SENTENZA N. 388
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 1994 dal Tribunale di Rieti nel procedimento civile vertente tra l'INPS e MARZETTI Carlo, iscritta al n. 695 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di costituzione dell'INPS;
udito nell'udienza pubblica dell'11 luglio 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento civile di appello, promosso dall'INPS avverso la sentenza con cui il Pretore di Rieti aveva accolto la domanda di ricalcolo della misura della pensione proposta da Marzetti Carlo - già dipendente della S.N.I.A. Viscosa s.p.a. e della Società Sviluppo Industriale, collocato in regime di integrazione salariale nei periodi dal 1/8/1979 al 30/4/1981 (Snia) e dal 1/5/1981 al 31/5/1988 (Società Sviluppo Industriale-Gepi), e titolare di pensione VO con decorrenza 1/1/89 (prepensionamento) -, il Tribunale di Rieti, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza emessa il 12 ottobre 1994, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di lavoratore dipendente prepensionato perchè sottoposto ad integrazione salariale, il quale abbia già conseguito in costanza di rapporto di lavoro la prescritta anzianità assicurativa e contributiva obbligatoria, e per il quale la pensione sia liquidata sulla base del concorso della contribuzione figurativa, non possa essere comunque liquidata una pensione di importo inferiore a quella che sarebbe spettata tenendo conto soltanto della mera contribuzione obbligatoria.
Affermata la rilevanza della questione, poichè il ricorrente avrebbe avuto diritto, avendone maturato i requisiti, al trattamento di anzianità nella maggiore misura calcolata sulla base della sola contribuzione obbligatoria, e stante l'impossibilità di assumere la fattispecie de qua nell'àmbito della previsione normativa venutasi a creare a seguito della sentenza di questa Corte n. 307 del 1989, osserva il Tribunale remittente come non possa dubitarsi dell'irragionevolezza della norma in esame, dichiarata illegittima anche dalla successiva sentenza n. 264 del 1994. Nel caso, infatti, in cui il lavoratore, pur avendo maturato il requisito della contribuzione previdenziale minima in costanza di rapporto di lavoro, viene collocato in regime di integrazione salariale e perciò assoggettato a contribuzione figurativa - cronologicamente coincidente, in tutto o in parte, con le ultime 260 settimane contributive antecedenti la decorrenza del trattamento pensionistico -, il parametro della retribuzione annua pensionabile viene calcolato sulla base di un salario notoriamente inferiore a quello percepito in precedenza, così che, nonostante l'incremento del parametro dell'anzianità contributiva, la misura del trattamento pensionistico è minore di quella calcolata sulla sola contribuzione obbligatoria.
Osserva, inoltre, il giudice a quo come l'irrazionalità della norma e l'iniquità del risultato cui conduce una sua indifferenziata applicazione sono ancora più evidenti ove si consideri che la flessione del parametro della retribuzione annua pensionabile non è, nell'ipotesi prospettata, ascrivibile a libera scelta del lavoratore, il quale, oltre la falcidia salariale impostagli da eventi esterni alla sua volontà (e solo in parte recuperabile con l'ammissione al regime di integrazione salariale), deve anche subire un ingiustificato depauperamento del trattamento pensionistico.
2. - Si è costituito l'INPS, il quale s'è rimesso alla decisione della Corte, rilevando che quest'ultima ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma impugnata con le sentenze n. 264 del 1994, n. 428 del 1992 e n. 307 del 1989, e peraltro sottolineando, in una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, la diversità, rispetto alle fattispecie che hanno dato origine alle menzionate sentenze, di quella oggetto del giudizio a quo, il quale non attiene ad una ipotesi "normale" di pensione di vecchiaia o di anzianità. Ciò in quanto, nei casi di pensionamento anticipato, gli interessati conseguono il diritto a pensione non solo prima del compimento della età pensionabile normale ma anche prima di aver maturato i requisiti per il diritto alla pensione di anzianità.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale di Rieti ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione dell'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di lavoratore dipendente prepensionato perchè sottoposto ad integrazione salariale, il quale abbia già conseguito in costanza di rapporto di lavoro la prescritta anzianità assicurativa e contributiva obbligatoria, e per il quale la pensione sia liquidata sulla base del concorso della contribuzione figurativa, non possa essere comunque liquidata una pensione di importo inferiore a quella che sarebbe spettata tenendo conto soltanto della mera contribuzione obbligatoria.
Secondo il collegio remittente, nel caso di un lavoratore che venga collocato in regime di integrazione salariale ed assoggettato a contribuzione figurativa - cronologicamente coincidente, in tutto o in parte, con le ultime 260 settimane contributive antecedenti la decorrenza del trattamento pensionistico -, l'applicazione indifferenziata della norma impugnata perverrebbe all'irrazionale ed iniquo risultato di determinare, nonostante l'incremento del parametro dell'anzianità contributiva, una riduzione dell'ammontare della pensione, la cui misura, calcolata sulla base di un salario notoriamente inferiore a quello percepito in precedenza, è minore rispetto a quella che sarebbe spettata qualora fosse stata calcolata sulla sola contribuzione obbligatoria.
2. - La questione è fondata.
Questa Corte ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma in esame, per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui "non prevede che, in caso di prosecuzione volontaria nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti da parte del lavoratore dipendente che abbia già conseguito in costanza di rapporto di lavoro la prescritta anzianità assicurativa e contributiva, la pensione liquidata non possa essere inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell'età pensionabile sulla base della sola contribuzione obbligatoria" (sentenza n. 307 del 1989, relativamente alla pensione di vecchiaia, nonchè, estensivamente alla pensione di anzianità, sentenza n. 428 del 1992); e per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, "nella parte in cui non prevede che, nel caso di esercizio durante l'ultimo quinquennio di contribuzione di attività lavorativa meno retribuita da parte di un lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell'età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di minore retribuzione, in quanto non necessari ai fini del requisito dell'anzianità contributiva minima" (sentenza n. 264 del 1994).
Constatati i paradossali effetti che il meccanismo previsto dalla denunciata norma cagionava in talune particolari ipotesi di prosecuzione della contribuzione di importo inferiore a quello della contribuzione obbligatoria precedentemente versata, di per sè sufficiente a radicare il diritto alla pensione, la Corte ha infatti ritenuto privo di giustificazione che a maggior apporto contributivo corrispondesse una riduzione del trattamento rispetto a quello che sarebbe spettato ove il lavoratore avesse omesso di effettuare la suddetta ulteriore contribuzione.
La Corte ha fra l'altro rilevato che l'irrazionalità di una tale vanificazione degli effetti astrattamente favorevoli, derivanti dalla prosecuzione dei versamenti e dal relativo aumento dell'anzianità contributiva, si appalesa ancor più chiaramente in presenza di una disposizione (come quella in esame) volta a comporre un sistema di tutela delle singole posizioni soggettive, nel quale il riferimento all'ultimo periodo lavorativo per la determinazione della retribuzione pensionabile è diretto a garantire una più alta base di calcolo per la liquidazione del trattamento (v., in particolare, sentenza n. 264 del 1994).
3. - La diversità, rispetto ai precedenti, del caso che ha dato origine al presente incidente di costituzionalità, in cui il depauperamento dell'ammontare della pensione è conseguenza del concorso della contribuzione figurativa del lavoratore collocato in regime di integrazione salariale, non influisce sulla ratio decidendi della questione. Ratio che rimane la medesima delle citate decisioni, ed anzi viene rafforzata dal rilievo che, nella specie, la flessione del parametro della retribuzione annua pensionabile non è in alcun modo ascrivibile ad una autonoma scelta del lavoratore; il quale, dunque, oltre a subire la falcidia salariale imposta da eventi esterni alla sua volontà, verrebbe, per via della norma de qua, ad essere colpito anche nel successivo trattamento pensionistico.
4. - La Corte deve ribadire e, per quanto occorre, sottolineare e precisare che, nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, l'ulteriore contribuzione (qualunque ne sia la natura: obbligatoria, volontaria o figurativa) è destinata unicamente ad incrementare il livello di pensione già consolidatosi, senza mai poter produrre l'effetto opposto di compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata in itinere. Effetto, che si appalesa irragionevole siccome non rispondente all'esigenza di conformità dell'ordinamento ai valori di giustizia e di equità connaturati al principio sancito dall'art. 3 della Costituzione, oltre ad essere in contrasto con le garanzie poste dal successivo art. 38. Il che si verifica appunto con riguardo alla norma in esame, dal cui contesto esula la previsione di una clausola di salvaguardia della posizione acquisita attraverso il raggiungimento della detta soglia minima di pensionabilità, che segna un limite intrinseco alla discrezionalità del legislatore nella scelta, ad esso riservata, del criterio d'individuazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile.
5. - Tuttavia tale salvaguardia comporta soltanto l'attribuzione al lavoratore della semplice facoltà di optare per il periodo di contribuzione a lui più favorevole, senza possibilità di sommare a questo gli eventuali altri vantaggi derivanti dalla successiva contribuzione figurativa, anche in termini di aumento dell'anzianità contributiva.
Questa necessaria precisazione, che definisce i contorni delle considerazioni di principio sopra svolte, vale di per sè a far disattendere le obiezioni prospettate nella memoria dell'INPS col richiamo ai vantaggi derivanti al lavoratore dal prepensionamento, attraverso l'anticipazione del momento di percezione della pensione di vecchiaia. Anticipazione naturalmente collegata ad un istituto che ha una propria autonoma ratio, la quale si colloca nel quadro delle misure volte a fronteggiare situazioni di crisi dell'impresa e dunque rimane estranea al principio come sopra posto e definito, implicante la mera sterilizzazione del periodo ulteriore a quello in cui è stato raggiunto il minimo contributivo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di lavoratore dipendente sottoposto ad integrazione salariale, il quale abbia già conseguito in costanza di rapporto di lavoro la prescritta anzianità assicurativa e contributiva obbligatoria e per il quale la pensione sia liquidata sulla base del concorso della contribuzione figurativa, non possa essere comunque liquidata una pensione di importo inferiore a quella che sarebbe spettata tenendo conto soltanto della contribuzione obbligatoria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 26 luglio 1995.