Sentenza n. 95

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SENTENZA N. 95

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA ,Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 410, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 febbraio 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia, negli atti relativi alla querela proposta da Tanis Asim, iscritta al n. 498 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1996;

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  Udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

Ritenuto in fatto

 

  1.- Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia, investito della richiesta d'archiviazione in un procedimento per diffamazione a mezzo stampa, con ordinanza emessa il 23 febbraio 1996 ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 76 della Costituzione, in relazione all'articolo 2, comma 1, direttiva numero 51, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, dell'articolo 410, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui prescrive a pena d'inammissibilità che la persona offesa indichi nell'atto di opposizione l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, anzichè i soli motivi dell'opposizione.

  Il Giudice rileva che l'opposizione del querelante era da ritenersi inammissibile ai sensi del comma 1 dell'articolo 410 cod. proc. pen., perchè non conteneva indicazioni circa l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, anche se era ampiamente motivata in ordine alla sussistenza della fattispecie delittuosa denunciata e, quindi, appariva fornita dei requisiti previsti dalla legge-delega nella direttiva numero 51.

  Di conseguenza, ad avviso del rimettente, l'articolo 410, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui prescrive a pena di inammissibilità che la persona offesa indichi nell'atto di opposizione l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, sarebbe in contrasto con la citata direttiva della legge-delega, che prevede semplicemente la "facoltà della persona offesa dal reato ... di formulare al giudice istanza motivata di fissazione dell'udienza preliminare", violando, quindi, l'articolo 76 della Costituzione.

  La disciplina dell'opposizione della persona offesa regolata dall'articolo 410 contrasterebbe inoltre con l'articolo 3 della Costituzione: in via generale, perchè sarebbe priva di ragionevolezza la differente tutela accordata alla persona offesa, la quale, nel caso in cui il pubblico ministero, per scarsa diligenza o per altra ragione, non abbia completato le indagini, ha la possibilità di proporre opposizione ammissibile, con cui far valere anche le sue diverse valutazioni in diritto o sul materiale acquisito, mentre quando il pubblico ministero ha esaurito ogni indagine é in concreto privata di tale facoltà. L'ingiustificata disparità di trattamento della persona offesa sarebbe ancora più irragionevole nell'ipotesi - che ricorre nel caso di specie - di reati di diffamazione a mezzo stampa, per i quali - non essendo per la maggior parte dei casi necessario espletare indagine alcuna - la persona offesa avrebbe possibilità di intervento assai ridotte in sede di opposizione alla richiesta di archiviazione: e ciò malgrado il legislatore abbia ritenuto che per i reati di ingiuria e diffamazione il patrimonio morale delle persone offese meritasse una più energica tutela, come può desumersi dal fatto che l'articolo 577 cod. proc. pen. prevede eccezionalmente la loro facoltà, se costituite parte civile, di proporre impugnazione anche agli effetti penali.

  2.- Nel giudizio dinanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

  L'Avvocatura sostiene che la delega ha offerto al legislatore un discreto margine di manovra in relazione al contenuto dell'opposizione all'archiviazione. Nell'ambito di questa discrezionalità, la scelta legislativa é di evitare che l'opposizione all'archiviazione si risolva in proposizione di temi o mezzi di prova manifestamente superflui o irrilevanti, tanto é vero che la giurisprudenza ha ritenuto inammissibile l'opposizione che si risolva nella mera valutazione critica delle indagini e che si limiti a sollecitare approfondimenti generici. L'impianto sarebbe, secondo l'Avvocatura, coerente con la disciplina generale dell'articolo 90 cod. proc. pen., in relazione alla veste processuale della persona offesa e al contributo che la stessa può offrire nell'indicazione dei mezzi di prova, e con l'articolo 187 cod. proc. pen., per il quale tra i fatti oggetto di prova non rientra l'interpretazione delle norme (iura novit curia).

  La disparità di trattamento sarebbe poi esclusa dal fatto che ragionevolmente dispongono dello strumento dell'opposizione ammissibile solo coloro che - in relazione a qualsiasi reato - siano in grado di dimostrare la necessità di completare il materiale probatorio già acquisito.

  Da ultimo l'Avvocatura osserva che comunque _il giudizio di costituzionalità andrebbe esteso all'articolo 156 disposizioni attuazione che si riferisce all'archiviazione disposta dal Pretore_.

Considerato in diritto

 

  1.- Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 410, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui prescrive che nell'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione la persona offesa indichi a pena di inammissibilità l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, mentre la direttiva numero 51 dell'art. 2, comma 1, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, si limita a stabilire che la persona offesa deve formulare _istanza motivata di fissazione dell'udienza preliminare_.

  La disciplina dettata dall'art. 410, comma 1, cod. proc. pen., violerebbe quindi l'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega, e contrasterebbe inoltre con l'art. 3 della Costituzione, a causa dell'ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento riservata alla persona offesa a seconda che il pubblico ministero, per scarsa diligenza o per altra ragione, abbia svolto indagini incomplete, ovvero abbia compiuto tutte le indagini necessarie: in tale ultimo caso la persona offesa - secondo il Giudice rimettente - rimarrebbe infatti priva della possibilità di presentare opposizione basata su una diversa prospettazione dei fatti ovvero su valutazioni in diritto difformi da quelle sostenute dal pubblico ministero.

  La disparità di trattamento sarebbe ancora più irragionevole nei confronti di quei reati - tra cui il delitto di diffamazione a mezzo stampa, oggetto del giudizio a quo - per i quali non é in genere necessario espletare alcuna indagine. Nel caso di specie, la disparità di trattamento si porrebbe in ulteriore contrasto con la più energica tutela riservata dal legislatore alle persone offese dai reati di ingiuria e di diffamazione, eccezionalmente abilitate dall'art. 577 cod. proc. pen., se costituite parte civile, a proporre impugnazione anche agli effetti penali.

  2.- La questione é infondata con riferimento ad entrambi i parametri invocati.

  3.- Il profilo di illegittimità per eccesso di delega é stato prospettato sulla base di un'erronea interpretazione della disciplina apprestata dall'art. 410, commi 1 e 2, cod. proc. pen.. Contrariamente a quanto sostenuto dal Giudice rimettente, dal combinato disposto dei commi primo e secondo di tale norma non emerge infatti che il codice abbia predisposto una tutela della persona offesa opponente minore di quella voluta dalla direttiva numero 51 della legge-delega.

  E' vero che l'art. 410, comma 1, cod. proc. pen. prescrive che con l'atto di opposizione la persona offesa chieda la prosecuzione delle indagini e indichi, a pena di inammissibilità, l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova (requisiti non richiesti dalla direttiva numero 51 della legge-delega), ma il comma 2 stabilisce che la pronuncia immediata del decreto di archiviazione é subordinata alla duplice condizione che l'opposizione sia inammissibile e che la notizia di reato sia infondata. In questo senso si é costantemente e uniformemente pronunciata la giurisprudenza di legittimità, che ha appunto sostenuto la necessità di entrambe le condizioni perchè il giudice possa pronunciare de plano decreto di archiviazione.

  Sulla base di questa disciplina, una opposizione che non contenga l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova non preclude quindi al giudice che non ravvisi, ad un primo esame, l'infondatezza della notizia di reato, di fissare l'udienza in camera di consiglio a norma dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen., così assicurando alla persona offesa la medesima forma di tutela prescritta dalla direttiva numero 51 della legge-delega. Anzi, in tale ipotesi il codice garantisce maggiormente la persona offesa, in quanto l'art. 410, comma 2, cod. proc. pen. indica espressamente i due presupposti (inammissibilità dell'opposizione e infondatezza della notizia di reato) che legittimano la pronuncia del decreto di archiviazione de plano, mentre alla stregua della direttiva numero 51 della legge-delega l'obbligo di fissare l'udienza viene meno in ogni caso in cui il giudice non ritenga di dover disporre direttamente l'archiviazione.

  In definitiva, la disciplina dettata dall'art. 410, commi 1 e 2, cod. proc. pen. ha voluto introdurre un meccanismo idoneo a contrastare istanze di prosecuzione delle indagini meramente pretestuose o dilatorie, offrendo in tali ipotesi al giudice lo strumento per disporre direttamente il decreto di archiviazione.

  L'equivoco interpretativo in cui é caduto il Giudice rimettente può trovare spiegazione nel rilievo che il comma 1 dell'art. 410 cod. proc. pen. disciplina l'opposizione solo con riferimento alla situazione - che ricorre certamente con maggior frequenza - in cui la persona offesa si duole per l'insufficienza e l'incompletezza delle indagini svolte dal pubblico ministero. Al riguardo, é significativo che, nell'individuare i vari strumenti di garanzia volti a rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell'azione penale in caso di inerzie e lacune investigative del pubblico ministero, questa Corte abbia indicato anche l'opposizione della persona offesa (sentenza n. 88 del 1991), facendo espresso richiamo alla disciplina descritta dall'art. 410 cod. proc. pen..

  L'opposizione motivata dalla incompletezza delle indagini del pubblico ministero non é peraltro l'unico strumento per contrastare la richiesta di archiviazione: nelle situazioni in cui le indagini siano state esaurientemente espletate, ovvero il titolo del reato o le concrete modalità di realizzazione del fatto rendano non necessaria alcuna indagine, la persona offesa può egualmente presentare atto di opposizione, indicando motivi volti a dimostrare la non infondatezza della notizia di reato. Ove le argomentazioni della persona offesa siano convincenti, il giudice deve comunque fissare l'udienza in camera di consiglio a norma dell'articolo 409, comma 2, peraltro espressamente richiamato dall'articolo 410, comma 3, cod. proc. pen., così assicurando alla persona offesa la medesima tutela prevista in caso di opposizione volta a ottenere la prosecuzione delle indagini preliminari.

  4.- Le considerazioni sinora svolte in ordine all'insussistenza del profilo di illegittimità per eccesso di delega valgono ad escludere anche la supposta violazione dell'art. 3 della Costituzione. La disciplina apprestata dall'art. 410, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen., é infatti idonea a tutelare le ragioni della persona offesa sia nel caso in cui questa intenda contrastare carenze e lacune investigative, sia quando l'opposizione sia basata su una valutazione dei fatti ovvero su ragioni in diritto diverse da quelle poste a base della richiesta di archiviazione del pubblico ministero. Non assume, cioé, rilievo che il pubblico ministero abbia svolto indagini esaustive ed esaurienti, ovvero che le indagini presentino lacune e carenze tali da consentire alla persona offesa di indicare l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, così come é irrilevante che il titolo del reato, ovvero le concrete modalità della sua realizzazione, non consentano alla persona offesa di chiedere la prosecuzione delle indagini preliminari: in ogni caso l'atto di opposizione é potenzialmente idoneo ad impedire la pronuncia di un decreto di archiviazione de plano e ad indurre il giudice a fissare l'udienza in camera di consiglio per l'esame delle ragioni della persona offesa in contraddittorio con le altre parti.

              5.- In conclusione, dal sistema del codice emerge chiaramente che in sede di opposizione la persona offesa, nei casi in cui si trovi nella impossibilità di chiedere la prosecuzione delle indagini preliminari, può comunque fare valere le ragioni volte a contrastare la richiesta di archiviazione, in accordo del resto con la facoltà, riconosciutale in via generale dall'art. 90 cod. proc. pen., di presentare memorie al giudice: ove le argomentazioni della persona offesa siano fondate e convincenti, il giudice non accoglierà la richiesta di archiviazione, ma fisserà a norma dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. l'udienza in camera di consiglio, così pervenendo ad un risultato analogo a quello previsto dalla specifica disciplina apprestata dai primi tre commi dell'art. 410 cod. proc. pen..

Per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 410, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

  Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1997.

Renato GRANTA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria l'11 aprile 1997.