ORDINANZA N. 230
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 299, comma 4-ter, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2 maggio 1995 dal Pretore di Latina nel procedimento penale a carico di Bonomo Fabrizio ed altro, iscritta al n. 436 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 maggio 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
RITENUTO che il Pretore di Latina ha sollevato, con ordinanza del 2 maggio 1995, questione di legittimità costituzionale dell'art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 97 e 101 della Costituzione;
che il giudice rimettente premette che nel procedimento penale a quo l'imputato, assoggettato alla misura della custodia cautelare in carcere, ha presentato richiesta di revoca o sostituzione di detta misura, e che sulla richiesta, contrastata dal parere contrario del pubblico ministero, lo stesso Pretore assume di doversi pronunciare, valutando la persistenza delle esigenze cautelari in vista delle quali la misura è stata in precedenza disposta, "sulla sola base delle prospettazioni delle parti" e "senza poter procedere ad acquisire alcun elemento di valutazione";
che, infatti - si osserva nell'ordinanza di rinvio -, al giudice il quale non sia in grado di decidere allo stato degli atti è consentito effettuare accertamenti d'ufficio solo in ipotesi limitate, riguardanti le condizioni di salute o altre condizioni o qualità personali dell'imputato; ipotesi, queste, previste appunto dall'impugnato comma 4-ter dell'art. 299 cod. proc. pen., che è - si precisa - norma di carattere eccezionale e pertanto insuscettibile di interpretazione estensiva;
che, nell'accennata situazione, il Pretore rimettente, rilevando di essere costretto all'alternativa tra l'adesione e la reiezione della richiesta in base ai soli - inadeguati - elementi offerti dalle parti, censura l'art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen., "nella parte in cui non consente al giudice di assumere elementi di valutazione utili ai fini della decisione con modalità diverse da quelle ivi indicate", in riferimento: a) all'art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento che si verifica rispetto agli imputati per i quali il giudice provvede, in tema di misure cautelari, nell'ambito del giudizio direttissimo, nel quale è possibile per il giudice acquisire d'ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell'art. 507 cod. proc. pen.; b) all'art. 97 della Costituzione, perché ne viene impedita la ricerca della verità sostanziale, obiettivo primario di una corretta amministrazione della giustizia; c) all'art. 101 della Costituzione, perché, infine, la norma limita il libero apprezzamento giudiziale delle questioni dedotte dalle parti;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.
CONSIDERATO che con la sollevata questione di costituzionalità il Pretore rimettente lamenta la mancanza di una norma che preveda la possibilità di integrare, con iniziativa d'ufficio, il materiale probatorio utile ai fini della decisione incidentale in tema di libertà personale che egli è chiamato a prendere;
che, quale oggetto della prospettazione, il Pretore individua la disposizione dell'art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen., previsione questa che consente al giudice, in sede di incidente de libertate, di superare eventuali situazioni di "non-decidibilità" allo stato degli atti relativamente - e limitatamente - a profili soggettivi riguardanti l'imputato, quali le sue condizioni di salute o altre condizioni e qualità inerenti la sua persona, come le condizioni economiche o le prospettive lavorative;
che i suddetti profili, che non riguardano il merito dell'indagine e del processo, risultano delimitati nel contenuto all'interno del potere acquisitivo ex officio che è disciplinato in modo coerente con la finalità della previsione, improntata a speditezza e informalità degli accertamenti proprio perché priva di interferenze con le regole di acquisizione istruttoria in senso proprio;
che l'incremento dell'ambito applicativo della specifica disposizione impugnata è viceversa esplicitamente richiesto, nell'ordinanza di rinvio, con riguardo ad elementi concernenti la valutazione della persistente sussistenza delle esigenze cautelari, e dunque coinvolge aspetti astrattamente collegati, sia sul piano della cautela a fini probatori che sul piano delle valutazioni di pericolosità e di pericolo di fuga (art. 274, comma 1, lettere a), b) e c) cod. proc. pen.), al materiale acquisito al processo e disponibile dal giudice;
che la questione così delineata non è d'altra parte sorretta da alcuna indicazione circa la natura o la tipologia degli elementi la cui mancanza precluderebbe nel giudizio a quo al rimettente una adeguata decisione in luogo dell'alternativa tra accoglimento e reiezione di meri enunciati di parte;
che, in particolare, non vale a colmare l'anzidetta lacuna argomentativa il riferimento finalistico all'accertamento sulla sussistenza delle esigenze cautelari, il cui rilievo e il cui immanente controllo ad opera del giudice è offerto, come si è detto, dagli elementi che vengono acquisiti nel processo, i quali logicamente non sono ritenuti dal giudice a quo idonei a soddisfare l'esigenza per la quale è stata sollevata la questione;
che il rilievo sopra formulato assume ulteriore incidenza alla luce del dato, desumibile dall'ordinanza di rinvio - là dove menziona la mancanza di acquisizione successiva "al giudizio", nonché, indirettamente, nel riferimento quale tertium comparationis al potere di integrazione probatoria in dibattimento, ex art. 507 cod. proc. pen. -, della intervenuta conclusione del giudizio di merito (di primo grado), e quindi della ampia utilizzabilità dell'intero materiale probatorio raccolto, da parte del giudice competente in ragione dello stato del processo ex art. 91 disp. att. cod. proc. pen.; un'ampiezza che, reciprocamente, restringe l'area degli elementi ipoteticamente mancanti;
che, in conclusione, la prospettazione dell'ordinanza di rimessione è priva di indicazioni sull'ambito e sul contenuto degli elementi, probatori e informativi, diversi da quelli già utilizzabili ovvero forniti dalle parti che si assumono mancanti e necessari ai fini della valutazione circa le esigenze cautelari, ed è quindi inidonea a dare ingresso al controllo di costituzionalità della norma impugnata, difettando il requisito della motivazione sulla rilevanza, necessario per la verifica della pregiudizialità del quesito (v., da ultimo, sent. n. 179 e ord. n. 168 del 1996);
che, di conseguenza, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 299, comma 4-ter, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 101 della Costituzione, dal Pretore di Latina, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 3 luglio 1996.