Sentenza n. 216

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SENTENZA N. 216

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA         

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI                

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1995 dal Tribunale per i minorenni di Napoli, nel procedimento civile vertente tra Candelmo Tommasina e Petito Francesco, iscritta al n. 331 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 7 maggio 1997 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un giudizio di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il Tribunale per i minorenni di Napoli, con ordinanza emessa il 14 novembre 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non limita il giudizio di ammissibilità dell'azione di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale all'esame dell'interesse del minore.

Il giudice rimettente, dopo aver premesso che la ratio del giudizio di ammissibilità in esame deve individuarsi nella necessità di evitare che siano intentate azioni temerarie o ricattatorie nei confronti della parte convenuta, osserva che la norma non é più rispondente alla funzione cui essa é preordinata, in quanto le attuali conoscenze scientifiche consentono di raggiungere la certezza assoluta della paternità biologica. La previsione di una fase preliminare di ammissibilità dell'azione, nella quale devono essere acquisiti e valutati elementi probatori circa la sussistenza di specifiche circostanze tali da far apparire giustificata l'azione medesima, determina, ad avviso del Tribunale rimettente, una irragionevole limitazione del diritto dei minori ad ottenere il riconoscimento, in quanto esso viene ad essere subordinato ad un giudizio, nel quale si ha riguardo non unicamente all'interesse del minore medesimo, bensì agli elementi di prova che le parti siano state in grado di offrire e alla valutazione degli stessi, con conseguente lesione dei principi costituzionali a tutela dei minori.

Considerato in diritto

1. -- Il Tribunale per i minorenni di Napoli denuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non limita il giudizio di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale all'esame dell'interesse del minore.

Ad avviso del giudice a quo la suddetta norma sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione, poichè, oltre a mancare di razionalità, non essendo più rispondente alla funzione cui é preordinata, limita il diritto dei minori ad ottenere il riconoscimento, subordinandolo ad un preventivo giudizio basato su valutazione di prove che non sempre le parti sono in grado di offrire, anzichè esclusivamente sull'esame dell'interesse dei minori medesimi.

2. -- La questione non é fondata.

Il Tribunale rimettente solleva il dubbio che la previsione di una fase preliminare di ammissibilità, così come oggi configurata, determini una limitazione del diritto del minore al riconoscimento, ritenendo che nel giudizio in esame debbano necessariamente acquisirsi prove testimoniali o documentali di particolare consistenza da porre a sostegno della declaratoria di ammissibilità, tali da provocare grave pregiudizio nel caso di mancato assolvimento al predetto onere.

La premessa interpretativa da cui muove il rimettente non sembra però tener conto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, pur citato nell'ordinanza di rimessione, secondo il quale, ai fini della pronuncia di ammissibilità dell'azione in oggetto, non si richiede l'esistenza di prove aventi efficacia piena e assoluta, ma é ritenuto sufficiente il concorso di elementi anche di tipo presuntivo, che siano potenzialmente idonei "a far apparire l'azione verosimile e non priva di fondamento" (Cass. 3 febbraio 1990, n. 737); tanto che, secondo la situazione concreta, la pronuncia di ammissibilità può essere fondata anche sulle affermazioni della parte ricorrente. Ancora si é affermato in giurisprudenza che non vi é alcun obbligo per il giudice di assumere le informazioni del caso, ove egli ritenga di pervenire ad una declaratoria di ammissibilità in forza delle sole circostanze dedotte.

L'applicazione giurisprudenziale della norma censurata esclude quindi che da essa possa derivare il pregiudizio lamentato e di conseguenza esclude ogni censura di incostituzionalità.

3. -- In riferimento, poi, al profilo della pretesa irragionevolezza della norma, che, ad avviso del rimettente, non sarebbe più rispondente allo scopo cui é preordinata, onde il procedimento in esame dovrebbe essere limitato alla mera valutazione dell'interesse del minore al riconoscimento, questa Corte ha già avuto modo di affermare che l'esame di tale interesse costituisce una componente essenziale dell'oggetto del giudizio di ammissibilità, non incompatibile con le ragioni di tutela del convenuto, cui é ispirata la norma stessa, in quanto "la veridicità del preteso rapporto di filiazione col convenuto, del quale il giudice deve in questa prima fase controllare l'esistenza di seri indizi, é pure un elemento dell'interesse del minore" (sentenza n. 341 del 1990).

E' quindi compito precipuo del Tribunale per i minorenni, cui del resto é stata attribuita la relativa specifica competenza, verificare se la modifica dello status del minore risponda al suo interesse e non sia per lui di pregiudizio; così come contemporaneamente occorre anche verificare, sia pure con sommaria delibazione, la verosimiglianza del preteso rapporto di filiazione, dovendosi garantire il diritto del minore alla propria identità (sentenza n. 112 del 1997).

Il procedimento in esame é ispirato pertanto a due finalità concorrenti e non in contrasto tra loro, essendo posto a tutela non solo del convenuto contro il pericolo di azioni temerarie e ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta nell'affermazione di un rapporto di filiazione veridico, che non pregiudichi la formazione e lo sviluppo della propria personalità.

I profili di incostituzionalità dedotti dal giudice a quo sono, per le indicate ragioni, insussistenti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 274, primo e secondo comma, del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 30 e 31 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernanda CONTRI

Depositata in cancelleria il 3 luglio 1997.