SENTENZA N. 241
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all'esecuzione di giudicati, nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito, con modificazioni, nella legge 6 marzo 1992, n. 216, promosso con ordinanza emessa l'8 febbraio e il 1° giugno 1995 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, sul ricorso proposto da Pilone Eduardo contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 806 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 maggio 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto in fatto
1.-- Nel corso di un procedimento promosso da un ex dipendente dello Stato collocato a riposo, col grado di maresciallo capo dell'Arma dei Carabinieri, in data 3 giugno 1982, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all'esecuzione di giudicati, nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito, con modificazioni, nella legge 6 marzo 1992, n. 216, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione.
Il giudice a quo ha premesso che, a seguito dell'entrata in vigore della legge 1° aprile 1981, n. 121, è stato disposto il riordino delle forze di polizia, sulla base della parificazione di cui all'art. 16 della legge stessa; in particolar modo, per creare una piena parità di trattamento economico, l'art. 43, comma diciassettesimo, di detta legge aveva disposto che la perequazione tra gli appartenenti alla Polizia di Stato e gli appartenenti alle altre forze di polizia avvenisse sulla base della tabella C allegata alla legge e poi sostituita con la successiva legge 12 agosto 1982, n. 569.
Ha rilevato poi il medesimo giudice che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 277 del 1991, ha dichiarato incostituzionale il predetto art. 43, comma diciassettesimo, nonché la tabella allegata, nella parte in cui non prevedevano l'inclusione anche della qualifica degli ispettori di polizia, così impedendo la equiparazione con il corrispondente grado dell'Arma dei Carabinieri.
A seguito di tale sentenza, il legislatore è intervenuto con il decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5, convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 6 marzo 1992, n. 216, nel quale, oltre a stabilire la copertura finanziaria per le sentenze dei giudici amministrativi che avevano sollevato la questione di costituzionalità poi accolta, ha disposto anche l'estensione dei nuovi inquadramenti per tutti i sottufficiali dei Carabinieri e della Guardia di finanza, con decorrenza dal 1° gennaio 1992, e lo scaglionamento del pagamento delle competenze arretrate. Il medesimo legislatore, all'art. 4, ha inoltre tutelato il diritto dei dipendenti non ricorrenti alla percezione degli arretrati per il più favorevole inquadramento, a condizione che gli stessi fossero in servizio alla data del 1° gennaio 1987.
Ad avviso del giudice a quo, peraltro, tale norma, non tutelando il diritto di quei dipendenti, come il ricorrente, che sono stati collocati a riposo dopo l'entrata in vigore della legge n. 121 del 1981 ma prima dell'emanazione del decreto-legge impugnato, confligge con gli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione; e ciò in quanto fa decorrere arbitrariamente da una certa data la piena equiparazione tra sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri ed ispettori della Polizia di Stato che, a seguito della sentenza n. 277 del 1991 di questa Corte, deve invece ritenersi valida ed operante fin dall'entrata in vigore della legge n. 121 del 1981.
Ad ulteriore sostegno di tale interpretazione la Corte dei conti, richiamate le sentenze nn. 226 e 477 del 1993, nn. 99 e 178 del 1995 di questa Corte, rileva che la domanda del ricorrente, lungi dall'integrare una richiesta di perequazione automatica, attiene, in realtà, alla piena e corretta applicazione della sentenza n. 277 del 1991 sopra citata.
2.-- Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. In proposito, ha osservato la difesa erariale che è nel potere del legislatore, come più volte ribadito da questa Corte, porre un limite temporale nel passaggio dalla vecchia alla nuova normativa, perché il semplice fluire del tempo funge da elemento differenziatore delle situazioni giuridiche. In tale quadro non viola la Costituzione il fatto che una norma esplichi i propri effetti a decorrere da una certa data, a condizione che ciò avvenga secondo criteri di ragionevolezza.
Considerato in diritto
1.-- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, solleva questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, dell'art. 4, comma 1, del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all'esecuzione di giudicati, nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito, con modificazioni, nella legge 6 marzo 1992, n. 216, nella parte in cui non prevede il riconoscimento del diritto alla riliquidazione della pensione per il personale in servizio alla data di entrata in vigore della legge 1° aprile 1981, n. 121, ma collocato a riposo prima dell'emanazione del decreto-legge sopra indicato.
Tale norma, oltre a confliggere con i parametri costituzionali sopra indicati, contrasterebbe con quanto deciso da questa Corte e negherebbe l'efficacia che la sentenza n. 277 del 1991 deve avere anche nella presente fattispecie.
2.-- La questione è infondata.
Occorre premettere un rapido esame dell'evoluzione della normativa in materia, anche alla luce degli interventi operati da questa Corte.
Com'è noto, con la legge 1° aprile 1981, n. 121, il legislatore, oltre a compiere la cosiddetta "smilitarizzazione" della Polizia di Stato, ha perseguito l'obiettivo di una parificazione tra tutte le forze di ordine pubblico e sicurezza.
Tale equiparazione sostanziale, finalizzata ad una maggiore armonizzazione dei vari Corpi di polizia, si accompagnava ad una equiparazione anche economica, evidenziata nel comma sedicesimo dell'art. 43 della legge sopra citata, ove si stabilisce che il trattamento economico "previsto per il personale della Polizia di Stato è esteso all'Arma dei Carabinieri e ai corpi previsti ai commi primo e secondo dell'articolo 16". Senonché l'art. 43 ora indicato prevedeva, al comma diciassettesimo, che l'equiparazione suddetta si compisse tramite una tabella allegata alla legge stessa, poi sostituita dall'art. 9 della legge 12 agosto 1982, n. 569, la quale tuttavia escludeva le qualifiche degli ispettori, testualmente affermando che per questi ultimi "non vi è corrispondenza con i gradi e le qualifiche del precedente ordinamento della P.S., né con i gradi del personale delle altre forze di polizia".
Con sentenza n. 277 del 1991, è stata dichiarata l'incostituzionalità della predetta disposizione (art. 43, diciassettesimo comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121) nonché della tabella C allegata, nella parte in cui non includevano le qualifiche degli ispettori di polizia. In quella sentenza, peraltro, la Corte ha precisato di non poter compiere alcun intervento additivo sulla normativa in questione, limitandosi ad affermare l'irragionevolezza dell'esclusione sopra indicata.
Il legislatore, sulla base di tale sentenza e di quelle dei giudici amministrativi che avevano accolto i ricorsi dei sottufficiali dell'Arma dei carabinieri, è intervenuto a regolare di nuovo la materia con il decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5, convertito, con modificazioni, nella legge 6 marzo 1992, n. 216.
Con tale decreto-legge, oltre a stabilirsi (art. 1) la copertura finanziaria per la definizione delle controversie pendenti, si è disposto (art. 2) che la parificazione di trattamento economico con la Polizia di Stato valga anche per quei sottufficiali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza che non avevano presentato ricorso al giudice amministrativo, però con decorrenza dal 1° gennaio 1992. I successivi articoli 3, 4 e 5 del decreto-legge in oggetto hanno poi stabilito la perequazione del trattamento economico del corrispondente personale delle altre forze di polizia e la relativa clausola di copertura finanziaria.
Questa Corte, peraltro, ha già avuto modo di pronunciarsi (sentenza n. 455 del 1993), con esito affermativo, sulla conformità a Costituzione dell'art. 1, comma 1, e dell'art. 2, comma 1, del predetto decreto-legge n. 5 del 1992, circa la diversa decorrenza della perequazione economica per i sottufficiali che avevano fatto ricorso al giudice amministrativo e per quelli che tale ricorso non avevano proposto. In proposito, la Corte ha chiarito che "la scelta del legislatore di introdurre una disciplina differenziata tra la posizione dei ricorrenti e quella dei non ricorrenti, per quanto attiene al computo delle competenze arretrate, non è affetta da censure di arbitrarietà o irragionevolezza, anche alla luce del rilievo che il principio di equilibrio del bilancio ha nella ponderazione degli interessi riservata al legislatore".
Va infine ricordato che la legge 6 marzo 1992, n. 216, di conversione del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5, contiene anche una delega al Governo per un nuovo riordino di tutta la complessa materia, delega che è stata portata ad esecuzione, con l'emanazione dei decreti legislativi nn. 195, 196, 197, 198, 199, 200 e 201 del 12 maggio 1995.
3.-- Così ricostruita, per sommi capi, l'evoluzione normativa, deve anzitutto ricordarsi che questa Corte ha già dichiarato inammissibili e manifestamente inammissibili, per eccessiva genericità, alcune analoghe questioni sollevate circa l'incostituzionalità dell'intero testo del decreto-legge n. 5 del 1992 e della legge n. 216 del 1992 (sentenza n. 178 del 1995 e ordinanze nn. 34 e 154 del 1996).
In ordine alla presente fattispecie potrebbe rilevarsi che la Corte dei conti, nel rimettere la questione, non ha chiarito in modo adeguato quale sia il collegamento tra la norma impugnata e la particolare posizione giuridica sottoposta al suo esame, né ha del tutto precisato l'esatto oggetto del presente giudizio di costituzionalità.
Da un lato, infatti, l'art. 4 (unica norma impugnata in questa sede) riguarda l'attribuzione del trattamento economico più favorevole "tra quello risultante dall'applicazione dell'art. 3 e quello eventualmente spettante a seguito di promozione o inquadramento nel ruolo superiore"; mentre sono gli artt. 2 e 3 della legge a stabilire la nuova misura delle retribuzioni.
D'altro canto la Corte rimettente, nel sottolineare che la questione di legittimità costituzionale non investe il problema della perequazione automatica del trattamento pensionistico, si duole poi del fatto che la norma impugnata violi "i principi di uguaglianza, proporzionalità, adeguatezza e razionalità posti dagli artt. 3, 36, 38 e 97 della carta costituzionale" a causa dell'omessa previsione dell'uguale trattamento per il personale collocato in riposo prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 5 del 1992.
Nonostante queste imprecisioni ed apparenti contraddizioni, può chiaramente enuclearsi il vero dubbio di costituzionalità sollevato dal giudice rimettente nel fatto che il legislatore del 1992, non occupandosi del trattamento del personale in quiescenza, avrebbe finito col negare piena efficacia al precetto contenuto nella sentenza n. 277 del 1991 di questa Corte, restringendo i limiti temporali di un'uguaglianza di trattamento che, secondo il giudice a quo, dovrebbe considerarsi operante fin dall'entrata in vigore della legge n. 121 del 1981. In ultima analisi, la doglianza si incentra sul punto se il decreto-legge n. 5 del 1992, nel determinare la decorrenza dei nuovi stipendi dal 1° gennaio 1992 e nel riconoscere dovuti gli arretrati solo nei limiti di un quinquennio, senza nulla prevedere in ordine a coloro i quali erano stati collocati a riposo dopo l'entrata in vigore della legge n. 121 del 1981, abbia violato il principio per cui gli effetti della sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma retroagiscono fino al momento dell'entrata in vigore della norma stessa.
4.-- Nei termini ora chiariti, la questione non è accoglibile.
Va ricordato che questa Corte, con la sentenza n. 277 del 1991, ha ritenuto espressamente di non poter andare oltre la declaratoria di incostituzionalità della tabella C allegata alla legge n. 121 del 1981, evitando ogni intervento "conseguentemente additivo" circa la retribuzione spettante, in quanto ciò è precluso al giudice delle leggi. Una volta eliminata la tabella, la disciplina delle conseguenze rimaneva quindi affidata ai poteri discrezionali del legislatore, da esercitarsi ovviamente entro limiti di ragionevolezza. Sicché deve considerarsi un errato presupposto quello di ritenere che, in seguito alla sentenza n. 277 del 1991, si sia automaticamente verificata la piena equiparazione anche economica, secondo l'omogeneità delle funzioni, tra le qualifiche di ispettore di Polizia e quelle di sottufficiale dell'Arma dei Carabinieri (sentenza n. 455 del 1993). Quest'ultima qualifica, peraltro, è da ritenersi ormai scomparsa alla luce del riordino dei ruoli disposto dal citato decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198.
Conclusivamente, deve ribadirsi che la nuova determinazione delle retribuzioni (quale base del calcolo della misura delle pensioni) non aveva formato oggetto della sentenza n. 277 del 1991, né si presentava come un'operazione meramente conseguenziale alla stessa; ma da quella declaratoria di incostituzionalità discendeva l'esigenza di risolvere diversi e complessi problemi, tra i quali anche quello concernente la decorrenza delle predette nuove retribuzioni; problemi che rientravano nella competenza legislativa.
Nel caso specifico, avendo il legislatore previsto anche il pagamento delle competenze arretrate nei limiti del quinquennio antecedente alla data della sentenza n. 277 del 1991 di questa Corte, non si ravvisa alcuna irragionevolezza della scelta concretamente compiuta, come ha già ritenuto questa Corte con la sentenza n. 455 del 1993.
Il fatto poi che, nel disporre l'equiparazione economica degli stipendi tra appartenenti alla Polizia di Stato ed appartenenti all'Arma dei carabinieri, il legislatore non abbia ritenuto di modificare anche il trattamento di quiescenza, non implica di per sé la violazione dei precetti costituzionali indicati nell'ordinanza di rimessione. Come la Corte ha più volte ribadito, infatti, "la scelta in concreto del meccanismo di perequazione è riservata al legislatore chiamato ad operare il bilanciamento tra le varie esigenze nel quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilità finanziarie" (sentenza n. 226 del 1993).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all'esecuzione di giudicati, nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito, con modificazioni, nella legge 6 marzo 1992, n. 216, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 9 luglio 1996.