ORDINANZA N.68
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi sesto, nono e decimo, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio 1996 dal Pretore di Massa, sezione distaccata di Pontremoli, nel procedimento penale a carico di Claps Gaetano, iscritta al n. 266 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che il Pretore di Massa, sezione distaccata di Pontremoli nel corso del procedimento penale nei confronti di un soggetto imputato, tra l'altro, del reato di cui all'art. 10, nono comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), per avere detenuto munizioni relative ad una pistola facente parte di una collezione ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 10, nono comma, nonché del sesto e decimo comma del medesimo art. 10;
che, in particolare, ad avviso del giudice a quo, la disposizione di cui all'art. 10, sesto comma, nella parte in cui sottopone a limitazioni la possibilità di detenere, senza licenza di collezione, armi comuni da sparo e armi sportive (limite fissato, rispettivamente, in tre e sei armi), mentre non prevede alcuna limitazione alla detenzione delle armi da caccia, sarebbe lesivo dell'art. 3 della Costituzione, in quanto assoggetterebbe la detenzione senza licenza di collezione delle armi comuni da sparo e delle armi sportive, da un lato, e delle armi da caccia, dall'altro, a regimi irragionevolmente differenziati, pur in presenza di un'attitudine offensiva e di un grado di pericolosità che potrebbero non essere affatto differenti in relazione alle concrete caratteristiche delle armi oggetto di detenzione;
che, secondo il remittente, il divieto di detenere il munizionamento delle armi in collezione, sancito dal nono comma dell'art. 10, si tradurrebbe, inoltre, in una sostanziale proibizione di fare uso di tali armi, con violazione dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione, in quanto provocherebbe una restrizione delle facoltà connesse al diritto di proprietà, tanto più ingiustificata ed irrazionale se confrontata con l'ampia permissività in materia di armi da caccia;
che, infine, la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da £. 400.000 a £. 2.000.000 prevista dall'art. 10, decimo comma, per il collezionista che non osservi il divieto di detenzione di munizioni per le armi in collezione, sarebbe, secondo il giudice a quo, "eccessiva e sproporzionata rispetto alla pericolosità della condotta incriminata", anche in considerazione del fatto che il possesso abusivo di munizioni da parte di un non collezionista è punito dall'art. 697 cod. pen. solo come contravvenzione e con l'ammenda alternativa all'arresto;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
Considerato che la previsione di un trattamento differenziato della detenzione delle armi in relazione sia alle qualità delle armi oggetto di detenzione, sia alle finalità della detenzione, rientra nella discrezionalità del legislatore, censurabile da questa Corte solo quando il suo esercizio avvenga in modo irragionevole o arbitrario;
che, in particolare, per quel che riguarda la dedotta violazione del principio della parità di trattamento, da un lato, della detenzione delle armi comuni da sparo e di quelle sportive a fini di collezione, soggetta a limitazioni, e, dall'altro, delle armi da caccia, esente da qualsiasi limite, questa Corte ha già affermato che il diverso regime trova giustificazione nell'esigenza di consentire ai cacciatori di poter cacciare diversi tipi di selvaggina (ordinanza n. 537 del 1988);
che, al contrario, la detenzione di armi comuni da sparo e di armi sportive, in ragione della loro desti-nazione, ben può subire limitazioni per esigenze di tutela della sicurezza collettiva (ordinanza n. 368 del 1996), senza che le possibilità di difesa o dell'esercizio della attività sportiva, cui la detenzione di tale tipo di armi è preordinata, ne risultino precluse o irragionevolmente compresse;
che la prospettata possibile maggior pericolosità di talune armi da caccia rispetto alle armi comuni da sparo o a quelle sportive non appare idonea ad alterare la valutazione non arbitraria né irragionevole del legislatore circa la opportunità di regolare diversamente, anche per adeguare l'ordinamento interno a quanto previsto dalla direttiva 91/477/CEE, la detenzione delle armi finalizzate all'esercizio della caccia;
che, per quanto riguarda la dedotta violazione del-l'art. 42 della Costituzione, la censura appare del pari manifestamente infondata, dal momento che l'esercizio delle facoltà inerenti al diritto di proprietà trova un ragionevole limite nella prioritaria esigenza di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza collettiva e nella particolarità della collezione di armi, che non postula la detenzione anche del munizionamento e l'effettiva possibilità di uso delle stesse, dal momento che non sussistono, per il collezionista, esigenze di difesa personale, di sport o di caccia;
che, infine, anche la censura concernente la determinazione della pena edittale per la detenzione delle munizioni relativa alle armi da collezione appare manifestamente infondata, in quanto le situazioni poste a raffronto dal giudice a quo sono differenti e tali da richiedere un trattamento differenziato;
che, infatti, la detenzione delle armi per finalità di collezione è caratterizzata dalla loro non utilizzabilità da parte del detentore, sì che la detenzione delle munizioni, rendendo utilizzabili le armi, fa venir meno addirittura il titolo della detenzione, mentre la detenzione delle armi comuni da sparo e delle armi sportive, entro i limiti nei quali essa è consentita, presuppone proprio la utilizzabilità delle armi, e quindi il possesso del relativo munizionamento, indispensabile per il loro funzionamento;
che, pertanto, la scelta del legislatore di sanzionare differentemente e più severamente la detenzione di munizioni da parte del collezionista rispetto alla detenzione di munizioni per armi comuni da sparo o per armi sportive, da parte del soggetto abilitato alla detenzione di tale tipo di armi, non appare censurabile, in quanto risponde ad un apprezzamento non irragionevole e non arbitrario della maggior gravità della detenzione di munizioni da parte del collezionista;
che, per le considerazioni sopra espresse, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi sesto, nono e decimo, della legge 18 aprile 1975, n.110, deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi sesto, nono e decimo, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), sollevata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Massa, sezione distaccata di Pontremoli, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costi-tuzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 1997.
Renato GRANATA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 21 marzo 1997.