SENTENZA N. 100
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 50, secondo comma, terzo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà personale), promossi con n. 3 ordinanze emesse il 5 febbraio (n. 2 ordinanze) ed il 29 gennaio 1996 dal Tribunale di sorveglianza di Bari, rispettivamente iscritte ai nn. 520, 528 e 567 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 24, 25 e 26, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di procedimenti avviati su istanze di altrettanti condannati a pena detentiva inferiore a tre anni ma superiore a sei mesi, volte ad ottenere l'affidamento in prova al servizio sociale o in subordine la semilibertà, il Tribunale di sorveglianza di Bari, non ravvisando la sussistenza delle condizioni per la concessione dell'affidamento in prova, e rilevato che anche la domanda subordinata di semilibertà dovrebbe essere rigettata, in quanto tale ultima misura può essere adottata solo all'esito di un periodo di osservazione in un istituto penitenziario, con tre ordinanze di analogo tenore emesse il 5 febbraio 1996 (R.O. nn. 520 e 528 del 1996) e il 29 gennaio 1996 (R.O. n. 567 del 1996), pervenute a questa Corte rispettivamente il 10, 13, 20 maggio 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 50, comma 2, terzo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà personale).
Per le pene detentive superiori a sei mesi l'art. 50, comma 2, dell'ordinamento penitenziario prevede che, di regola, il condannato possa essere ammesso al regime di semilibertà solo dopo l'espiazione di almeno metà della pena; tuttavia può essere ammesso "anche prima dell'espiazione di metà della pena", "nei casi previsti dall'art. 47", che disciplina l'affidamento in prova al servizio sociale, se "i risultati dell'osservazione" - prevista dall'art. 47, comma 2, ai fini della concessione di tale ultima misura, e "condotta collegialmente per almeno un mese in istituto" - non legittimano l'affidamento in prova, ma "possono essere valutati favorevolmente in base ai criteri indicati dal comma 4" del medesimo art. 50 per la concessione della semilibertà, vale a dire "in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società".
Ad avviso dell'autorità remittente, la norma in questione - la cui applicazione nella specie non consentirebbe la concessione della semilibertà, che viceversa costituirebbe l'unica risposta idonea alla situazione in concreto prospettata - sarebbe in primo luogo in contrasto con il principio di uguaglianza e ragionevolezza sancito dall'art. 3 della Costituzione.
Essa riserverebbe un trattamento irragionevolmente difforme a situazioni analoghe: mentre, infatti, per le pene comprese fra sei mesi e tre anni di reclusione, é consentito l'affidamento in prova, sulla base della relativa valutazione favorevole, anche ab initio, e cioé senza necessità di preventiva osservazione in carcere (in forza della disposizione di cui al comma 3 dell'art. 47 dell'ordinamento penitenziario, che permette la valutazione a questo fine del comportamento del condannato in libertà), la norma impugnata non consente invece la concessione della semilibertà sin dall'inizio, ma solo in esito all'osservazione in istituto, che deve protrarsi per almeno un mese.
Secondo il giudice a quo, la norma sarebbe in ciò affetta da un vizio logico, perchè la valutazione della condotta in libertà, se é sufficiente per valutare l'idoneità all'affidamento in prova, dovrebbe a maggior ragione consentire di valutare la possibilità di concedere il beneficio minore in cui si sostanzia la semilibertà.
Sarebbe altresì incongruo e irragionevole imporre un breve periodo di osservazione in carcere, che non potrebbe avere una reale valenza risocializzante, tanto più per la ineliminabile componente carceraria della semilibertà.
Vi sarebbe altresì sperequazione fra il trattamento normativo della semidetenzione, pena sostitutiva che comporta un regime simile alla semilibertà, e che può essere concessa ab initio per una durata fino ad un anno, e quello della medesima semilibertà.
Inoltre sarebbe irragionevole la disciplina che consente la concessione della semilibertà a soggetti che abbiano una pena da espiare non superiore a sei mesi, quando questa residui da maggior pena, in parte anche maggioritaria trascorsa in custodia cautelare, e dunque a condannati con un più alto grado di pericolosità manifestato dall'adozione della misura cautelare, e non a soggetti che debbano espiare per intero la pena dopo la condanna definitiva; nonchè, più in generale, a coloro che siano stati condannati a pena più elevata, ma con pena residua compresa nei sei mesi, e non ai condannati a pena più lieve ma superiore anche di poco a sei mesi.
In secondo luogo, la norma impugnata contrasterebbe con l'art. 27 della Costituzione, in quanto l'obbligatorio ingresso in carcere, anche nel caso di condannato che abbia intrapreso un'attività lavorativa, di istruzione o comunque risocializzante in libertà, come condizione per l'ammissione alla semilibertà, spezza la continuità dell'esperienza, con effetti che potrebbero rivelarsi deleteri in ordine alla situazione economico-lavorativa e rieducativa dell'interessato.
Al riguardo, sarebbe irragionevole e contrario allo spirito dell'art. 27 della Costituzione la differenza fra la valutazione imposta al giudice allorquando verifica la possibilità di concedere la semilibertà come alternativa all'affidamento in prova ab initio, per le pene non superiori a sei mesi, e che può essere compiuta nei confronti del condannato in libertà, e quella imposta per le pene da sei mesi a tre anni, che dovrebbe comunque obliterare la condotta in libertà per volgersi ai progressi compiuti nel corso del brevissimo, non defettibile, periodo di carcerazione; periodo che, proprio per la sua brevità, non potrebbe avere alcun effetto rieducativo, potendo viceversa sortire effetti contrari alla rieducazione.
In definitiva, il remittente sottolinea la "necessità giuridica, sul piano della legittimità costituzionale, che le due misure funzionalmente omogenee per tutto quanto riguarda le altre previsioni" - s'intende, l'affidamento in prova e la semilibertà - "già con le istanze avanzate dallo stato di libertà presentino i medesimi requisiti di ammissibilità".
2.- E' intervenuto nei tre giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, riportandosi integralmente all'atto depositato nel giudizio promosso con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Firenze in data 17 novembre 1993 (R.O. n. 102 del 1994), ove si sollevava questione ad avviso dell'Avvocatura analoga a quella ora proposta dal Tribunale di sorveglianza di Bari.
In quell'occasione, peraltro, le questioni sollevate (poi dichiarate manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza con l'ordinanza n. 369 del 1994, e quindi, una volta riproposte - con la R.O. n. 189 del 1995 -, dichiarate una manifestamente inammissibile perchè irrilevante, l'altra manifestamente infondata) investivano, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, l'art. 176, terzo comma, del codice penale (che subordina l'ammissione alla liberazione condizionale del condannato all'ergastolo all'espiazione di almeno ventisei anni di pena) e l'art. 50, comma 5, dell'ordinamento penitenziario (che subordina l'ammissione alla semilibertà del condannato all'ergastolo all'espiazione di almeno venti anni di pena). Nell'atto allora depositato, e allegato ora agli atti di intervento nei presenti giudizi, l'Avvocatura erariale, pur concludendo con una richiesta di dichiarazione di non fondatezza, argomentava esclusivamente sulla irrilevanza delle proposte questioni, quanto all'art. 176 del codice penale, perchè relativa al tema della liberazione condizionale ancorchè sollevata in un procedimento su istanza di semilibertà, e, quanto all'art. 50 dell'ordinamento penitenziario, perchè si prospettava una questione puramente interpretativa in ordine all'efficacia, ai fini della ammissione alla semilibertà, della intervenuta concessione al condannato all'ergastolo dell'indulto o di "analoghi benefici clemenziali". Argomenti tutti, questi, estranei alla questione oggi sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Bari.
Considerato in diritto
1.- Le tre ordinanze sollevano la medesima questione, onde i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2.- La questione investe l'art. 50, comma 2, terzo periodo, dell'ordinamento penitenziario di cui alla legge n. 354 del 1975, come sostituito dall'art. 14 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, e da ultimo modificato dall'art. 1 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152. In deroga alla regola generale fissata dallo stesso art. 50, comma 2, primo periodo, secondo cui la semilibertà può essere concessa, in relazione a pene superiori a sei mesi di detenzione, solo dopo che sia stata espiata almeno metà della pena (o due terzi nel caso di condanna per alcuni reati), la norma denunciata consente l'ammissione al beneficio anche prima, nell'ipotesi in cui, ricorrendo i presupposti di entità della pena previsti per la concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale (pene non superiori a tre anni), l'osservazione collegiale nell'istituto di pena, prescritta in vista di tale ultima misura, non dia risultati positivi a questo fine, ma consenta invece una valutazione favorevole ai fini della concessione della semilibertà, e ciò in base ai criteri in generale prescritti dal comma 4 del medesimo art. 50, vale a dire in relazione ai progressi compiuti nel trattamento, quando vi siano le condizioni per un graduale reinserimento del condannato nella società. Ad avviso dell'autorità remittente, la disposizione sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza, nonchè con il fine rieducativo della pena di cui all'art. 27 della Costituzione, principalmente in quanto, per pene da scontare rientranti negli stessi limiti, a differenza dell'affidamento in prova al servizio sociale, cui il condannato può essere ammesso anche senza un previo periodo di osservazione in carcere, ma sulla base della valutazione della sua condotta in libertà (come ora é previsto dall'art. 47, comma 3, dell'ordinamento penitenziario, anche a seguito della sentenza n. 569 del 1989 di questa Corte), non consente la concessione del minore beneficio della semilibertà: in tal modo subordinando la misura all'espiazione di un periodo di pena in carcere anche quando si possa valutare che il regime di semilibertà risponderebbe alle esigenze di reinserimento del condannato nella società.
3.- La questione non é fondata.
L'affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall'art. 47, e la semilibertà, regolata dall'art. 50 dell'ordinamento penitenziario, sono due misure alternative alla detenzione non solo di contenuto diverso (la prima comporta l'espiazione della pena fuori dal carcere, la seconda invece consente di trascorrere fuori dal carcere solo alcune ore della giornata), ma anche fondate su diversi presupposti. L'affidamento in prova può essere concesso solo per pene non superiori a tre anni (anche se costituenti residuo di maggior pena parzialmente scontata), e presuppone una valutazione favorevole circa l'idoneità della misura a contribuire alla rieducazione del condannato, e a prevenire il pericolo che egli commetta nuovi reati. La semilibertà, viceversa, non é di per sè legata ad un massimo di pena da scontare, ma presuppone, in generale, l'esito positivo di quello che la legge indica come "trattamento" penitenziario del condannato, svoltosi per un periodo pari ad almeno metà della pena, ed una prognosi favorevole circa la possibilità di un suo graduale reinserimento nella società, attraverso le attività che egli può svolgere nelle ore di permanenza fuori dal carcere. Solo nel caso di pene non superiori a sei mesi il legislatore ha previsto che esse possano essere senz'altro scontate in regime di semilibertà, ove non abbia luogo l'affidamento in prova, così prescindendo - in ragione della brevità della pena - dall'esito di un previo periodo di carcerazione, e consentendo l'ammissione al regime medesimo sin dall'inizio, come modalità di espiazione dell'intera pena (art. 50, comma 6).
Nell'impostazione originaria della legge, anche l'affidamento in prova al servizio sociale era misura suscettibile di intervenire solo dopo un periodo di carcerazione, durante il quale potesse aver luogo l'osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno tre mesi, che consentisse di operare la valutazione di cui si é detto. Successivamente però, in forza di vari interventi legislativi, la condizione della previa osservazione della personalità del condannato condotta in carcere é stata ridotta nella durata, eliminata per casi particolari, e parimenti eliminata quando il condannato, in libertà, abbia serbato un comportamento tale da consentire il favorevole giudizio previsto, dopo che, per effetto della sentenza n. 569 del 1989 di questa Corte, é caduta l'ulteriore condizione dell'avere, in questo caso, il condannato trascorso un periodo in custodia cautelare. E tuttavia, già secondo la disciplina originaria, l'affidamento in prova era subordinato non tanto ad un previo periodo di esecuzione della pena, quanto ad una "osservazione" della personalità, di cui la permanenza in carcere era solo lo strumento, essenziale essendo piuttosto la valutazione prognostica circa l'effetto rieducativo della prova e la prevenzione di nuovi reati: mentre la semilibertà veniva chiaramente configurata come una tappa ulteriore di un trattamento carcerario, che per un primo periodo avvenisse in regime di detenzione in carcere, e successivamente potesse proseguire in regime solo parzialmente carcerario (cfr. infatti l'art. 51, comma 1, che si riferisce alla semilibertà pur sempre in termini di "trattamento").
Le successive vicende legislative e giurisprudenziali hanno condotto, come si é detto, per quanto riguarda l'affidamento in prova, a contemplare la possibilità che il giudizio prognostico favorevole si fondi, anzichè sull'osservazione del condannato in carcere, sulla valutazione del suo comportamento in libertà. Per quanto riguarda invece la semilibertà, il legislatore del 1986 si é limitato a prevedere una deroga alla condizione della previa espiazione di metà della pena, stabilendo che l'ammissione alla misura possa aver luogo anche prima, allorquando sussistano le condizioni di entità della pena da scontare (non superiore a tre anni) previste per l'affidamento in prova, e l'osservazione effettuata in istituto ai fini dell'affidamento in prova non dia esito favorevole a tale effetto, ma consenta una valutazione invece favorevole per la concessione della semilibertà medesima.
Ora, é ben vero che in tal modo si é istituita, per queste ipotesi, una sorta di graduazione fra le due misure, considerando la semilibertà come un'alternativa "minore" all'affidamento in prova (come d'altra parte é suggerito dalla natura dei due istituti, e come già era disposto per le pene sino a sei mesi dal comma 1 dell'art. 50): ma ciò non toglie che la fisionomia dei due istituti sia rimasta ancorata ai presupposti e ai connotati propri di ciascuno di essi. Da un lato, infatti, la deroga riguarda espressamente solo l'entità della pena già scontata: la possibilità di concedere la semilibertà "anche prima dell'espiazione di metà della pena" non equivale alla possibilità di concederla "prima dell'inizio dell'espiazione della pena", come invece é espressamente stabilito dal comma 6 solo nei casi di pena non superiore a sei mesi. Dall'altro lato, la valutazione favorevole richiesta deve essere effettuata per legge "in base ai criteri indicati dal comma 4" dello stesso art. 50, vale a dire "in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società": il che conferma che la deroga prevista quanto alla durata della pena già scontata non altera il carattere dell'istituto, il quale si presenta come una fase ulteriore, susseguente ad un periodo di carcerazione. Ulteriore conferma dei caratteri della misura si trae dal fatto che, nel rinviare ai risultati dell'osservazione compiuta ai fini dell'affidamento in prova, la disposizione in esame - che pure, si badi, é coeva di quelle con le quali si é disancorato l'affidamento in prova dalla condizione inderogabile dell'osservazione in istituto, introdotte anch'esse con la riforma del 1986 - richiama espressamente solo la "osservazione di cui al comma 2" dell'art. 47, cioé appunto la osservazione collegiale in istituto, mentre non viene fatto alcun richiamo al comma 3 dello stesso art. 47, che prevede il giudizio fondato sul comportamento in libertà del condannato.
4.- Di ciò appunto si duole il giudice a quo, il quale ravvisa una ingiustificata e irragionevole disparità di disciplina, da questo punto di vista, fra la misura dell'affidamento in prova e il "beneficio meno ampio" della semilibertà.
Ma il denunciato vizio di irragionevolezza appare insussistente, se si tiene conto di quanto si é detto sulla sostanziale diversità di presupposti delle due misure. La sottoposizione del beneficio della semilibertà alla condizione della previa espiazione in carcere di un periodo di pena, sia pure - in deroga alla regola generale dell'art. 50, comma 2, primo periodo - non determinato nella sua durata, appare coerente con la scelta di base operata dal legislatore quando ha configurato tale misura alternativa di solo parziale decarcerazione, e non può dunque mettersi a raffronto, ai fini di un giudizio di ingiustificata disparità di disciplina, con i presupposti dell'affidamento in prova, che può essere disposto solo quando si ritenga che il regime extracarcerario "contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati" (art. 47, comma 2, ordinamento penitenziario). In assenza di queste condizioni (come nel caso sottoposto al giudice remittente, in cui tale assenza é stata dal medesimo accertata), la possibilità di disporre la semilibertà é, non irragionevolmente, sottoposta alle diverse condizioni stabilite dalla legge per quest'ultima misura.
Nè sussiste, contrariamente a quanto afferma il giudice a quo, alcuna "necessità giuridica", sul piano della legittimità costituzionale, che le due misure - che non sono, per quanto si é detto, "funzionalmente omogenee" - presentino "i medesimi requisiti di ammissibilità".
In una prospettiva di espansione delle misure alternative e di superamento del carcere, almeno per le pene brevi, come normale e prevalente strumento di espiazione della pena e di risocializzazione del reo, potrebbe essere opportuno un ripensamento complessivo dell'attuale sistema, anche considerando con maggior larghezza e favore, nell'ambito di una coordinata strategia dell'esecuzione penale, sia l'affidamento in prova al servizio sociale, sia la semilibertà, sia altre misure alternative. Ma ciò appartiene all'ambito delle scelte di politica penitenziaria e delle considerazioni di opportunità legislativa: come pure al medesimo ambito appartiene la valutazione dei dubbi che il remittente prospetta circa l'efficacia della detenzione in carcere, specie per brevi o brevissimi periodi, quale presupposto necessario per la concessione della semilibertà (anche se la disposizione censurata, di per sè, non pone alcun limite alla durata della detenzione pregressa, limitandosi a rimuovere la condizione necessaria della espiazione di metà della pena).
In ogni caso, ciò non vale a dare fondamento ad una censura di illegittimità costituzionale, per irragionevole disparità di trattamento, a carico della disposizione denunciata.
5.- Nemmeno può sostenersi che sia irragionevole la condizione in questione, perchè essa non é richiesta ai fini della concessione della semidetenzione, istituto considerato dal remittente, tra le sanzioni sostitutive, "più simile alla semilibertà". Il parallelismo prospettato é solo apparente, perchè la semidetenzione non é misura disposta in sede di esecuzione della pena, ma pena sostitutiva che il giudice, nel pronunciare la condanna, può applicare in luogo della detenzione: ed é dunque naturale che essa non presupponga la previa detenzione in carcere.
Parimenti non può fondarsi la censura di irragionevolezza sulla circostanza che la semilibertà potrebbe essere concessa, ai sensi dell'art. 50, comma 1, dell'ordinamento penitenziario, anche quando si tratti di scontare un residuo di pena non superiore a sei mesi, da parte di un condannato a pena più lunga, il quale possa far valere un periodo di precedente custodia cautelare, ovvero si sia visto ridurre la pena da scontare in virtù di cause di estinzione. L'ipotizzata ammissione alla semilibertà in tali casi non sarebbe che la naturale conseguenza del fatto che il periodo trascorso in carcerazione preventiva, o la parte di pena estinta per altra causa, rilevano ai fini della determinazione della pena da espiare. E nemmeno si può ritenere di per sè irragionevole la scelta del legislatore di consentire la concessione della semilibertà ab initio, senza necessità di un previo periodo di espiazione in carcere, per le pene non superiori a sei mesi, dato che in questo caso proprio la brevità della pena da espiare ha suggerito di ammettere con maggiore larghezza il ricorso alla misura alternativa.
6.- Del pari infondata é la censura riferita alla violazione dell'art. 27 della Costituzione. Le considerazioni secondo cui la necessità di scontare una parte della pena in regime carcerario, obbligando il condannato ad abbandonare l'attività lavorativa, di istruzione o comunque risocializzante già intrapresa in libertà, potrebbe sortire effetti negativi sul piano rieducativo, e secondo cui un breve periodo di carcere potrebbe non avere concreta efficacia rieducativa,attengono ancora una volta al piano della opportunità. D'altra parte, il legislatore ha previsto, quando un condannato goda già di una misura alternativa, e così anche della semilibertà, e sopravvenga un nuovo titolo di esecuzione di altra pena detentiva, che la misura in corso possa proseguire, senza soluzione di continuità, allorchè, tenuto conto del cumulo delle pene, permangano le condizioni rispettivamente previste per la concessione della misura medesima, e così, quanto alla semilibertà, le condizioni di cui ai primi tre commi dell'art. 50 (art. 51-bis dell'ordinamento penitenziario).
Di certo, comunque, non é possibile affermare che, di per sè, l'imporre un periodo di espiazione in regime carcerario contraddica la finalità rieducativa cui sempre deve tendere la pena, in tutte le sue forme di esecuzione.
7.- In definitiva, le censure mosse dal remittente, pur essendo dirette a sostenere l'illegittimità costituzionale solo dell'art. 50, comma 2, terzo periodo, si appuntano, in sostanza, sulla scelta legislativa di configurare la semilibertà come una misura concedibile solo dopo un periodo di regime carcerario, salvo che per le pene non superiori a sei mesi. Ma su questo terreno le censure non superano l'ambito di pur apprezzabili opinioni di politica dell'esecuzione penale, senza attingere al livello della violazione dei principi costituzionali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, comma 2, terzo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Bari con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Relatore: Valerio ONIDA
Depositata in cancelleria il 18 aprile 1997.