SENTENZA N. 420
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, quarto comma, della legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modificazioni alle norme sulla riforma fondiaria), e 19, primo comma, della legge Regione Puglia 11 marzo 1988, n. 11 (Norme relative alle funzioni, agli organi e alla organizzazione amministrativa dell'Ente regionale di sviluppo agricolo della Puglia), promosso con ordinanza emessa il 26 settembre 1995 dal Tribunale di Foggia nel procedimento civile vertente tra Viscillo Michele Donato ed altra e Di Sapio Vito ed altra, iscritta al n. 245 del registro ordinanze e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1996 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto in fatto
1. -- Nel corso di un procedimento civile -- promosso dai proprietari confinanti di un podere al fine di essere sostituiti ai convenuti, affittuari coltivatori diretti, nell'acquisto del fondo stesso, oggetto di assegnazione da parte dell'Ente regionale di sviluppo agricolo della Puglia (ERSAP) e di successiva alienazione effettuata dall'assegnatario con atto pubblico del 7 dicembre 1987, in violazione del diritto di prelazione previsto in favore degli attori -- il Tribunale di Foggia, con ordinanza emessa il 26 settembre 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, quarto comma, della legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modificazioni alle norme sulla riforma fondiaria), e 19, primo comma, della legge Regione Puglia 11 marzo 1988, n. 11 (Norme relative alle funzioni, agli organi e alla organizzazione amministrativa dell'Ente regionale di sviluppo agricolo della Puglia).
Affermata preliminarmente la mera annullabilità assoluta (esperibile nel termine di cinque anni da chiunque vi abbia interesse) del contratto con cui l'assegnatario -- entro il limite dei trent'anni dall'assegnazione e senza la autorizzazione dell'ente preposto alla riforma fondiaria -- concede il fondo in godimento ad un coltivatore diretto, il rimettente fa propria una interpretazione teleologica, estensiva del dato letterale del censurato quarto comma dell'art. 4 della legge n. 379 del 1967 (per il quale il diritto di prelazione dell'ente prevale su quello dei confinanti, che a loro volta sono preferiti nei confronti di ogni altro avente diritto a prelazione), secondo cui le altre categorie di soggetti titolari del concorrente diritto di prelazione vanno appunto individuate nei coltivatori diretti comunque insediati legittimamente sul fondo (nella specie, per il mancato esercizio dell'azione di annullamento nel termine prescritto).
Il Tribunale di Foggia coglie, dunque, una palese disarmonia tra tale disciplina e quella della prelazione agraria ordinaria, di cui alla legge 26 maggio 1965, n. 590, come modificata dalla legge 14 agosto 1971, n. 817, che attribuisce la prevalenza del diritto dell'affittuario, del mezzadro, del colono ecc. su quello concorrente dei proprietari confinanti.
Affermata la rilevanza della questione, data la sussistenza in capo ai convenuti di tutti i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalle leggi n. 379 del 1967 e n. 590 del 1965 (richiamata quest'ultima dalla denunciata legge regionale n. 11 del 1988), ritiene il rimettente -- il quale peraltro non ignora la specialità della normativa de qua -- che la prospettata violazione del principio di uguaglianza derivi dalla disparità di trattamento riservata dalle norme censurate rispetto a situazioni analoghe, caratterizzate da identica ratio ispiratrice, intesa a favorire il soggetto socialmente più debole, agevolando la formazione della proprietà contadina mediante la sua attribuzione a chi vi esercita l'attività imprenditoriale di coltivazione diretta. Per cui, non sarebbe dato capire il perché l'affittuario di un fondo originariamente appartenente all'ente di riforma debba soccombere di fronte ai confinanti che esercitino lo stesso concorrente diritto, mentre l'affittuario di un fondo privato debba prevalere, nelle stesse condizioni, sul diritto di questi ultimi ad essere privilegiati nell'acquisto.
2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o l'infondatezza della sollevata questione, in ragione della contraddizione da cui muove l'ordinanza di rimessione, là dove riconosce il carattere di specialità della normativa censurata per poi negarlo nelle conclusioni, equiparandone la disciplina a quella della prelazione agraria. Inoltre, l'Avvocatura sottolinea la evidente forzatura operata dal giudice a quo nell'assimilare le posizioni dell'occupante del podere oggetto della riforma, nei confronti del quale non sia stata proposta l'azione di annullamento del titolo, con quelle dell'affittuario, del colono e del compartecipante di un comune fondo agrario.
Considerato in diritto
1. -- Il Tribunale di Foggia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4, quarto comma, della legge 29 maggio 1967, n. 379, e dell'art. 19, primo comma, della legge Regione Puglia 11 marzo 1988, n. 11, nella parte in cui non consentono all'affittuario coltivatore diretto, insediato sul fondo dell'assegnatario riscattante, di esercitare il suo diritto di prelazione a preferenza dei proprietari coltivatori diretti dei terreni confinanti.
Secondo il rimettente, il diritto di prelazione previsto dalle norme censurate sarebbe caratterizzato da una ratio ispiratrice -- finalizzata ad agevolare la formazione della proprietà contadina, attribuendola a chi vi esercita l'attività imprenditoriale di coltivazione diretta -- identica a quella sottesa alla legge 26 maggio 1965, n. 590, come modificata dalla legge 14 agosto 1971, n. 817, che dispone in materia di prelazione agraria ordinaria la prevalenza del diritto dell'affittuario, del mezzadro o del colono, su quello concorrente dei proprietari confinanti. Da ciò il contrasto con l'art. 3 Cost., stante la disparità di trattamento di analoghe situazioni.
2. -- La questione non è fondata.
2.1. -- L'innovazione più radicale apportata dalla legge 29 maggio 1967, n. 379, all'originario sistema introdotto dalle norme fondamentali di riforma fondiaria del 1950 (leggi n. 250 e n. 841 del 1950) è da rinvenirsi nell'attribuzione all'assegnatario, che abbia adempiuto agli obblighi essenziali derivanti dal rapporto di assegnazione, della facoltà di riscattare anticipatamente il fondo, estinguendo il proprio debito nei confronti dell'ente dopo soli sei anni dalla relativa immissione nel possesso (art. 1). Si è così venuta a mutare profondamente la precedente normativa, la quale -- configurando l'assegnazione come contratto di vendita con pagamento rateale del prezzo in trenta annualità e riservato dominio dell'ente sino all'integrale pagamento (art. 17, primo comma, della cosiddetta legge Sila, n. 230 del 1950) -- prevedeva l'inammissibilità di forme di riscatto anticipato (art. 18, secondo comma), dal che conseguiva l'impossibilità per l'assegnatario di diventare proprietario del fondo prima dei trent'anni e, dunque, di poterne disporre. Peraltro, a garanzia del mantenimento delle finalità sottese all'opera di riforma, del necessario perdurante impegno professionale dell'assegnatario-riscattante e della esclusione di intenti speculativi, con l'art. 4 della stessa legge n. 379 del 1967 è stata contemporaneamente introdotta una serie di vincoli e limitazioni alla disponibilità dei fondi riscattati, mediante l'imposizione di un regime di circolazione strettamente controllata dei fondi medesimi.
In tale contesto si inserisce la disposizione statale censurata, che considera il diritto di prelazione dell'ente assegnatario sovraordinato rispetto a quello dei coltivatori diretti proprietari dei fondi confinanti, i quali a loro volta sono preferiti ad ogni altro avente diritto a prelazione.
2.2. -- Come emerge chiaramente dalla lettura dei lavori preparatori (cfr. in particolare la seduta della Commissione agricoltura e foreste della Camera dei deputati del 12 ottobre 1966), la ratio ispiratrice di codesto sistema di prelazione si riporta "all'esigenza di favorire l'attaccamento alla terra delle migliori energie rurali e di impedire un esodo confuso, irrazionale dalle campagne", determinato da un uso tecnico aziendale delle terre divenuto, nel tempo, inidoneo a soddisfare le necessità socio-economiche delle unità ivi operanti, a cagione del limitato dimensionamento dei singoli fondi di riforma. Sicché va considerata una precisa opzione del legislatore, quella di privilegiare l'accorpamento dei poderi, in modo da renderli capaci di un migliore sfruttamento, tuttavia evitando, da una parte, la ricostituzione di proprietà capitalistiche in sostituzione di quelle contadine create dalla riforma "con ingente impiego di pubblico denaro" e, dall'altra, il pericolo di una frammentazione terriera.
2.3. -- L'istituto oggetto del presente vaglio di costituzionalità si configura, pertanto, come affatto diverso rispetto all'ordinario regime della prelazione agraria in favore dei soggetti contemplati nell'art. 8 della legge n. 590 del 1965, che risulta ispirato a tutt'altra ratio, intesa specificamente a privilegiare il coltivatore diretto insediato sul fondo rustico allo scopo prioritario (sottolineato dallo stesso collegio rimettente) "della concentrazione nelle mani dell'erogatore del lavoro agricolo della proprietà del fattore produttivo terra, sì da favorire la creazione di imprese diretto-coltivatrici stabili". Un regime -- può aggiungersi -- di valenza essenzialmente privatistica, che solo in via gradata consente la prelazione dei proprietari confinanti dando così un rilievo solo secondario alla finalità di accorpamento dei fondi, e cui sono teleologicamente estranee tutte quelle peculiari connotazioni squisitamente pubblicistiche volute dal legislatore del 1967 per incidere, in via temporanea, sulla libertà di circolazione del bene onde salvaguardare appunto il conseguimento degli scopi della riforma fondiaria.
Siffatte connotazioni sono facilmente individuabili (con riguardo alla legge n. 397 del 1967, sostanzialmente riprodotta e richiamata dalla legge della Regione Puglia n. 11 del 1988) nelle sancite esclusioni della frazionabilità dei fondi (art. 4, primo comma), della loro alienazione in favore di soggetti non aventi le prescritte caratteristiche (art. 4, secondo comma) e della libera determinazione del prezzo in misura superiore a quello riconosciuto congruo dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura (art. 4, terzo comma), nonché nella previsione, in caso di più confinanti che intendano esercitare il diritto di prelazione, dell'esclusiva competenza dell'ente di riforma a scegliere il soggetto preferito, appunto "avuto riguardo alla migliore ripartizione del fondo ai fini dell'accorpamento con i terreni confinanti" (art. 4, sesto comma).
2.4. -- Si è allora in presenza di una disciplina peculiare, in sé compiuta e marcatamente autonoma rispetto a quella della prelazione agraria ordinaria, nella quale viceversa non viene in considerazione la tutela delle rilevate particolari finalità istituzionali, che hanno come loro esponenziale un soggetto assente nella comune disciplina agraria, qual è l'ente di riforma. Il che spiega come la legge n. 379 del 1967 non faccia riferimento alcuno agli istituti tipici della prelazione agraria in favore del coltivatore diretto, sebbene questa fosse stata già positivamente disciplinata dalla preesistente legge n. 590 del 1965; e come, del pari, nel successivo intervento operato dalla legge n. 817 del 1971 -- inteso ad ampliare il novero dei soggetti titolari del diritto di prelazione agraria mediante l'inclusione, pur se in rapporto di postergazione, dei proprietari dei fondi confinanti -- non sia stato previsto alcun collegamento con la vigente disciplina della prelazione qui in esame.
2.5. -- Del resto, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare come detta legge, in coerenza col sistema emergente dagli artt. 41, 42, 44 e 47 Cost., abbia creato uno "statuto proprietario differenziato", che si incentra non solo sul divieto di frazionamento delle unità poderali costituite dagli enti di riforma fondiaria, ma anche sull'esigenza, conseguita al processo d'industrializzazione dell'agricoltura sopravvenuto dopo il 1950, di un loro accorpamento al fine della conservazione delle aziende con dimensioni ottimali (v. sentenze n. 233 del 1991 e n. 103 del 1985). Donde la preferenza accordata, in sede di prelazione, ai coltivatori diretti proprietari confinanti dei fondi di riforma oggetto di alienazione, i quali -- è il caso di aggiungere -- hanno preso parte all'opera pubblica di redenzione del latifondo, sopportandone i relativi oneri, obblighi e sacrifici.
2.6. -- Ne discende, chiaramente, che non è configurabile la ingiustificata disparità di trattamento, con riguardo alla quale il collegio rimettente sospetta la violazione del principio d'eguaglianza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, quarto comma, della legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modificazioni alle norme sulla riforma fondiaria), e 19, primo comma, della legge Regione Puglia 11 marzo 1988, n. 11 (Norme relative alle funzioni, agli organi e alla organizzazione amministrativa dell'Ente regionale di sviluppo agricolo della Puglia), sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Foggia, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.