ORDINANZA N. 350
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 53, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), introdotto dall'art. 19 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1994 dalla Commissione tributaria di primo grado di Verbania sul ricorso proposto da Zanola Claudio contro l'Ufficio del registro di Domodossola, iscritta al n. 25 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 31 maggio 1995 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
RITENUTO che, nel corso del giudizio sul ricorso avverso un avviso di accertamento relativo a taluni immobili ai fini dell'imposta di registro e dell' imposta sull'incremento valore degli immobili (INVIM), la Commissione tributaria di primo grado di Verbania, con ordinanza del 17 novembre 1994 (R.O. n. 25 del 1995), ha sollevato, in riferimento all'art. 108, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall'art. 19 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, il quale fissa la sanzione -- consistente in una pena pecuniaria da lire centomila a lire un milione, da irrogare con decreto del Ministro delle finanze -- per l'inosservanza dell'obbligo, posto dall'art. 36, quarto comma, dello stesso d.P.R. n. 600 del 1973, a carico degli organi giurisdizionali e amministrativi che, a causa o nell'esercizio delle loro funzioni, vengano a conoscenza di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie, di comunicarli direttamente al comando della Guardia di finanza competente in relazione al luogo di rilevazione degli stessi; che, ad avviso del giudice a quo, la possibilità, prevista dalla disposizione impugnata, che il Ministro delle finanze irroghi ai giudici tributari una sanzione disciplinare per eventuali omissioni collegate all'esercizio delle loro funzioni, sarebbe incompatibile con l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, sancita dall'art. 108, secondo comma, della Costituzione; che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza nel giudizio a quo; mentre, nel merito, ha concluso per la infondatezza della questione.
CONSIDERATO che la eccezione di inammissibilità formulata dalla Avvocatura generale dello Stato merita accoglimento, in quanto la questione è prospettata in via meramente ipotetica, non essendo profilato un qualsiasi obbligo di specifica comunicazione di fatti configurabili come illeciti tributari, nè tantomeno contestata, nella fattispecie, alcuna violazione ai giudici tributari in relazione alla inosservanza di un tale obbligo; che non possono indurre a diversa conclusione le considerazioni svolte dal collegio remittente in ordine alla rilevanza della questione in quanto concernente l'indipendenza del giudice: la disposizione censurata, infatti, non incide sul rapporto che il giudice è chiamato a decidere, nè concerne la composizione dell'organo giudicante. Di conseguenza, essa non può trovare applicazione sotto alcun profilo da parte dello stesso giudice (ordinanze n. 594 del 1989 e n. 326 del 1987); che la questione sollevata va, pertanto, di chiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), introdotto dall'art. 19 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accerta mento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento all'art. 108, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Verbania con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/07/95.
Vincenzo CAIANIELLO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 21/07/95.