Ordinanza n.369 del 1994

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ORDINANZA N. 369

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 50, quinto comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e 176, terzo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1993 dal Tribunale di sorveglianza di Firenze sull'istanza proposta da Misso Giovanni, iscritta al n. 102 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 giugno 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Firenze, con ordinanza del 17 novembre 1993 (r.o. n. 102/1994), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 50, quinto comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e 176, terzo comma, cod. pen., in quanto non riconoscono alcun effetto alla intervenuta concessione dell'indulto ai fini della ammissione, rispettivamente, alla semilibertà e alla liberazione condizionale del condannato all'ergastolo;

che, ad avviso del giudice remittente, le norme sottoposte a censura contrastano in primo luogo con l'art. 3, primo e secondo comma, Cost., perchè irragionevolmente, mentre per le pene detentive temporanee, ai fini del computo del periodo minimo di detenzione per la concedibilità dei suddetti benefici, deve essere detratta la parte di pena condonata, ciò non è consentito, invece, ai medesimi fini, per la pena dell'ergastolo, che, nella sua evoluzione normativa, stante l'applicabilità ad essa dei benefici carcerari, deve considerarsi una pena "a termine incerto";

che sarebbe inoltre violato l'art. 27, terzo comma, Cost., perchè, una volta soddisfatta, attraverso il ravvedimento del reo, la finalità rieducativa della pena, costringere il condannato a subìre il regime inframurario, a causa dell'esclusione dal computo della pena espiata di condoni applicabili alla generalità di detenuti, equivarrebbe ad infliggergli una sofferenza gratuita, così da realizzare un trattamento contrario al senso di umanità;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'inammissibilità della questione, sia perchè non rilevante, relativamente alla impugnativa dell'art. 176 cod. pen., sia perchè comunque nell'ordinanza il giudice a quo si limiterebbe a prospettare meri dubbi interpretativi.

Considerato che nella ordinanza non viene specificato il titolo di reato per il quale l'istante ha riportato la condanna all'ergastolo della cui esecuzione si tratta, nè sono esplicitamente indicati i decreti di indulto che, secondo la valutazione del remittente, sarebbero astrattamente applicabili alla fattispecie;

che il giudice a quo non precisa nemmeno se, anche prescindendosi dalla natura della pena, sussistano in ipotesi tutti i requisiti oggettivi e soggettivi ai quali normalmente i provvedimenti clemenziali subordinano l'operatività del condono;

che mancano, pertanto, i dati essenziali ai fini della valutazione della rilevanza della questione, che va conseguentemente dichiarata manifestamente inammissibile, essendo assorbita da tali rilievi l'eccezione di inammissibilità proposta, sotto altri profili, dall'Avvocatura generale dello Stato.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 50, quinto comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) e 176, terzo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 3, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Firenze con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 Luglio 1994.