Ordinanza n. 307 del 1995

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ORDINANZA N. 307

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 621 del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 5 novembre 1994 dal Pretore di Rovigo, sezione distaccata di Lendinara nel procedimento civile vertente tra Dainese Tiziano e Cortellazzi Ermando ed altro iscritta al n. 13 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 31 maggio 1995 il Giudice relatore Renato Granata;

RITENUTO che, con ordinanza del 5 novembre 1994, il Pretore di Rovigo sezione distaccata di Lendinara ha riproposto la questione - come egli stesso ricorda già più volte negativamente decisa dalla Corte [da ultimo, in fattispecie identica a quella odierna, con ordinanza n. 233 del 1986] - di legittimità costituzionale dell'art. 621 cod. proc. civ., "nella parte in cui non consente al terzo op ponente di provare con testimoni il suo diritto di proprietà sui beni mobili pignorati nella casa del debitore, quando l'esistenza di tale diritto sia resa verosimile [come nella specie] dalla sua qualità di genitore convivente con il debitore"; che, in particolare, ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata violerebbe: a) l'art. 3 Cost. per irrazionale disparità di trattamento tra il genitore convivente con il debitore ed altri terzi opponenti non conviventi, i quali possono, invece, sulla base di altre verosimiglianze - la professione o il commercio esercitato dal terzo o dal debitore - provare con testimoni il loro diritto; b) l'art. 24 Cost., perchè sarebbe sostanzialmente svuotata di contenuto la possibilità, per il genitore convivente con il debitore, di agire in giudizio a tutela dei propri diritti; che inoltre, sempre secondo il Pretore rimettente, la norma stessa <non rende un buon servizio all'istituto della famiglia (artt. 29-31 Cost.), considerato anche che il mutato costume sociale ha allungato a dismisura i tempi della convivenza dei figli con i loro genitori prima del matrimonio>; che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, per tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, ha concluso per l'infondatezza della questione, rilevando che essa è stata già esaminata dalla Corte e dichiarata non fondata con sentenza n. 112 del 1970 e manifestamente infondata con ordinanze n. 184 del 1970, n. 223 del 1974; n. 233 del 1986.

CONSIDERATO che, come rilevato pure dalla Avvocatura, la questione sollevata è stata già dichiarata non fondata dalla Corte con le richiamate pronunce; che, in particolare, la norma censurata - la quale ammette il ricorso alla prova testimoniale (senza escludere tuttavia mezzi istruttori diversi da questa) nel solo caso in cui l'esistenza del diritto dell'opponente <sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore> - si inquadra, come più volte sottolineato, in un sistema che, a tutela del soddisfa cimento dei diritti di credito contro possibili fraudolenti situazioni, fa derivare dall'ubicazione dei beni da pignorare la presunzione legale della loro appartenenza al debitore: presunzione che può essere vinta, secondo le regole generali, soltanto nei limiti autorizzati dalla legge; che, pertanto, non vi è violazione dell'art. 24 Cost., essendo ius receptum che l'esercizio del diritto di difesa può sottostare a limitazioni imposte dall'esigenza di armonizzare contrapposti interessi sostanziali; nè dell'art. 3 Cost., in quanto, per le ragioni esposte, la norma deve ritenersi rispondente a criteri di razionalità; che la palese infondatezza della questione discende anche dalla mancata prospettazione da parte del Pretore a quo di alcun nuovo argomento a sostegno del chiesto suo riesame, in relazione ai parametri su citati, e si estende pure ai profili di violazione (per altro neppure, come tale, esplicitamente dedotta) degli artt. 29-31 della Costituzione stante l'evidente ragionevolezza del limite alla prova orale in un contesto di convivenza in cui è ancor più accentuato il pericolo di elusione della tutela creditoria. Visti gli artt. 20, secondo comma, legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 621 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24, 29-31 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Rovigo, sezione distaccata di Lendinara, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/95.

Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 07/07/95.