ORDINANZA N. 435
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 438 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1996 dalla Corte d'appello di Trieste nel procedimento penale a carico di Vitiello Raffaele, iscritta al n. 330 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
RITENUTO che la Corte d'appello di Trieste, con ordinanza del 6 febbraio 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 438 del codice di procedura penale nella parte in cui subordina al consenso del pubblico ministero l'esperibilità del rito abbreviato richiesto dall'imputato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 101 della Costituzione;
che, recependo un'eccezione formulata dalla difesa dell'imputato, il giudice a quo deduce che la scelta del pubblico ministero di indirizzare le indagini in maniera più o meno approfondita è suscettibile di determinare l'accoglimento o il rigetto della richiesta dell'imputato di essere ammesso al giudizio abbreviato;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, sul rilievo del difetto di motivazione dell'ordinanza di rimessione, ha richiesto una declaratoria di inammissibilità della questione sollevata.
CONSIDERATO che nell'ordinanza di rinvio il giudice a quo non ha descritto la concreta fattispecie sottoposta al suo giudizio né ha fornito alcuna motivazione in ordine alle ragioni che lo portano a dubitare della legittimità costituzionale della norma denunciata, limitandosi a enunciare le disposizioni costituzionali che si assumono violate;
che tale lacuna argomentativa impedisce di valutare la rilevanza e i termini e profili della questione sollevata, tanto più in ragione della incerta individuazione dell'obiettivo della censura, fra il consenso del pubblico ministero allo svolgimento del rito alternativo - nel dispositivo - e il presupposto, collegato al precedente ma distinto da questo, della definibilità del giudizio allo stato degli atti (in dipendenza del materiale di indagine raccolto dall'accusa) - nella motivazione -, ond'è che, in accoglimento del rilievo formulato dall'Avvocatura dello Stato, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione dell'ordinanza che la propone (tra molte, ordinanza n. 229 del 1996; sentenza n. 79 del 1996).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 438 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 101 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trieste, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
Renato GRANATA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1996.