Sentenza n. 111 del 1996

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N.111

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 148 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 1994 dal Tribunale di sorveglianza di Brescia sull'istanza proposta da Fettolini Domenico, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1995 il Giudice relatore Francesco GUIZZI.

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento instauratosi ai sensi dell'art. 147 del codice penale per il differimento dell'esecuzione della pena, il Tribunale di sorveglianza di Brescia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 148 del codice penale.

Il giudice a quo premette che il condannato, Fettolini Domenico, risulta affetto da una malattia psichica di tipo depressivo, accertata da una perizia d'ufficio e considerata di tale gravità da richiedere, necessariamente, somministrazioni farmacologiche e controlli psicoterapeuti- ci non eseguibili in una struttura penitenziaria. In proposito osserva il Collegio rimettente che, mentre l'ipotesi della infermità fisica, prevista dall'art. 147, primo comma, numero 2, del codice penale, comporterebbe il differimento dell'esecuzione senza condizioni né prescrizioni, determinando come conseguenza il provvisorio ritorno in libertà del condannato, la infermità psichica implicherebbe, al contrario, il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (vale a dire in una struttura che, nella sostanza, è penitenziaria). Perché in seguito all'abolizione degli ospedali psichiatrici civili ad opera della legge 13 maggio 1978, n. 180, il giudice non potrebbe più ricorrere a siffatte strutture e sarebbe costretto a disporre il ricovero dell'infermo nell'ospedale psichiatrico giudiziario.

2. - Tra le persone affette da infermità fisica grave e persone affette da infermità psichica si sarebbe accentuata, pertanto, la disparità di trattamento preesistente, che non appare giustificata. Il bene della salute, tutelato dall'art. 32 della Costituzione, e definito dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), come "fondamentale diritto del singolo ed interesse della collettività", non distinguerebbe fra salute fisica e psichica. Esso consisterebbe in un concetto unitario, onnicomprensivo, che non potrebbe ridondare in danno del solo malato di mente. Del resto, già nella Relazione al codice Rocco, prosegue l'ordinanza di rimessione, si legge che il malato psichico non è in condizione di avvertire gli effetti afflittivi e correttivi della pena, sì che risulterebbe giustificato l'istituto della sospensione dell'esecuzione della pena - quantunque in attesa della guarigione - attraverso il ricovero in una struttura psichiatrica.

Imponendo per il computo complessivo della pena la considerazione del periodo di ricovero nella struttura psichiatrica, questa Corte - secondo il giudice a quo - con la sentenza n. 146 del 1975, si sarebbe fermata a metà strada. Per conformare l'art. 148 del codice penale ai principi costituzionali, andrebbe infatti valutata la pericolosità sociale del condannato (nei cui confronti sia sopravvenuta la malattia psichica) allo scopo di porlo in libertà, quando essa difetti, ovvero di adottare una misura cautelare meno rigida di quella, unica e obbligatoria, qual è l'ospedale psichiatrico giudiziario, quando sussista.

Della inadeguatezza di un servizio intramurario per la cura della salute mentale del detenuto si sarebbe reso conto anche il legislatore che, con alcune disposizioni contenute nel regolamento dell'amministrazione penitenziaria di cui al d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431, ha cercato di ovviare ai problemi che pone la malattia mentale (in proposito il Collegio rimettente cita l'art. 17, quinto comma, ove si prevede il ricorso a specialisti esterni, e l'art. 99 che consente al magistrato di disporre accertamenti attraverso il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario). D'altronde, il rilievo conferito alla pericolosità sociale potrebbe estendersi a tutti gli imputati ai quali sia stata applicata in via provvisoria, ai sensi degli articoli 312 e 313 del codice di procedura penale, la misura di sicurezza del ricovero nell'ospedale psichiatrico giudiziario; né la Corte costituzionale potrebbe richiamarsi alla sentenza n. 24 del 1985 e affermare la sua incompetenza circa la previsione d'una nuova disciplina degli istituti di ricovero che, certo, risolverebbe il problema.

In ordine alla infermità psichica grave - questa la conclusione del giudice a quo - l'art. 148 del codice penale sarebbe in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza, della finalità rieducativa della pena e della tutela della salute. In particolare, quando la malattia mentale è grave, ma priva di incidenza sul piano fisico e, perciò, al di fuori della statuizione di cui all'art. 147 del codice penale, il condannato dovrebbe essere liberato oppure custodito in una struttura meno rigida di quella prevista dall'art. 148, non essendo in grado di avvertire gli effetti afflittivi della pena e della sua finalità rieducativa. Di qui, l'illegittimità costituzionale dell'art. 148, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non consente la valutazione della pericolosità sociale del condannato colpito da malattia psichica (sopravvenuta o preesistente) e, dunque, non considera la possibilità di un suo ricovero attraverso misure cautelari e curative meno rigide.

3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità della questione sollevata.

Il giudice a quo chiede una pronuncia che esula dalle attribuzioni della Corte, qual è la modifica dell'art. 148 del codice penale con la previsione di misure alternative rispetto al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. Né il riferimento all'art. 147, primo comma, numero 2, del codice penale appare pertinente, trattandosi di una norma derogatoria della disciplina dell'esecuzione della pena, che non può essere assunta quale metro di legittimità della regola (generale) dettata in materia. Le due fattispecie - quella della grave infermità fisica e quella della infermità psichica - sono differenti e perciò si giustifica, conclude l'Avvocatura, il loro diverso trattamento.

Considerato in diritto

 

1. - Viene all'esame della Corte, in riferimento ai principi costituzionali di eguaglianza, ragionevolezza, tutela della salute in ogni suo aspetto e rieducazione del condannato, di cui agli artt. 3, 32 e 27 della Costituzione, la questione di costituzionalità dell'art. 148 del codice penale, ove si prescinde dalla valutazione della pericolosità sociale, nel caso di infermità psichica sopravvenuta, e non si prevede la liberazione del condannato, in attesa della eventuale guarigione, come invece dispone l'art. 147, primo comma, numero 2, per il condannato affetto da grave malattia fisica.

2. - La questione è inammissibile.

Con l'ordinanza di rimessione si solleva la questione di legittimità costituzionale in ragione dell'accostamento di due diverse situazioni di fatto accomunate dal ricovero in una struttura custodiale: l'ospedale psichiatrico giudiziario (un tempo manicomio giudiziario). L'applicazione della misura di sicurezza detentiva in seguito al proscioglimento dell'imputato per infermità psichica risponde, nel sistema penale, all'esigenza di assicurare una forma di custodia soltanto per le persone socialmente pericolose, secondo l'indirizzo con cui questa Corte ha ripetutamente affermato, come indispensabile, l'accertamento della pericolosità sociale di coloro che sono sottoposti alla misura di sicurezza (v. sentenze nn. 1102 del 1988, 249 e 139 del 1982). Tale misura riguarda, tuttavia, esclusivamente chi è autore del reato nello stato di incapacità d'intendere e di volere: colui, cioè, che al momento del fatto non era, totalmente o parzialmente, imputabile.

Nel caso in esame, invece, il condannato ha commesso il fatto-reato con piena colpevolezza, sì che la malattia è un posterius, non un prius, rispetto al fatto penalmente rilevante.

3. - La malattia psichica, per quanto sopravvenuta, è comunque una realtà che a un certo punto delle due diverse vicende umane viene pur sempre ad unificarle. Ragion per cui il Collegio rimettente ritiene che sottoporre a due distinti trattamenti il caso della malattia mentale sopravvenuta e quello della infermità preesistente al fatto comporti la violazione dei principi costituzionali menzionati, giacché identica è la struttura custodiale che eroga il trattamento.

Dubbi di legittimità costituzionale si estendono altresì, nell'ordinanza, anche con riferimento al caso della malattia fisica grave che obbliga il giudice a sospendere l'esecuzione della pena sino alla (poco probabile) guarigione. Prevedendo un trattamento umanitario per l'autore del fatto, quest'ultima ipotesi - al pari dell'altra riguardante la persona prosciolta per infermità psichica non socialmente pericolosa - renderebbe evidente la disumanità del trattamento riservato al condannato cui sia diagnosticata, durante la detenzione, una malattia psichica grave.

4. - Questa Corte ha più volte dichiarato inammissibili le richieste d'interventi additivi su disposizioni concernenti una nuova disciplina delle misure applicabili in seguito al proscioglimento, per totale infermità psichica, con particolare riferimento alle misure alternative al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (v. da ultimo l'ordinanza n. 333 del 1994).

Il giudice a quo ritiene di non aver formulato un'analoga domanda, non intendendo modificare l'istituto custodiale nel suo complesso; è tuttavia evidente che l'ordinanza di rimessione non fuoriesce da quel solco. L'alternativa fra il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e la sospensione della misura proposta nel petitum additivo è infatti solo apparente, come già emerge dalla considerazione della causa petendi che oscilla fra l'estremo dell'assimilazione del caso in esame alla malattia fisica grave e quello dell'omogeneizzazione del trattamento alla infermità psichica preesistente (in funzione dell'applicazione del criterio della pericolosità sociale). Sì che occorre scegliere fra le diverse opzioni che, invero, hanno un comune denominatore, condiviso dalla Corte, circa il non soddisfacente trattamento riservato all'infermità psichica grave, sopravvenuta, specie quando è incompatibile con l'unico tipo di struttura custodiale oggi prevista. Tuttavia, spetta al legislatore trovare una equilibrata soluzione che garantisca anche a questi condannati la cura della salute mentale - tutelata dall'art. 32 della Costituzione - senza che sia eluso il trattamento penale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 148 del codice penale sollevata, in riferimento agli articoli 3, 27 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Brescia, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della Consulta, il 28 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 aprile 1996.