Sentenza n. 364 del 1996

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SENTENZA N. 364

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera a), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), promossi con ordinanze emesse: 1) il 18 aprile 1995 dalla Corte d'appello di Catanzaro sui ricorsi, riuniti, proposti da Parrotta Domenico contro il Presidente del Consiglio comunale di Pietrapaola ed altro e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rossano contro Parrotta Domenico ed altri, iscritta al n. 395 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1995; 2) il 27 giugno 1995 dalla Corte d'appello di Catanzaro sul ricorso proposto da Rocchetti Saverio contro il Prefetto di Cosenza, iscritta al n. 614 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.42, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Rocchetti Saverio, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 maggio 1996 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

uditi l'avvocato Luigi Monterossi per Rocchetti Saverio e l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. -- La Corte d'appello di Catanzaro, investita dei ricorsi proposti da Domenico Parrotta e dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rossano avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale civile di Rossano il 17 gennaio 1995, nella causa elettorale fra lo stesso Parrotta, Giuseppe Vitale e il Presidente del Consiglio comunale di Pietrapaola, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera a), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), nella parte in cui prevede la non candidabilità di coloro i quali hanno riportato condanna per delitto concernente <l'uso o il trasporto di armi, munizioni o materie esplodenti>.

La Corte rimettente si duole dell'assoluta genericità di tale inciso, suscettibile di diversa interpretazione, mentre la giurisprudenza costituzionale richiede che le cause di ineleggibilità siano tipizzate dalla legge, con precisione, al fine di evitare situazioni di incertezza e contestazioni troppo frequenti. In questo caso, prosegue il Collegio, la formulazione della lettera a) non consente di individuare univocamente le fattispecie di reato per le quali il legislatore ha inteso porre la causa di ineleggibilità: l'espressione <uso di armi>, infatti, non equivale a quella di porto e detenzione, dal momento che usare l'arma e' cosa diversa dal detenerla o trasportarla.

Volendo seguire un'interpretazione restrittiva della norma, sarebbe eleggibile chi abbia riportato condanna per il grave reato di porto abusivo di arma da guerra (art. 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, come sostituito dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497: la pena e' fino a dieci anni di reclusione), mentre sarebbe ineleggibile il condannato per il più lieve delitto del semplice trasporto di armi (art. 18 della legge 18 aprile 1975, n. 110: la pena e' fino a un anno di reclusione). Secondo l'interpretazione estensiva, sarebbero invece accomunate ipotesi di ben diversa rilevanza: e, così, insieme con il condannato per gravi reati di porto e detenzione di armi, munizioni, esplosivi, congegni di guerra, sarebbe ineleggibile l'incauto erede che non abbia provveduto a denunciare nuovamente l'arma del suo dante causa.

1.2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso della infondatezza. In memoria, l'Avvocatura osserva che la nozione uso dell'arma, per quanto possa sembrare atecnica, non e' circoscritta all'impiego direttamente finalizzato all'offesa, ma ricomprende, almeno, il porto dell'arma stessa. A tal proposito, richiama l'art. 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, secondo cui il porto dell'arma e' soggetto alla verifica del dimostrato bisogno;

e menziona l'art. 74 del regolamento di esecuzione, ove si prevede che l'andare armati di determinati soggetti e' disposto nell'interesse pubblico. Il portare l'arma o l'andare armati sono attività che realizzano, dunque, un uso giuridicamente significativo. Ne' e' dubbio che costituisce abuso anche il porto dell'arma in una riunione pubblica (vietato dall'art. 4 della legge n. 110 del 1975) o l'omessa custodia della stessa (art.20- bis di detta legge). Il porto dell'arma senza licenza, che pure e' autonomo reato, può inoltre essere valutato come abuso ai fini del divieto di detenzione di cui all'art. 39 del citato testo unico.

L'Avvocatura sottolinea, infine, come il legislatore abbia utilizzato termini ampi che - evitando la specifica indicazione di titoli di reato - sono idonei a ricomprenderli tutti, in un settore dove e' necessaria la massima trasparenza.

2.1. -- La Corte d'appello di Catanzaro, investita del ricorso proposto da Saverio Rocchetti, avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale civile di Paola il 21 febbraio 1995, nella causa elettorale tra il Prefetto di Cosenza e il Rocchetti, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione, con argomenti identici a quelli della precedente ordinanza.

2.2. -- Anche in questo giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso della non fondatezza.

2.3. -- Si e' costituito Saverio Rocchetti, ricorrente in appello avverso la sentenza emessa il 21 febbraio 1995 dal Tribunale civile di Paola, sostenendo l'illegittimità costituzionale della norma e rilevando come non sia possibile l'equiparazione o l'assimilazione del reato di porto illegale a quello di uso illegale di armi o del trasporto illegale.

In memoria, egli insiste sulla fondatezza della questione di legittimità costituzionale (e, comunque, sulla necessità di un'interpretazione adeguatrice della norma denunciata), sottolineando come il delitto di porto illegale di armi configuri una fattispecie criminosa autonoma, che non ha alcun rapporto con i delitti ricompresi nell'art. 15, comma 1, lettera a), della citata legge n. 55 del 1990; mentre il trasporto illegale, regolato dall'art. 18 della legge n. 110 del 1975, e' delitto che ben s'inquadra nell'elenco di cui alla lettera a), perchè rivela una particolare capacità criminale del suo autore, costituendo l'ultimo anello del commercio illegale di armi. D'altra parte, nella relazione della prima commissione del Senato sul disegno di legge n. 3021, poi divenuto legge n. 16 del 1992, si indicano soltanto i delitti concernenti la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione e il commercio di armi (e i reati connessi al traffico di stupefacenti e di armi) e non si fa menzione del porto e della detenzione, sì che si dovrebbero escludere dall'elenco di cui alla lettera a) i reati di porto illegale e di detenzione abusiva.

Considerato in diritto

1. -- E' al vaglio di legittimità costituzionale la questione, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dell'art. 15, comma 1, lettera a), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), nella parte in cui stabilisce la non candidabilità di coloro i quali hanno riportato condanna per un delitto concernente l'uso o il trasporto di armi, munizioni o materie esplodenti, sotto il profilo che tale disposizione introduce una causa di ineleggibilità priva dei necessari requisiti di precisione e determinatezza.

Dopo la sentenza n. 141 del 1996 di questa Corte, la citata lettera a) vige solo nella parte in cui prevede la non candidabilità a seguito di condanna irrevocabile, come e' avvenuto nei casi in esame.

Il Parrotta (ord. n. 395/95) e' stato infatti condannato - con sentenza del Tribunale di Rossano del 2 dicembre 1987, divenuta irrevocabile il 2 gennaio 1988 - per il delitto di cui agli artt. 12 e 14 della legge n. 497 del 1974 per aver illegalmente portato in luogo pubblico un fucile da caccia; il Consiglio comunale di Pietrapaola ha quindi revocato, ai sensi del comma 4 dell'art. 15 della legge n. 55 del 1990, novellato dalla legge n. 16 del 1992, la convalida dell'elezione, e contro tale delibera il Parrotta ha presentato ricorso ai sensi degli artt. 9-bis e 82 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, proponendo poi appello avverso la sentenza del Tribunale di Rossano del 17 gennaio 1995, di rigetto del ricorso stesso; in tale giudizio e' stata sollevata la presente questione di legittimità costituzionale.

Analoga la vicenda processuale del Rocchetti (ord.n.614/95), condannato dal Tribunale di Paola con sentenza del 5 novembre 1980, irrevocabile il 20 dicembre 1980, per il delitto di cui agli artt.12 e 14 della legge n. 497 del 1974. Il Tribunale di Paola, investito del ricorso del prefetto di Cosenza ex art. 82 del d.P.R. n. 570 del 1960, dichiarava l'ineleggibilità del Rocchetti; quest'ultimo ricorreva innanzi alla Corte d'appello di Catanzaro, che ha sollevato, anche in questo procedimento, questione di legittimità costituzionale dell'art.15, comma 1, lettera a).

I due giudizi hanno a oggetto la medesima norma e vanno pertanto decisi con unica sentenza.

2. -- La questione sollevata da entrambi i Collegi non e' fondata.

La lettera a) citata, nella formulazione che risulta dopo la declaratoria parziale di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 141 del 1996, stabilisce la non candidabilità di coloro i quali hanno riportato condanna, passata in giudicato, per il delitto previsto dall'art. 416-bis del codice penale, per quello di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e anche per i delitti concernenti la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, la vendita o cessione, l'uso o il trasporto di armi, munizioni o materie esplodenti.

Secondo il Collegio rimettente l'ampia formulazione della norma ricomprende fattispecie di ben diverso allarme sociale, consentendo oscillazioni giurisprudenziali inammissibili, perchè incidono sull'esercizio del diritto di elettorato passivo.

Non vi e' dubbio che le cause di ineleggibilità devono essere tipizzate dalla legge con sufficiente precisione, al fine di evitare - o quanto meno limitare - le situazioni di incertezza. E invero la disposizione denunciata, nella parte finale concernente l'uso e il trasporto di armi, può far sorgere qualche perplessità: sì che sarebbe stato consigliabile evitare il ricorso a formule legislative descrittive di più fattispecie, richiamando invece puntualmente i singoli delitti, in modo da rendere più agevole il lavoro dell'interprete e degli operatori giudiziari, e da salvaguardare il bene essenziale della chiarezza normativa.

Ma tali rilievi non si tramutano, di per se', in vizi di legittimità costituzionale: eventuali dubbi interpretativi potranno essere superati dall'elaborazione giurisprudenziale.

Spetta infatti al giudice, utilizzando i comuni canoni ermeneutici, precisare le formule normative prima indicate, dando a esse un contorno più netto (cfr., sempre sulle cause di ineleggibilità, la sentenza n. 280 del 1992), conformemente al principio costituzionale che assume a regola l'eleggibilità, e configura l'ineleggibilità quale eccezione. Le norme che derogano al principio della generalità del diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono contenersi nei limiti di quanto e' necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (v. la sentenza n. 46 del 1969, indi la sentenza n. 166 del 1972, fino alle sentenze nn.571 del 1989, 344 del 1993, 141 del 1996). Soccorrono, d'altronde, anche i lavori preparatori nel senso di un'interpretazione rigorosa della norma denunciata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera a), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), come modificato dall'art.1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Catanzaro, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/10/96.

Mauro FERRI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/10/96.