SENTENZA N. 17
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Dott. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 13 marzo 1958, n. 296 "Costituzione del Ministero della sanità" e del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266 "Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera h, della legge 23 ottobre 1992, n. 421", iscritto al numero 85 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 26-27 novembre 1996 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi gli avvocati Mario Bertolissi, Giovanni Motzo e Beniamino Caravita di Toritto per i delegati dei Consigli regionali della Lombardia, del Piemonte, della Valle d'Aosta, della Calabria, del Veneto, della Puglia e della Toscana.
Ritenuto in fatto
1. -- Con ordinanza del 26-27 novembre 1996 l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali della Toscana, del Veneto, della Lombardia, del Piemonte, della Valle d'Aosta, della Calabria e della Puglia, sul seguente quesito: «Volete voi che siano abrogati: la legge 13 marzo 1958, n. 296 (Costituzione del Ministero della sanità); il d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266 (Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera h, della legge 23 ottobre 1992, n. 421)?».
2. -- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione la camera di consiglio dell'8 gennaio 1997, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della richiesta e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
Si sono avvalsi della facoltà di depositare memorie, di cui all'art. 33, terzo comma, della legge citata, i delegati dei consigli regionali presentatori della richiesta.
I presentatori ricordano che già nel 1992 alcuni Consigli regionali avevano chiesto la soppressione per via referendaria del Ministero della sanità, attraverso l'abrogazione della legge n. 296 del 1958. Pur essendo vero -- argomentano -- che tale legge è solo una, sia pure la principale, delle leggi riguardanti il Ministero della sanità, e che essa concerne ambiti materiali -- come l'igiene pubblica -- per taluni aspetti estranei alle attribuzioni proprie delle Regioni, nel caso in esame verrebbe in rilievo solo il "risvolto propriamente organizzativo", "la cui ovvia interferenza con quello funzionale concretizza una questione di per sé estranea alla vicenda referendaria di cui trattasi".
Si ricordano poi le vicende legislative del processo di regionalizzazione, che avrebbe dovuto accompagnarsi ad un riordinamento dei Ministeri (previsto in particolare dalla legge di delega 28 ottobre 1970, n. 775), con un esito di riduzione-soppressione degli apparati centrali dello Stato.
Quel riordinamento è tuttavia mancato, e anche la legge di delega n. 421 del 1992 avrebbe omesso di considerare gli aspetti organizzativo-istituzionali, cioè appunto i Ministeri, con l'unica eccezione del Ministero della sanità, che è stato riordinato con il d.lgs. n. 266 del 1993, pure esso oggetto della presente iniziativa referendaria.
L'organizzazione, restando immutata, avrebbe impedito "una corretta dislocazione ed una efficace realizzazione dei compiti assegnati alle Regioni"; rimarrebbe peraltro impregiudicato il diritto di chiedere al corpo elettorale di esprimersi sul quesito proposto, che configurerebbe un dilemma già risolto astrattamente dal Parlamento quando dispose la delega -- non attuata -- per il riordinamento dei Ministeri.
La presente richiesta di referendum avrebbe un oggetto puntuale, concernendo la istituzione di un dato Ministero, col fine di sopprimerlo in quanto strutturato con certi caratteri.
Non ricorrerebbe poi nessuna delle ragioni di esclusione espressamente disposte dall'art. 75 della Costituzione. Il quesito non sarebbe disomogeneo, ma puntuale e risolubile o con la rimozione dell'attuale assetto organizzativo ministeriale ovvero con la sua conferma.
Né ricorrerebbe, secondo i presentatori, l'ipotesi di legge "a contenuto costituzionalmente vincolato" sotto il profilo che le disposizioni soggette a referendum contengano l'unica necessaria disciplina attuativa della Costituzione, trattandosi viceversa di una disciplina che lo stesso legislatore parlamentare, in sede di delega, ha mostrato di ritenere inopportuna.
La legislazione in questione non potrebbe nemmeno farsi rientrare fra le leggi "costituzionalmente obbligatorie": per la Costituzione devono sussistere ed essere in grado di operare solo le componenti necessarie del Governo, vale a dire il Consiglio dei ministri, il Presidente del Consiglio e i ministri intesi come categoria, mentre i ministeri sono costituiti o soppressi con legge ordinaria. L'abrogazione proposta, del resto, sarebbe riferita ad un ministero operante nell'ambito delle attribuzioni regionali: il che, se non significa che un ministero non debba comunque sussistere, significherebbe invece che esso non può essere strutturato nei termini attuali, ben potendosi ridurre ad uno staff ristretto di collaboratori del ministro, che potrebbe anche essere collocato presso la Presidenza del Consiglio o nell'ambito di altro ministero. Essa comunque non interessa l'organo costituzionale ministro, ma unicamente il ministero inteso come apparato servente.
I presentatori osservano poi che l'iniziativa referendaria sarebbe necessitata in quanto le Regioni non potrebbero altrimenti "aggredire" le disposizioni in questione, data la loro natura organizzativa.
L'unico vero ostacolo alla ammissibilità della richiesta, secondo i presentatori, potrebbe essere rappresentato "dalle carenze della legge di attuazione dell'art. 75 Cost.". Ma a questo proposito si dovrebbe considerare che l'art. 37 della legge n. 352 del 1970 consente di differire sino a sessanta giorni la decorrenza dell'effetto abrogativo del referendum. Tale termine non sarebbe, nella specie, inadeguato a consentire il varo tempestivo di una nuova disciplina; e comunque, se tale lo si ritenesse, i presentatori prospettano la possibilità per la Corte di sollevare di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale di detta disposizione sotto il profilo della sua irragionevolezza; il legislatore, a seguito della declaratoria di illegittimità, sarebbe costretto ad ampliare il termine.
La richiesta sarebbe ammissibile, non risultando compromesso alcun valore costituzionalmente protetto né incisa la forma parlamentare di governo. Essa si porrebbe "quale tramite per un rinnovamento delle istituzioni, regionali e centrali ad un tempo", poiché sarebbe pregiudiziale per ogni cambiamento anche costituzionale "la opzione accentramento-decentramento funzionale ed organizzativo": sarebbe questo "il dilemma che si intende proporre al corpo referendario attraverso la formulazione di un quesito omogeneo ed inequivoco".
In definitiva -- concludono i presentatori -- non avrebbe senso, né istituzionale, né giuridico-costituzionale, affermare che il quesito referendario sia privo di "evidenza ed univocità del momento teleologico" e sia "carente della chiarezza necessaria per assicurare l'espressione di un voto consapevole", come venne ritenuto dalla sentenza di questa Corte n. 34 del 1993 a proposito del quesito allora formulato. Esso era anche allora "limpido proprio nel fine perseguito": ma oggi non si potrebbe nutrire alcun dubbio, dal momento che oggetto del nuovo quesito sono sia la legge del 1958, sia il decreto legislativo del 1993 di riordinamento del ministero. L'insieme di queste disposizioni individuerebbe il corpus normativo essenziale recante "la disciplina organica di riferimento": mentre sarebbe impossibile elencare le miriadi di frammenti normativi riguardanti in qualche modo il Ministero della sanità, "destinati peraltro ad essere travolti dall'eventuale responso referendario positivo".
3.-- Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto dall'art. 33 della legge n. 352 del 1970 sono stati uditi nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997, per i presentatori della richiesta, gli avvocati Mario Bertolissi, Beniamino Caravita di Toritto e Giovanni Motzo, i quali hanno insistito per la dichiarazione di ammissibilità del quesito, affermando in particolare che il suo accoglimento non implicherebbe eliminazione delle funzioni del Ministero, le quali potrebbero essere riallocate dal legislatore successivamente, o anche prima che decorra l'effetto abrogativo, ed anche eventualmente al centro.
Considerato in diritto
1.-- La richiesta riguarda l'abrogazione totale della legge istitutiva del Ministero (13 marzo 1958, n. 296) e del decreto legislativo di riordinamento del Ministero medesimo (d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266).
La prima istituiva il Ministero della sanità, definendone le attribuzioni con riguardo ai compiti e ai servizi allora attribuiti dalle leggi allo Stato per la tutela della salute pubblica (art. 1), e in particolare devolvendo allo stesso Ministero le attribuzioni già spettanti all'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica, le attribuzioni delle altre amministrazioni dello Stato in materia di servizi sanitari e quelle del Ministero dell'interno nei riguardi del personale sanitario e degli esercenti professioni e arti sanitarie (art. 2). Prevedeva poi le direzioni generali in cui il Ministero si articolava (art. 3, ora abrogato dall'art. 10 del d.lgs. n. 266 del 1993), e gli organi periferici (art. 4); disciplinava i compiti di vigilanza sugli enti pubblici sanitari e i compiti dei prefetti in materia (artt. 5 e 6); dettava infine alcune disposizioni particolari di organizzazione o a carattere transitorio (artt. da 7 a 11).
Il decreto legislativo n. 266 del 1993, emanato in base alla delega contenuta nell'art. 1, comma 1, lettera h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, stabilisce che il Ministero esercita le funzioni amministrative riservate allo Stato dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, e svolge inoltre funzioni in materia di programmazione sanitaria, coordinamento del sistema informativo sanitario e verifica comparativa dei costi e dei risultati, vigilanza sulle specialità farmaceutiche e regolamentazione della materia farmaceutica, sanità pubblica, sanità pubblica veterinaria, nutrizione e igiene degli alimenti, ricerca e sperimentazione in materia sanitaria, professioni e attività sanitarie (art. 1). Detta poi i criteri legislativi per la organizzazione del Ministero e per la rideterminazione della sua dotazione organica, da disporsi con regolamenti (art. 2); prevede la soppressione del consiglio sanitario nazionale e la devoluzione dei suoi compiti alla conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato e le Regioni (art. 3); determina le funzioni del Consiglio superiore di sanità, demandandone la disciplina della composizione e dell'ordinamento al regolamento (art. 4); istituisce l'agenzia per i servizi sanitari regionali, con compiti di supporto delle attività regionali, di valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi, di segnalazione di disfunzioni e sprechi, di trasferimento dell'innovazione e delle sperimentazioni, demandandone la organizzazione a un regolamento, sulla base di alcune norme e criteri (art. 5); ridefinisce gli organi periferici del Ministero (uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera, uffici veterinari di confine, porto e aeroporto, uffici per gli adempimenti CEE: art. 6); regola la costituzione e le funzioni della commissione unica del farmaco (art. 7); prevede l'alta vigilanza e l'attività di repressione delle attività illecite in materia sanitaria, spettanti al Ministero (art. 8); detta infine norme finali per il trasferimento di fondi alle Regioni e per l'abrogazione, differita nel tempo al momento dell'entrata in vigore delle nuove norme, di numerose disposizioni legislative previgenti nelle materie devolute dal decreto a regolamenti (art. 10).
2.-- La richiesta è inammissibile.
Con la sentenza n. 34 del 1993 questa Corte dichiarò inammissibile la precedente richiesta di referendum, riguardante la sola legge n. 296 del 1958, rilevando che dopo di allora varie leggi, e così in particolare la legge 12 febbraio 1968, n. 132, sulla riforma ospedaliera, e la legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale -- leggi che rimanevano fuori dal quesito -- avevano ridisegnato il complesso delle competenze del Ministero, e che per questo il quesito era "carente della chiarezza necessaria per assicurare l'espressione di un voto consapevole".
L'odierna richiesta non include le leggi cui si riferiva la precedente decisione, ma aggiunge, alla legge istitutiva del Ministero, il decreto legislativo che ne ha disposto il riordino. E i presentatori sottolineano che il quesito, attraverso l'abrogazione totale di questi due atti legislativi, riguarda il solo aspetto organizzativo, tendendo alla soppressione del Ministero come apparato e lasciando impregiudicata la sorte delle funzioni oggi ad esso affidate, che, in caso di esito abrogativo, dovrebbero essere collocate presso altre istanze amministrative o istituzionali. Essi insistono peraltro sul fine, che inerirebbe al quesito, di realizzare o quanto meno di provocare un riordino degli apparati centrali, in linea con le istanze di più ampia regionalizzazione dell'amministrazione.
3.-- La Corte osserva che sono irrilevanti in questa sede i propositi e gli intenti dei promotori circa la futura disciplina legislativa che potrebbe o dovrebbe eventualmente sostituire quella abrogata; né ad una richiesta referendaria abrogativa, quale è quella prevista dall'art. 75 della Costituzione, è possibile di per sé attribuire un significato ricostruttivo di una nuova e diversa disciplina. Ciò che conta è la domanda abrogativa, che va valutata nella sua portata oggettiva e nei suoi effetti diretti, per esaminare, tra l'altro, se essa abbia per avventura un contenuto non consentito perché in contrasto con la Costituzione, presentandosi come equivalente ad una domanda di abrogazione di norme o principi costituzionali, anziché di sole norme discrezionalmente poste dal legislatore ordinario e dallo stesso disponibili (sentenze n. 16 del 1978, n. 26 del 1981).
La domanda di pura e semplice soppressione totale di un Ministero, attraverso l'abrogazione delle norme che ne prevedono l'esistenza, implica la soppressione delle relative funzioni, quando, come accade di regola nel vigente ordinamento costituzionale e amministrativo, il Ministero è il solo titolare di tali funzioni ad esso attribuite dalla legge, ai sensi dell'art. 95, terzo comma, della Costituzione.
E' dunque inammissibile un quesito che proponga al corpo elettorale di pervenire, attraverso la soppressione di un intero Ministero, alla eliminazione di funzioni che siano costituzionalmente necessarie, e come tali non possano essere soppresse senza con ciò stesso ledere principi costituzionali.
In tal caso, infatti, la domanda coinvolgerebbe contenuti costituzionalmente vincolati sottratti alla portata abrogativa del referendum, quale previsto dall'art. 75 della Costituzione.
4.-- Il quesito in esame, coinvolgendo sia la legge istitutiva del Ministero della sanità, che ne definiva le attribuzioni nell'ambito dell'apparato amministrativo centrale alla stregua dell'assetto che la materia sanitaria aveva all'epoca di tale istituzione, sia il provvedimento legislativo che ha riordinato di recente il Ministero, confermando l'attribuzione ad esso di tutte le funzioni in atto spettanti allo Stato nella materia, ha l'univoco significato di una totale estromissione dell'amministrazione statale dalla materia sanitaria: materia in larga parte devoluta alle Regioni, ma ancora in parte sicuramente di pertinenza dello Stato, come del resto è riconosciuto dalla stessa difesa dei presentatori. Né può ritenersi che tutte le funzioni in atto svolte dal Ministero della sanità verrebbero automaticamente assorbite, a seguito della soppressione dello stesso, da altri livelli di governo o da altri apparati pubblici, ivi compresi gli organismi tecnico-scientifici operanti in questo campo.
Ora, la materia sanitaria è dominata, dal punto di vista costituzionale, dai principi di cui all'art. 32, primo comma, della Costituzione, secondo cui "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti". Onde le funzioni, anche amministrative in senso stretto -- come tali non suscettibili di essere svolte dagli organi di governo senza il supporto di apparati amministrativi veri e propri -- attribuite allo Stato in materia sanitaria sono, almeno in parte, sicuramente da considerarsi come costituzionalmente necessarie (si pensi ad esempio alla regolamentazione e al controllo dei farmaci, o agli interventi di prevenzione e di contrasto della diffusione di malattie infettive o diffusive).
Pertanto la richiesta di abrogazione totale per referendum delle norme che prevedono l'esistenza del Ministero della sanità, coinvolgendo anche l'esercizio di funzioni amministrative costituzionalmente necessarie, non può essere ammessa, in quanto incide su norme a contenuto costituzionalmente vincolato.
5.-- L'argomento dei presentatori, secondo cui la domanda referendaria sarebbe una via obbligata per ottenere o stimolare una completa attuazione dell'assetto regionale dello Stato nella materia sanitaria, in gran parte attribuita dalla Costituzione alla competenza propria delle Regioni, non è rilevante ai fini dello scrutinio circa l'ammissibilità della richiesta di referendum, attraverso la quale è possibile porre solo singole domande autenticamente abrogative, purché concernenti abrogazioni non vietate dalla Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 13 marzo 1958, n. 296 (Costituzione del Ministero della sanità) e del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266 (Riordinamento del Ministero della sanità), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza in data 26-27 novembre 1996, dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997
Renato Granata, Presidente
Valerio Onida, Redattore
Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.