SENTENZA N. 292
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia, riapprovata il 26 ottobre 1994 dal Consiglio regionale (Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 8 maggio 1990, n. 38 "Recepimento nell'ordinamento giuridico della Regione Lombardia dell'accordo per il triennio 1988/90 riguardante il personale dipendente delle Regioni a statuto ordinario, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dagli istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi, nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale"), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 novembre 1994, depositato in cancelleria il 6 dicembre 1994 ed iscritto al n. 85 del registro ricorsi 1994. Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia; udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri; uditi l'Avvocato dello Stato Claudio Linda, per il ricorrente, e l'avv. Valerio Onida per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. -- Con ricorso notificato il 28 novembre 1994, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge regionale della Lombardia, riapprovata a maggioranza assoluta dal Consiglio regionale il 26 ottobre 1994, recante < Modificazioni ed integrazioni alla l.r. 8 maggio 1990, n. 38 "Recepimento nell'ordinamento giuridico della Regione Lombardia dell'accordo per il triennio 1988/1990 riguardante il personale dipendente delle regioni a statuto ordinario, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dagli istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi, nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale">. Osserva il ricorrente che la legge, costituita da un solo articolo, si pone in netto contrasto con il decreto legislativo n. 29 del 1993, e successive modificazioni, che demanda alla contrattazione collettiva la disciplina dei trattamenti economici accessori, nonchè con l'art. 72 dello stesso decreto, modificato dall'art. 36 del decreto legislativo n. 546 del 1993, che dispone, in attesa della predetta disciplina, che la normativa contrattuale recepita con decreti del Presidente della Repubblica in base alla legge n. 93 del 1983, resta in vigore sino al la sottoscrizione dei nuovi contratti collettivi previsti nel nuovo ordinamento. Le disposizioni del decreto legislativo n. 29 del 1993 costituiscono, a norma dell'art. 1, comma 3, dello stesso, principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e perciò, ad avviso del ricorrente, la legge regionale impugnata viola detto articolo della Costituzione. Inoltre, manca nel provvedimento impugnato una norma finanziaria che indichi i mezzi di copertura degli oneri scaturenti dallo stesso, con violazione, pertanto, anche dell'art. 81 della Costituzione.
2. -- Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, concludendo per l'inammissibilità, o, comunque, l'infondatezza della questione. Premette la difesa della Regione che, per effetto della legge impugnata (articolo unico), il fondo annuo denominato "per il miglioramento dell'efficienza dei servizi", previsto dall'art. 5 della legge regionale n. 38 del 1990, viene alimentato, per quanto riguarda il personale del Consiglio regionale, da una somma determinata in misura pari a 120 ore di straordinario per dipendente -- così come già previsto dall'art. 15, comma 3, della precedente legge regionale n. 59 del 1988 -- anzichè 70 ore annue, come previsto per gli altri dipendenti regionali. Ciò posto, si osserva che, per quanto attiene alla generica contestazione di contrasto con i principi fondamentali posti dal decreto legislativo n. 29 del 1993, manca del tutto nel ricorso una precisa identificazione dello specifico principio che si assume violato; non si può infatti condividere l'affermazione del ricorrente secondo la quale, poichè le disposizioni del suddetto decreto legislativo, a norma dell'art. 1, comma 3, dello stesso, costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, qualsiasi tipo di difformità tra la norma regionale e la fonte statale violerebbe il medesimo art. 117 della Costituzione (cfr., in tal senso, la sentenza di questa Corte n. 359 del 1993 proprio con riferimento alla più recente disciplina del pubblico impiego). Ne consegue che l'impugnazione della norma regionale per contrasto con l'art. 117 della Costituzione non può essere ritenuta ammissibile senza la precisa indicazione del principio che si assume posto dal decreto legislativo n. 29 del 1993, nonchè violato dalla norma impugnata. Ove poi -- prosegue la Regione-- la censura dovesse intendersi riferita al disposto di cui all'art. 49, comma 1, del decreto legislativo n. 29 del 1993, secondo cui "il trattamento economico fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi", va rilevato anzitutto che, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, e secondo il principio generale valido in materia di contrattazione collettiva, i trattamenti economici che le amministrazioni pubbliche assicurano ai loro dipendenti devono essere "non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi"; e nella specie tale vincolo non è in nulla violato. Peraltro, la norma impugnata non è intesa propriamente a disciplinare un trattamento economico accessorio, tanto meno un trattamento contrastante con quello previsto dai contratti collettivi: essa si limita a determinare la misura di una delle componenti del "fondo per il miglioramento dell'efficienza dei servizi". Nè può dirsi violato l'art. 72 del decreto legislativo n. 29 del 1993, che dispone la perdurante efficacia transitoria delle norme derivanti dai pregressi accordi sindacali stipulati sulla base della legge n. 93 del 1983. Infatti, per le ragioni ora dette, la legge censurata non è affatto in contrasto con la disciplina contrattuale, limitandosi a fissare l'entità del fondo di incentivazione, peraltro rapportandola a parametri stabiliti proprio in attuazione di una precedente disciplina derivante da accordi sindaca li. Precisamente la previsione normativa contestata si limita a confermare, per i dipendenti del Consiglio, la disponibilità di un fondo corrispondente ad un monte ore per le prestazioni straordinarie in misura pari a quanto già determinato per tutto il personale regionale in base all'accordo nazionale di lavoro 1985/1987, recepito nell'ordinamento regionale con la legge regionale 16 dicembre 1988, n. 59: si tratta quindi, con tutta evidenza, non già di una nuova e superiore determinazione di emolumenti accessori, ma di una conferma, per una parte soltanto del personale regionale, di una disciplina già in atto del fondo di incentivazione. Tale particolare previsione -- con effetti dunque meramente conservativi -- si giustifica del resto in considerazione della particolare natura dell'organo consiliare, la cui operatività comporta spesso l'impiego del personale fuori dal normale orario di servizio e, di conseguenza, un più frequente ricorso alle prestazioni straordinarie. Infine, conclude la difesa della Regione, l'effetto meramente confermativo della disciplina di cui si discute, quindi già tenuta presente in sede di stima del fabbisogno finanziario e di predisposizione del bilancio regionale, consente anche di chiarire la infondatezza della censura di violazione dell'art. 81 della Costituzione, non dovendosi ritenere necessaria una norma di copertura finanziaria qualora non si determinino "nuove o maggiori spese".
Considerato in diritto
1. -- L'oggetto del presente giudizio, introdotto con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, è costituito dalla legge della Regione Lombardia, riapprovata dal Consiglio regionale il 26 ottobre 1994, il cui unico articolo aggiunge un comma all'art. 5 dell'allegato alla legge regionale 8 maggio 1990, n. 38, recante "Recepimento nell'ordinamento giuridico della Regione Lombardia dell'accordo per il triennio 1988/90 riguardante il personale dipendente delle Regioni a statuto ordinario, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dagli istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi, nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale". Rileva il ricorrente che la legge impugnata incrementa, per il personale del ruolo consiliare, le somme destinate al fondo per il miglioramento dell'efficienza dei servizi, determinandone l'ammontare in misura pari a 120 ore annue di straordinario per dipendente, anzichè a 70 ore, come previsto dalla normativa contrattuale vigente. Ciò determinerebbe la violazione, innanzitutto, dell'art. 117 della Costituzione, per contrasto con il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (e successive modificazioni) -- le cui disposizioni costituiscono principi fondamentali ai sensi del menzionato articolo della Costituzione --, il quale demanda alla contrattazione collettiva la disciplina dei trattamenti economici accessori, nonchè con l'art. 72 del decreto legislativo medesimo, il quale dispone, in via transitoria, che la normativa derivante dagli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica, in base alla legge n. 93 del 1983, conserva efficacia fino alla sottoscrizione dei nuovi contratti collettivi previsti nel nuovo ordinamento. In secondo luogo, la mancanza nella legge impugnata di una norma finanziaria che indichi i mezzi di copertura degli oneri da essa derivanti comporterebbe, altresì, ad avviso del ricorrente, la violazione dell'art. 81 della Costituzione.
2. -- La Regione Lombardia eccepisce l'inammissibilità della questione posta in riferimento all'art. 117 della Costituzione, in quanto mancherebbe nel ricorso la precisa indicazione dello specifico principio contenuto nel decreto legislativo n. 29 del 1993 che si assume violato, non essendo sufficiente denunciare una qualsiasi generica difformità tra norma regionale e fonte statale. L'eccezione deve essere rigettata. Appare del tutto evidente, infatti, che il ricorrente ha individuato nella "contrattualizzazione" del rapporto di pubblico impiego (sotto lo specifico profilo del trattamento economico), nonchè nella disciplina transitoria dettata dall'art. 72 del decreto n. 29, i principi fondamentali ritenuti violati, a nulla rilevando, nel primo caso, la mancata esplicita indicazione degli articoli in cui il principio stesso è contenuto.
3.1. -- La questione è fondata per violazione dell'art. 117 della Costituzione. Va premesso che indubbiamente (nè ciò, del resto, è contestato dalla resistente) sia l'inquadramento dei rapporti di pubblico impiego nella contrattazione collettiva e individuale, sia la disciplina transitoria relativa all'efficacia temporale dei pregressi accordi sindacali, costituiscono oggettivamente, al di là della qualifica formale (cfr. art. 2, comma 1, lettera a), e comma 2, della legge n. 421 del 1992 e art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 29 del 1993), principi fondamentali che le regioni sono tenute ad osservare (v. la sentenza n. 359 del 1993 e, in tema di determinazione uniforme della cadenza temporale degli accordi collettivi, la sentenza n. 296 del 1993). Deve, poi, rilevarsi che la legge impugnata, aggiungendo, come detto, un comma all'art. 5 dell'allegato alla legge regionale n. 38 del 1990, prevede che il "fondo per il miglioramento dell'efficienza dei servizi" (istituito dal medesimo art. 5) è alimentato, per il solo personale del ruolo consiliare, anzichè -- fra l'altro -- da una somma non superiore al corrispettivo di 70 ore annue di lavoro straordinario per dipendente (come previsto dalla lettera a) dell'art. 5 citato), da una somma non superiore a 120 ore di straordinario all'anno, pari, cioè, al limite massimo di spesa per lavoro straordinario previsto per tutti i dipendenti dall'art. 15 della legge regionale n. 59 del 1988, che recepì il precedente accordo sindacale per i dipendenti regionali relativo al triennio 1985- 87. Ne deriva che, con l'indicata modifica, si incrementa (per una sola categoria di dipendenti) il menzionato fondo, e cioè (v. art. 6 dell'allegato alla legge regionale n. 38 del 1990) l'ammontare dei compensi incentivanti erogabili per lo svolgimento di determinate attività dirette al miglioramento dell'efficienza dei servizi: in definitiva, aumentando la misura di una delle componenti del fondo, appare indubbio che si viene ad accrescere (contrariamente a quanto sostiene la Regione), per il personale consiliare, un trattamento economico accessorio.
3.2. -- Ciò posto, la normativa impugnata si pone chiaramente in contrasto con i principi invocati dal ricorrente. È pur vero -- come osserva la difesa della Regione -- che l'art. 49 del decreto n. 29 del 1993, dopo aver affermato che "il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi" (comma 1), dispone, al comma 2, che "le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti ... trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi". Tuttavia, è agevole osservare che, a parte il rilievo che eventuali trattamenti migliorativi dovranno pur sempre essere adottati mediante lo strumento contrattuale, la norma in esame (che introduce nella materia de qua un principio strettamente collegato alla "privatizzazione" del rapporto di impiego) diverrà operativa soltanto dopo la stipulazione dei nuovi contratti collettivi, secondo la procedura prevista dal titolo III del menzionato decreto n. 29. Ai fini della decisione assume, invece, rilievo determinante il citato art. 72 del decreto medesimo, il quale, come si è detto sopra, dispone la perdurante efficacia, in via transitoria, della normativa derivante dai pregressi accordi sindacali adottati ai sensi della legge-quadro n. 93 del 1983, fino alla sottoscrizione dei nuovi contratti collettivi. Ne deriva che alle regioni non è consentito apportare modifiche al contenuto di detti accordi, in particolare -- per quanto qui interessa -- in tema di trattamento economico, il quale già in base alla citata legge n. 93 del 1983 (v. artt. 3 e 11) costituiva materia la cui disciplina era riservata agli accordi sindacali. Resta assorbito il profilo di censura relativo all'art. 81 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia, riapprovata dal Consiglio regionale il 26 ottobre 1994 (Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 8 maggio 1990, n. 38 "Recepimento nell'ordinamento giuridico della Regione Lombardia dell'accordo per il triennio 1988/90 riguardante il personale dipendente delle Regioni a statuto ordinario, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dagli istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi, nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale").
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1995.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 5 luglio 1995.