Sentenza n. 233 del 1991

 

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SENTENZA N. 233

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma secondo, della legge 30 aprile 1976, n. 386 (Norme di principio, norme particolari e finanziarie concernenti gli enti di sviluppo), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 gennaio 1990 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Ricotta Donatella ed altre e Ricotta Sesto ed altri iscritta al n. 138 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;

2) ordinanza emessa il 6 dicembre 1989 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Pazzi Imola e Pazzi Maria ed altri iscritta al n. 139 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di costituzione di Ricotta Sesto e di Pazzi Maria ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 7 maggio 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

Uditi gli avvocati Domenico Moraggi per Ricotta Sesto, Enrico Picchioni per Pazzi Maria ed altri e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di due giudizi relativi a terreni assegnati dall'Ente Maremma in base alle leggi del 1950 sulla riforma fondiaria, poi riscattati ai sensi della legge 29 maggio 1967, n. 379, per i quali gli eredi degli assegnatari controvertono sul punto se, dopo trent'anni dall'assegnazione, rimanga fermo o cessi il vincolo di indivisibilità disposto dalla legge 3 giugno 1940, n. 1078, il Tribunale di Roma, con ordinanze del 6 dicembre 1989 e dell'8 gennaio 1990, pervenute alla Corte costituzionale il 23 febbraio 1991, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, della legge 30 aprile 1976, n. 386, "nella parte in cui non prevede il venir meno del vincolo di indivisibilità alla scadenza del trentennio anche per i fondi anticipatamente riscattati".

In deroga al divieto stabilito dall'art. 18, secondo comma, della legge 12 maggio 1950, n. 230, sulla colonizzazione della Sila, la legge n. 379 del 1967 attribuì agli assegnatari dei terreni espropriati la facoltà di riscattare le annualità del prezzo di assegnazione quando fossero trascorsi almeno sei anni dall'immissione nel possesso. L'art. 4, primo comma, soggiunge che "il fondo riscattato è soggetto a vincolo di indivisibilità ai sensi della legge n. 1078 del 1940", la quale vieta il frazionamento delle unità poderali assegnate da enti di colonizzazione a contadini diretti coltivatori. Altri vincoli al potere di alienazione del fondo, aggiunti dai comma seguenti dello stesso art. 4, sono invece di durata limitata a trent'anni dalla prima assegnazione.

Successivamente la legge n. 386 del 1976 ridusse a quindici anni il riservato dominio dell'ente di riforma sui terreni assegnati: col pagamento della quindicesima annualità del prezzo gli assegnatari diventano automaticamente proprietari. I terreni "affrancati" ai sensi della legge del 1976 restano "soggetti per quindici anni ai vincoli, alle limitazioni e ai divieti di cui agli articoli 4 e 5 della legge 29 maggio 1967, n. 379" (art. 10, secondo comma). Questa disposizione è interpretata dal giudice remittente come inclusiva anche del vincolo di indivisibilità, la cui durata sarebbe pertanto limitata, per i terreni affrancati, a trent'anni dall'assegnazione, mentre per i terreni riscattati - e tali sono quelli di cui è causa nei giudizi principali - il vincolo di indivisibilità rimane perpetuo. Siffatta disparità di trattamento dei diritti di proprietà nei due casi è ritenuta ingiustificata, donde la denuncia della disposizione, così interpretata, per contrasto col principio di eguaglianza.

2. - Nel giudizio davanti alla Corte promosso dalla prima ordinanza (R.O. n. 139/1991), in un procedimento in cui uno degli eredi avente la qualità di coltivatore diretto pretende l'assegnazione dell'intero fondo ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1078 del 1940, si sono costituiti i coeredi convenuti. Essi chiedono, in via principale, una dichiarazione di infondatezza della questione perché la riduzione del vincolo perpetuo di indivisibilità statuito dalla legge del 1940 a vincolo trentennale sarebbe disposta anche per i terreni riscattati dall'art. 4, settimo comma, della legge n. 379 del 1967, il quale vieta fino al termine del trentesimo anno dalla prima assegnazione gli atti che abbiano per effetto la variazione della originaria dimensione del fondo. In subordine, qualora in tale categoria di atti non fosse ritenuta compresa la divisione, i deducenti aderiscono alle conclusioni dell'ordinanza di rimessione.

Nel giudizio promosso dalla seconda ordinanza (R.O. 138/1991), in un procedimento instaurato contro l'erede avente la qualità di coltivatore diretto dai coeredi che pretendono la divisione del fondo, si è costituito il convenuto chiedendo una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma denunciata in termini inversi a quelli prospettati dall'ordinanza di rimessione, cioè nella parte in cui, secondo l'interpretazione del giudice a quo, non prevede il vincolo perpetuo di indivisibilità anche per le unità poderali automaticamente affrancate dal riservato dominio dell'ente a norma della legge n. 386 del 1976. In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione la parte privata insiste nella domanda invocando il potere correttivo della Corte ai fini dell'esatta individuazione del thema decidendum.

3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. L'interveniente sostiene che, in assenza di giurisprudenza consolidata, è possibile una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata nel senso di escluderne il riferimento al vincolo di indivisibilità, del quale resta ferma la perpetuità in ogni caso.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Roma impugna, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 10, secondo comma, della legge 30 aprile 1976, n. 386, interpretato nel senso che, mentre per i "terreni affrancati dal riservato dominio dell'ente" è ridotta a trent'anni dall'assegnazione la durata del vincolo di indivisibilità previsto senza limite di tempo dalla legge 3 giugno 1940, n. 1078, analoga riduzione non è concessa per i fondi riscattati ai sensi della legge 29 maggio 1967, n. 379.

2. - I giudizi promossi dalle due ordinanze in esame hanno per oggetto la medesima questione e pertanto vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. - Deve preliminarmente essere disattesa la diversa interpretazione prospettata dalle parti private costituite nel giudizio relativo all'ordinanza iscritta in R.O. n. 139/1991. Secondo tale interpretazione la questione sarebbe infondata perché la durata del vincolo di indivisibilità sarebbe stata ridotta a trent'anni anche per i fondi riscattati: ciò si argomenterebbe dall'art. 4, settimo comma, della legge n. 379 del 1967, il quale vieta per il detto periodo di tempo "gli atti che abbiano per effetto la variazione dell'originaria dimensione del fondo". Ma il seguito del dettato legislativo e il coordinamento con l'intero testo dell'articolo (giusta il canone della totalità ermeneutica) indicano che il comma settimo si riferisce ad atti diversi dalla divisione del fondo, specificamente contemplata dal primo comma, cioè ad atti di vendita o permuta di parti del fondo non autorizzati dall'ente di sviluppo "per l'esecuzione di opere di interesse comune a più fondi, per operazioni di arrotondamento fondiario, di rettifica dei confini" ecc.

Nessun conforto all'opinione in esame è offerto dall'art. 10, secondo comma, della legge n. 386 del 1976. La locuzione "terreni affrancati" non può comprendere anche i terreni riscattati, sia perché si tratta di vicende giuridiche di natura diversa, sia perché, essendo i vincoli, le limitazioni e i divieti di cui agli artt. 4 e 5 della legge n. 379 del 1967 imposti "fino al termine del trentesimo anno dalla data della prima assegnazione", la specificazione in quindici anni della loro durata nel caso dell'art. 10 della legge n. 386 del 1976 può riferirsi soltanto all'affrancazione, che ha luogo di diritto dopo quindici anni dall'assegnazione, mentre il riscatto è consentito dalla legge del 1967 già dopo sei anni.

4. - La questione non è fondata nei sensi appresso precisati.

L'art. 10, primo comma, della legge n. 386 dispone che i terreni assegnati in base alle leggi del 1950 sulla riforma fondiaria, non riscattati a norma della legge n. 379 del 1967, sono affrancati dal riservato dominio dell'ente venditore al pagamento della quindicesima annualità del prezzo di assegnazione. Il secondo comma soggiunge che essi "sono soggetti per quindici anni ai vincoli, alle limitazioni e ai divieti di cui agli artt. 4 e 5 della legge 29 maggio 1967, n. 379".

In contrasto con la dottrina prevalente il giudice a quo interpreta la seconda disposizione riferendo il termine quindicinnale anche al vincolo di indivisibilità, cioè la intende come norma di deroga, per i terreni affrancati, alla regola di perpetuità del vincolo derivante dalla legge n. 1078 del 1940. Questa lettura si ferma al senso letterale delle parole senza indagare - come prescrive l'art. 12 disp.prel. cod. civ. - l'intenzione del legislatore alla stregua dei criteri di interpretazione logico-sistematica e teleologica.

Per intendere rettamente la disposizione censurata occorre prendere le mosse dalla sentenza n. 103 del 1985 di questa Corte, che analizza il duplice "regime proprietario differenziato" previsto dall'art. 4 della legge n. 379 dal 1967 per i fondi assegnati dagli enti preposti alla riforma fondiaria e riscattati dagli assegnatari dopo il pagamento di almeno sei annualità del prezzo di assegnazione.

Poiché i detti enti sono enti di colonizzazione e i territori di loro competenza sono classificati come comprensori di bonifica (art. 1, secondo comma, della legge n. 230 del 1950), i terreni da essi assegnati cadono, in seguito al riscatto, nel campo di applicazione della legge n. 1078 del 1940, la quale assoggetta le unità poderali costituite in comprensori di bonifica e assegnate in proprietà a contadini diretti coltivatori a un vincolo perpetuo di indivisibilità, anticipando in questo settore l'istituto della minima unità colturale introdotto nel 1941 dal nuovo libro separato della proprietà (art. 846 del codice civile unificato del 1942). Il primo comma dell'art. 4 della legge n. 379 del 1967 non ha una funzione estensiva della legge del 1940 ai fondi riscattati, ma semplicemente una funzione di richiamo di una disciplina già di per sé applicabile.

Questo regime generale, incentrato sul divieto perpetuo di frazionamento dell'unità poderale, è integrato dai comma seguenti dell'art. 4 con una disciplina specifica ai fondi assegnati in base alle leggi sulla riforma fondiaria, che limita in vario modo, fino al termine del trentesimo anno dall'assegnazione, il potere di disposizione dell'assegnatario divenuto proprietario del fondo mediante riscatto delle annualità del prezzo. Tale disciplina aggiuntiva si giustifica in ragione dell'abbreviazione del tempo necessario per acquistare la proprietà e ha la funzione di mantenere, in forma di limiti della proprietà strumentali agli scopi della riforma fondiaria, i vincoli originariamente stabiliti, fino al pagamento integrale del prezzo, dall'art. 18, terzo comma, della legge n. 230 del 1950.

5. - Ove si distingua, nel senso ora chiarito, la funzione di puro richiamo (a rigore superfluo) propria del primo comma dell'art. 4 della legge n. 379 dalla portata innovativa dei comma successivi, l'intenzione del legislatore, sottesa all'art. 10, secondo comma, della legge n. 386, si manifesta come diretta esclusivamente a estendere ai terreni affrancati, per i quindici anni mancanti al compimento del trentennio dall'assegnazione, il medesimo regime differenziato della proprietà, limitativo del potere di disposizione del fondo, specificamente imposto ai fondi riscattati dall'art. 4 della legge precedente. Il conferimento alla disposizione anche del significato di ridurre a trent'anni, per i soli terreni affrancati, il vincolo generale di indivisibilità statuito dalla legge del 1940, non solo produce una irrazionale disparità di trattamento rispetto ai terreni riscattati, che già per se stessa è un argomento contrario a una simile interpretazione, ma postula una inesplicabile contraddizione della legge del 1976 con le finalità della riforma agraria, alle quali, come osserva la citata sentenza n. 103 del 1985, il divieto di frazionamento delle unità poderali costituite dagli enti di riforma "appare funzionale e coerente al sistema emergente dagli artt. 41, 42, 44 e 47 Cost.". Anzi, il processo di industrializzazione dell'agricoltura sopravvenuto dopo il 1950 esige, ai fini della conservazione delle aziende con dimensioni produttive ottimali, che le unità poderali distribuite dagli enti di riforma a lavoratori manuali della terra siano accorpate in superfici più estese, e a tale fine è orientato il quinto comma dell'art. 10 più volte citato.

Né varrebbe obiettare che l'interpretazione restrittiva del secondo comma esclude il riferimento al vincolo di indivisibilità anche dell'art. 5 della legge del 1967, il quale ordina la pubblicità del vincolo nei registri immobiliari. La trascrizione è già prevista dall'art. 2 della legge del 1940, e questa norma, in quanto ha riguardo all'atto di assegnazione, meglio si adatta ai terreni affrancati che non l'art. 5, primo comma, della legge n. 379. Invero, nel caso di affrancazione non viene stipulato un "atto di trasferimento del fondo a seguito di riscatto": la proprietà è acquistata dall'assegnatario sulla base dell'originario contratto di vendita stipulato a norma dell'art. 17 della legge n. 230 del 1950 (ora abrogato), per effetto della cessazione di efficacia della clausola legale di riservato dominio in favore dell'ente.

6. - In conclusione, pur dopo la scadenza del trentennio dalla data dell'assegnazione, i terreni assegnati a norma delle leggi sulla riforma agraria del 1950, sia quelli poi riscattati ai sensi della legge n. 379 del 1967, sia quelli affrancati ai sensi della legge n. 386 del 1976, restano soggetti al vincolo di indivisibilità previsto dalla legge n. 1078 del 1940. Non sussiste pertanto la denunciata violazione del principio di eguaglianza.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Riuniti i giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, della legge 30 aprile 1976, n. 386 (Norme di principio, norme particolari e finanziarie concernenti gli enti di sviluppo), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 30 maggio 1991.