Sentenza n. 310 del 1996

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SENTENZA N. 310

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 314 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1995 dalla Corte d'appello di Torino sull'istanza proposta da Meloni Maria, iscritta al n. 851 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

1.-- La Corte d'appello di Torino, nel corso di un procedimento per riparazione di ingiusta detenzione, ha sollevato, d'ufficio, in data 5 luglio 1995, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui limita il diritto di ottenere la riparazione per l'ingiusta detenzione esclusivamente alla "custodia cautelare" ingiustamente subita, non contemplando tale diritto anche per l'ipotesi di ingiusta detenzione patita a seguito di ordine di esecuzione illegittimo.

Il giudice a quo espone che avverso la sentenza della IV sezione della Corte d'appello di Torino del 9 dicembre 1992, confermativa della sua condanna a mesi otto di reclusione e lire tremilionicinquecentomila di multa, l'istante aveva presentato ricorso innanzi alla Corte di cassazione, la quale il 4 ottobre 1993 aveva annullato con rinvio, la sentenza di condanna di secondo grado.

La Corte d'appello di Torino, quale giudice di rinvio, con sentenza del 14 novembre 1994 aveva assolto l'imputata per non essere più il fatto previsto dalla legge come reato.

Nelle more del processo, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pinerolo, sull'erroneo presupposto che si fosse formato il giudicato di condanna, aveva emesso ordine di esecuzione, a seguito del quale l'istante era stata detenuta dall'11 aprile 1994 al 7 ottobre 1994. Di qui il procedimento da cui trae origine la presente questione di legittimità costituzionale.

Secondo il giudice rimettente, l'art. 314 cod. proc. pen., limitando il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione alla sola "custodia cautelare" sofferta "ingiustamente", ed escludendo tale diritto per chi abbia subito ingiusta detenzione in base ad ordine di esecuzione illegittimo, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento, in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Né si sarebbe potuto -- ad avviso del giudice a quo -- ricorrere alla disciplina della riparazione dell'errore giudiziario, poiché l'art. 643 cod. proc. pen. presuppone un giudizio di revisione, che nella specie non aveva avuto luogo.

Nessun rilievo potrebbe, infine, attribuirsi alla legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), poiché l'art. 14 di detta legge prevede espressamente che le disposizioni in essa contenute non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione.

Secondo la Corte d'appello di Torino, la questione non è priva del requisito della rilevanza, poiché non sarebbe possibile giudicare sulla domanda dell'istante, se questa Corte non risolve pregiudizialmente il prospettato dubbio di legittimità costituzionale.

2.-- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo, in primo luogo, la inammissibilità della questione per inesatta identificazione della disposizione da censurare, "poiché la detenzione conseguente ad ordine di esecuzione emesso sull'errato presupposto del passaggio in giudicato della condanna non avrebbe natura cautelare, ma definitiva, al pari di quella considerata dall'art. 643 cod. proc. pen., con la sola differenza che, mentre quest'ultima troverebbe titolo in un giudicato successivamente riconosciuto ingiusto, l'altra si fonderebbe su un giudicato poi palesatosi inesistente". Conseguentemente, ad avviso dell'interveniente, la censura di costituzionalità avrebbe dovuto investire il citato art. 643 cod. proc. pen. e non l'art. 314.

Secondo l'Avvocatura la questione sarebbe, in ogni caso, infondata, in quanto il principio della riparazione degli errori giudiziari, sancito dall'art. 24, quarto comma, della Costituzione, postula "l'esigenza di appropriati interventi legislativi, indispensabili per conferirgli concretezza e determinatezza di contorni, dandogli così pratica attuazione" (sentenza n. 1 del 1969). E poiché il legislatore non ha previsto l'equa riparazione per l'ingiusta detenzione a seguito di illegittimo ordine di esecuzione, mancherebbe la disciplina attuativa che l'art. 24 della Costituzione richiede.

Ad avviso dell'Avvocatura, non sarebbe neppure ipotizzabile una violazione del principio di eguaglianza, essendo necessaria a questo fine "l'esistenza di una specifica regolamentazione legislativa (viceversa mancante) relativa alla riparazione della detenzione conseguente ad ordine di esecuzione della pena illegittimo, quale tertium genus di detenzione ingiusta", che si aggiunga alla custodia cautelare ingiustamente subita ed alla detenzione conseguente a giudicato rimosso in sede di revisione.

In via subordinata, l'Avvocatura osserva che il difetto di tutela denunciato dal rimettente avrebbe potuto essere colmato mediante applicazione analogica degli artt. 643 e ss. cod. proc. pen., che riguarderebbero fattispecie affine a quella in esame.

Considerato in diritto

1.-- La Corte d'appello di Torino dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui limita il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione all'ipotesi della custodia cautelare sofferta ingiustamente e non prevede la riparazione per l'ingiusta detenzione subita a seguito di ordine di esecuzione illegittimo, adottato cioè sulla errata premessa che la sentenza di condanna fosse divenuta definitiva.

La disposizione denunciata, ad avviso del giudice a quo, essendo attuativa dell'ultimo comma dell'art. 24 della Costituzione, contrasterebbe con il principio di eguaglianza di fronte alla legge, per la ingiustificata disparità di trattamento che ne risulta tra coloro che abbiano sofferto un'ingiusta detenzione in custodia cautelare e coloro che in tale situazione si siano trovati a causa di un ordine di esecuzione illegittimo.

2.-- Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità avanzata dalla Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il giudice a quo avrebbe errato nell'individuare nell'art. 314 cod. proc. pen. la disposizione generatrice della denunciata violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, laddove avrebbe dovuto semmai essere portato all'esame di questa Corte l'art. 643 cod. proc. pen., che prevede la riparazione dell'errore giudiziario.

L'eccezione è priva di fondamento.

L'art. 643 ha riguardo all'ipotesi tradizionale di riparazione dell'errore giudiziario, quello, cioè, del quale sia rimasto vittima l'imputato poi prosciolto in sede di revisione. Questa disposizione presuppone quindi una sentenza definitiva di condanna successivamente rimossa. Oggetto della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice rimettente è, invece, la disciplina della riparazione in assenza di revisione. Correttamente, pertanto, la violazione delle disposizioni costituzionali di riferimento viene imputata all'art. 314 cod. proc. pen. che, appunto, disciplina la riparazione per ingiusta detenzione per ipotesi diverse da quelle che conseguono ad un giudizio di revisione conclusosi con proscioglimento.

3.-- Obietta ulteriormente l'Avvocatura generale dello Stato che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 1 del 1969), il principio della riparazione degli errori giudiziari -- sancito dall'art. 24, quarto comma, della Costituzione -- non opera in assenza di appropriati interventi legislativi, indispensabili per conferire ad esso concretezza e determinatezza di contorni. E poiché l'equa riparazione per l'ingiusta detenzione a seguito di ordine di esecuzione erroneamente emesso non sarebbe prevista dal legislatore, mancherebbe la disciplina attuativa richiesta dall'art. 24, quarto comma, della Costituzione.

Anche questa obiezione deve essere disattesa.

E' proprio l'art. 314 cod. proc. pen. a porsi come disciplina concretizzatrice della disposizione di principio contenuta nell'art. 24. L'addebito che viene mosso dal giudice rimettente a tale disciplina è che essa, nell'attuare, abbia anche discriminato, violando l'art. 3, per l'ingiustificata disparità di trattamento, non superabile in via interpretativa, in danno di chi abbia patito le conseguenze di un illegittimo ordine di esecuzione di pena detentiva.

4.-- Nel merito, la questione è fondata.

L'art. 314 cod. proc. pen. stabilisce che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.

Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.

Le disposizioni citate si applicano, alle medesime condizioni, a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere.

Nulla è detto dell'ipotesi in cui la detenzione sia stata causata da un ordine di esecuzione illegittimo. E la diversità della situazione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura cautelare, che in prosieguo sia risultata iniqua, rispetto a quella di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario non è tale da giustificare un trattamento così discriminatorio, al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal legislatore completamente ignorata.

La disparità di trattamento tra le due situazioni appare ancor più manifesta, se si considera che la detenzione conseguente ad ordine di esecuzione illegittimo offende la libertà della persona in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta.

La scelta legislativa risulta oltretutto ingiustificata anche alla luce della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), dove, al punto 100 dell'art. 2, comma 1, è prefigurata, accanto alla riparazione dell'errore giudiziario, vale a dire del giudicato erroneo (già oggetto della disciplina del codice previgente), anche la riparazione per la "ingiusta detenzione"; ciò che lascia trasparire l'intento del legislatore delegante di non introdurre, su questo piano, ingiustificate differenziazioni tra custodia cautelare ed esecuzione di pena detentiva. Lo stesso art. 2 della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuovo codice si debba adeguare alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della non discriminazione tra le due situazioni, giacché proprio la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, prevede espressamente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta.

L'obliterazione della ingiusta detenzione patita in seguito a ordine di esecuzione illegittimo costituisce una autonoma ed arbitraria scelta del legislatore delegato -- contrastante con gli artt. 3 e 24 della Costituzione -- alla quale questa Corte deve ovviare con la dichiarazione della illegittimità costituzionale dell'art. 314 cod. proc. pen., nella parte in cui non include questa fattispecie fra le situazioni che fanno sorgere il diritto alla equa riparazione.

Non fornisce argomenti in senso contrario all'accoglimento della questione la legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati). In questa legge, infatti, è espressamente previsto, all'art. 14, che le disposizioni in essa contenute non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione. L'autonomia, positivamente stabilita, tra azione risarcitoria e azione riparatoria per l'ingiusta detenzione rende evidente che privare di quest'ultima azione la persona colpita da un ordine di esecuzione erroneamente emesso significa introdurre una discriminazione, che i principî costituzionali invocati dal giudice a quo non possono tollerare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1996.