ORDINANZA N.229
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1996 dal Pretore di Melfi, sezione distaccata di Rionero in Vulture, nel procedimento penale a carico di Placido Michele, iscritta al n. 573 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto che nel corso del procedimento penale a carico di Placido Michele, chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 572 del codice penale davanti al Pretore di Melfi, sezione distaccata di Rionero in Vulture, con decreto di citazione del Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Melfi, in data 4 maggio 1992, il Pretore dichiarava la propria incompetenza per materia, con sentenza del 24 febbraio 1994, e in ossequio alla sentenza di questa Corte, n. 76 del 1993, ordinava la trasmissione degli atti allo stesso pubblico ministero, rilevando la competenza del Tribunale di quella città;
che il pubblico ministero, con decreto di citazione del 9 giugno 1994, rinviava nuovamente a giudizio il Placido davanti al Pretore di Melfi, sezione distaccata di Rionero in Vulture, in ordine al medesimo reato;
che il difensore dell'imputato sollevava eccezione di illegittimità costituzionale, e il Pretore promuoveva giudizio incidentale relativo all'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 25 e 112 della Costituzione;
che, ad avviso del rimettente, non é possibile, nel caso in esame, sollevare conflitto di competenza dinanzi alla Corte di cassazione, dal momento che esso non riguarda due giudici, come stabilisce l'art. 28 del codice di procedura penale, bensì un giudice e una parte (il pubblico ministero) che ha reiterato l'azione penale in modo difforme da quanto indicato dal giudice nella sentenza;
che, in tale ipotesi, non potrebbe dichiararsi la nullità del decreto di citazione, ai sensi dell'art. 178, lettera b), del codice di procedura penale, avendo il pubblico ministero legittimamente esercitato i propri poteri, in quanto libero di riproporre l'azione penale o di presentare richiesta di archiviazione;
che la Corte costituzionale ha sì modificato la disposizione con la sentenza n. 76 del 1993 senza però stabilire alcun obbligo per il pubblico ministero di esercitare l'azione penale dinanzi al giudice in precedenza indicato come competente;
che simili situazioni si verificherebbero con maggior frequenza nelle sedi di cui alla tabella II allegata al d.P.R. n. 449 del 1988, vale a dire in quegli uffici ove la procura della Repubblica svolge funzioni presso il tribunale e la pretura;
che la mancanza di un obbligo per il pubblico ministero di promuovere l'azione penale davanti all'ufficio indicato nella sentenza dichiarativa dell'incompetenza violerebbe gli artt. 25 e 112 della Costituzione, perchè il titolare dell'accusa sarebbe libero di scegliersi il giudice, disattendendo la statuizione giudiziale relativa alla competenza, con l'effetto di paralizzare l'azione penale, data l'impossibilità per il giudice di procedere nel giudizio;
che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
Considerato che la sentenza della Corte costituzionale n. 76 del 1993 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia ordina la trasmissione degli atti al giudice competente, anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo;
che il diritto vivente, quale si ricava dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, é nel senso che il pubblico ministero non può non prendere atto della decisione del giudice in ordine alla competenza e adeguarvisi;
che le situazioni di abuso del processo, qual é quella da cui trae origine la questione in esame, quando restano confinate all'interno delle situazioni patologiche che generano la paralisi processuale, non sono suscettibili di apprezzamento in sede di giudizio di costituzionalità (v. ordinanze nn. 255 del 1995, 182 del 1992 e 253 del 1991), ma - per essere prive di sanzioni interne al processo - danno luogo a problemi risolubili soltanto nell'ambito delle leggi di ordinamento giudiziario;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 25 e 112 della Costituzione, dal Pretore di Melfi, sezione distaccata di Rionero in Vulture, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Francesco GUIZZI
Depositata in cancelleria il 4 luglio 1997.