può essere chiamato a fare applicazione per definire giudizi innanzi a sè pendenti; che, quindi, per l'eventualità che il giudice stesso dubiti della legittimità costituzionale delle norme medesime (anche sotto il profilo della possibile lesione della propria sfera di attribuzioni), l'ordinamento appresta un rimedio diverso dal conflitto, vale a dire la questione incidentale di legittimità costituzionale, eventualmente sollevata dal giudice d'ufficio a norma degli articoli 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953;
che le stesse considerazioni valgono anche per la parte in cui il conflitto è proposto in relazione all'art. 1, comma 6, della legge n. 608 del 1996, norma di sanatoria degli effetti di precedenti decreti-legge non convertiti, aventi i medesimi contenuti dei contestati commi 181, 182 e 183 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996;
che, d'altra parte, le ragioni che indussero questa Corte, nella sentenza n. 161 del 1995, ad ammettere che, in casi eccezionali di "situazioni non più reversibili nè sanabili" e in vista della tempestività della garanzia costituzionale di diritti fondamentali, il conflitto di attribuzioni possa affiancarsi al sindacato incidentale non valgono, all'evidenza, nel caso in esame in cui si chiede di riconoscere al giudice il potere di adire la Corte tramite lo strumento previsto a tutela dell'integrità dell'ambito delle sue competenze costituzionali, quando già dispone della possibilità di attivare il giudizio incidentale sulla costituzionalità della legge;
che, pertanto, il conflitto in esame inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Pretore di Brescia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Gustavo ZAGREBELSKI
Depositata in cancelleria il 25 luglio 1997.