Ordinanza n. 126 del 1993

CONSULTA ONLINE

ORDINANZA N. 126

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 309, commi nono e decimo, e 324, comma settimo, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 27 dicembre 1991 dal Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di Gelli Licio ed altri, iscritta al n. 746 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 prima serie speciale dell'anno 1992: Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Enzo Cheli;

Ritenuto che nel procedimento penale a carico di Giuseppe Pesce ed altri 104 indagati, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria - chiamato a pronunciarsi su richieste di riesame proposte da indagati avverso decreti di sequestro emessi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palmi - ha sollevato, con ordinanza del 27 dicembre 1991 ( R.O. n. 746/1992), questione di legittimità costituzionale degli artt.309, commi nono e decimo, e 324, comma settimo, del codice di procedura penale per violazione degli artt. 97, primo e secondo comma, 24, 111, primo comma, e 3 della Costituzione;

che nell'ordinanza di rinvio il Tribunale remittente afferma che, nel termine di dieci giorni previsto dagli artt. 324 e 309 del codice di procedura penale per il riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, è stato possibile portare a compimento solo il giudizio, relativa mente più urgente, riguardante i ricorsi degli indagati sottoposti a custodia cautelare (cinquantotto su sessantadue), mentre è risultato impossibile completare la procedura ed adottare una decisione su quattro ricorsi presentati da indagati non sottoposti a misura coercitiva personale;

che la mancata adozione di una decisione sarebbe dovuta alla particolare complessità dei procedimenti , all'esiguità dell'organico di magistrati e personale ausiliario della seconda sezione penale del Tribunale di Reggio Calabria ed ai tempi ridottissimi - e perciò sospetti di illegittimità costituzionale - concessi al collegio giudicante dagli artt.324 e 309 del codice di procedura penale;

che le norme impugnate sarebbero innanzitutto in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, perchè - secondo il giudice remittente - il principale interesse dell'indagato nel nuovo rito è " quello di conseguire una decisione del giudice del riesame certo il più possibile rapida, ma prima ancora ... accuratamente ponderata", mentre il termine di dieci giorni per la decisione sulla richiesta di riesame (decorrente dalla ricezione degli atti da parte del Tribunale) risulterebbe meramente teorico e del tutto inadeguato, da un lato perchè eroso dalle operazioni, a volte particolarmente complesse, di notificazione agli imputati ed ai loro difensori degli avvisi della data fissata per l'udienza e , dall'altro , perchè l'art. 309, nono comma, del codice di procedura stabilisce che gli atti restano depositati in cancelleria fino al giorno dell'udienza " con conseguente preclusione per i componenti del collegio di riesame di prenderne visione e di curarne lo studio ";

che inoltre le disposizioni impugnate violerebbero l'art. 97 della Costituzione non essendo conforme al precetto di buon andamento dell'amministrazione una organizzazione del lavoro giudiziario caratterizzata da rilevanti disfunzioni connesse al regime della comunicazione e della notificazione degli avvisi "la cui inosservanza comporta la nullità del procedimento camerale e... la conseguente perenzione della misura cautelare ex art.309, ultimo comma, del codice di procedura penale";

che la normativa denunciata si porrebbe, sempre secondo il giudice remittente, in contrasto anche con il precetto dettato dall'art. 111, primo comma, della Costituzione sia perchè la facoltà riconosciuta all'indagato di indicare i motivi della richiesta di riesame non contestualmente alla presentazione del ricorso e la conseguente possibilità che il collegio sia investito della cognizione dei motivi di riesame solo all'udienza camerale ostacolerebbero l'adempimento dell'obbligo di motivazione dell'ordinanza collegiale, sia perchè le norme impugnate - consentendo al Tribunale del riesame di annullare o riformare il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati o di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso - renderebbero necessario che il Tribunale del riesame, dopo aver ricevuto gli atti il giorno dell'udienza, debba prendere visione dell'intero incartamento processuale a pochi giorni di distanza dalla scadenza del termine;

che, infine, vi sarebbe un contrasto delle norme impugnate con il principio di ragionevolezza, essendo " i mezzi apprestati (essenzialmente temporali) .... evidentemente inadeguati ai fini pur vincolanti prescritti (esame delle motivazioni dedotte e rinvenimento di altre presenti agli atti ed ignote alle parti)";

che, ad avviso del giudice remittente, la Corte potrebbe risolvere la questione di legittimità costituzionale fissando la decorrenza del termine di dieci giorni previsto per il riesame dalla data dell'udienza e non più come attualmente avviene "dalla ricezione degli atti";

che nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile ed, in subordine, infondata.

Considerato che, in base al combinato disposto dell'art.309, decimo comma, e 324, settimo comma, del codice di procedura penale, la mancata adozione, nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, della decisione del Tribunale sulla richiesta di riesame di un provvedimento di sequestro determina l'immediata caducazione del provvedimento impugnato;

che - contrariamente a quanto assume il giudice remittente - la previsione di un termine perentorio per l'adozione della decisione sulla richiesta di riesame non può dirsi lesiva del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, ma realizza, al contrario, una forma di tutela del soggetto che ha impugnato il sequestro, evitando che questi possa essere in alcun modo danneggiato da inadempienze o ritardi dell'autorità giudiziaria;

che neppure può dirsi violato l'art. 97 della Costituzione giacchè le disfunzioni e gli intralci all'attività giudiziaria lamentati nell'ordinanza di rimessione costituiscono - per riconoscimento dello stesso giudice a quo - il frutto di deficienze dell'organico dei magistrati e del personale ausiliario nonchè di carenze organizzative degli uffici coinvolti nella procedura di riesame, ma non sono direttamente imputabili alle norme denunciate;

che le disposizioni procedurali impugnate non si pongono in contrasto con l'art. 111, primo comma, della Costituzione giacchè non rendono impossibile la motivazione della decisione adottata, che deve essere correlata ai tempi a disposizione del Tribunale ed alle complessive modalità di svolgimento della procedura di riesame;

che la fissazione di un termine di dieci giorni, decorrente dalla data di ricezione degli atti, non si presenta irragionevole in relazione alle operazioni che devono essere svolte dal giudice del riesame, tanto più ove si consideri che le norme impugnate hanno considerevolmente elevato il termine di tre giorni (prorogabile per altri tre) già previsto per la procedura di riesame dall'art. 263 ter del codice di procedura penale abrogato;

che pertanto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Reggio Calabria va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 309, commi nono e decimo, e 324, comma settimo, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 24, 97, 111, primo comma, e 3 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/03/93.