ORDINANZA N. 201
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Luigi MENGONI, Presidente
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 309, commi 8, 9 e 10, del codice di procedura penale e dell'art. 13 del decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito con modificazioni nella legge 20 gennaio 1992, n. 8 (Coordinamento delle indagini nei procedimenti per reati di criminalità organizzata), promosso con ordinanza emessa il 25 agosto 1995 dal Tribunale di Catanzaro sulle richieste riunite di riesame proposte da Farao Silvio ed altri iscritta al n. 937 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 maggio 1996 il Giudice relatore Enzo Cheli.
RITENUTO che nel corso dei procedimenti penali riuniti a carico di Farao Silvio e altri 149 indagati, scaturiti da diversi atti di indagine che avevano condotto all'emissione di ordinanze di custodia cautelare nei loro confronti, il Tribunale di Catanzaro, in sede di riesame di tali provvedimenti, con ordinanza del 25 agosto 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 309, commi 8, 9 e 10, del codice di procedura penale, e dell'art. 13 del decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito con modificazioni nella legge 20 gennaio 1992, n. 8 (Coordinamento delle indagini nei procedimenti per reati di criminalità organizzata);
che il giudice rimettente richiama il contenuto delle disposizioni impugnate, che disciplinano le modalità del deposito degli atti relativi al riesame, fissano il termine di dieci giorni per la decisione - la cui violazione è sanzionata dalla perdita di efficacia dei provvedimenti impugnati - e prevedono aumenti di organico del personale giudiziario;
che lo stesso giudice - pur dando atto che questa Corte, con l'ordinanza n. 126 del 1993, ha dichiarato manifestamente infondata una analoga questione di costituzionalità - osserva che gli adempimenti che il giudice del riesame è tenuto a compiere nel termine indicato evidenziano l'irragionevolezza della normativa impugnata nonché la violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia e del diritto di difesa, dal momento che, specialmente nell'ipotesi di procedimenti con numerosi indagati, risulta "impossibile assicurare il "serio" esercizio della funzione giurisdi-zionale ... sia in relazione al numero delle posizioni da riesaminare che alla complessità delle indagini", anche a causa delle carenze di mezzi e di personale che risultano aggravate dal mancato aumento degli organici dei giudici addetti ai tribunali che hanno sede nei capoluoghi dei distretti, esclusi dagli aumenti previsti dall'art. 13 del decreto-legge n. 367 del 1991;
che, pertanto, il giudice rimettente richiede alla Corte una pronuncia di illegittimità delle disposizioni impugnate nelle parti in cui non prevedono la possibilità di concessione di un congruo termine a difesa, nonché "un adeguato rinforzo di personale giudiziario";
che nel giudizio davanti alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata.
CONSIDERATO che questa Corte, con l'ordinanza n. 126 del 1993, ha già dichiarato manifestamente infondata, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali invocati nel presente giudizio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 309, commi 9 e 10, del codice di procedura penale, affermando che la previsione di un termine perentorio breve per l'adozione della decisione sulla richiesta di riesame: a) "non può dirsi lesiva del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, ma realizza, al contrario, una forma di tutela del soggetto che ha impugnato il provvedimento evitando che questi possa essere in alcun modo danneggiato da inadempienze o ritardi dell'autorità giudiziaria"; b) "non si presenta irragionevole in relazione alle operazioni che devono essere svolte dal giudice del riesame, tanto più ove si consideri che le norme impugnate hanno considerevolmente elevato il termine di tre giorni (prorogabile per altri tre) già previsto per la procedura di riesame dall'art. 263-ter c.p.p. abrogato";
che, in ordine a tali censure, l'ordinanza di rimessione non prospetta argomentazioni sostanzialmente diverse da quelle già esaminate dalla Corte nell'ordinanza n. 126 del 1993, e, pertanto, la questione relativa deve essere dichiarata manifestamente infondata;
che, con riferimento all'art. 13 del decreto-legge n. 367 del 1991, convertito nella legge n. 8 del 1992, il giudice rimettente - censurando "la mancata previsione (se non di un ufficio distrettuale) di un adeguato rinforzo di personale giudiziario" - richiede una pronuncia addittiva in materia di organizzazione giudiziaria e di attribuzione dei posti di organico agli uffici giudiziari;
che l'adozione di tale decisione non rientra nella competenza di questa Corte, dal momento che la scelta tra le possibili soluzioni organizzative relative all'allocazione dei mezzi e del personale presso gli uffici giudiziari risulta riservata alla sfera di discrezionalità del legislatore;
che, pertanto, la questione di costituzionalità sollevata nei confronti dell'art. 13 del decreto-legge n. 367 del 1991 va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 309, commi 8, 9 e 10 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con l'ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito nella legge 20 gennaio 1992, n. 8 (Coordinamento delle indagini nei procedimenti per reati di criminalità organizzata), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione dal Tribunale di Catanzaro con la medesima ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 1966.
Luigi MENGONI, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 17 giugno 1996.