SENTENZA N. 287
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 337, comma 1, e 409 del codice di procedura penale e 39 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 7 ottobre 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Torino nel procedimento penale a carico di Lavarini Francesco iscritta al n. 802 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
1. - Per l'ipotesi di reato di cui all'art. 590 del codice penale, Massimo Giordano, persona offesa, proponeva querela contro Lavarini Francesco, presunto responsabile del fatto, spedendola il 16 maggio 1994 a mezzo del servizio postale. Il 19 maggio il pubblico ministero presso la Pretura circondariale di Torino inviava al Giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione, perchè la firma apposta in calce alla querela era <priva dell'autenticazione prescritta ad substantiam dall'art. 337, comma 1, del codice di procedura penale>. Sulla richiesta del pubblico ministero, il giudice ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 337, comma 1, e 409 del codice di procedura penale e 39 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).
2. - Nel nuovo codice di procedura penale, osserva il rimettente, la querela si configura come un atto negoziale, cui si applicano le regole interpretative dettate dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile e carente, dunque, di particolari requisiti di forma, essendo proponibile anche oralmente o a mezzo di procuratore speciale; la sottoscrizione del dichiarante sarebbe, tuttavia, un requisito essenziale, il cui difetto impedirebbe (come nel codice abrogato) l'efficacia dell'atto. Orbene, il primo comma dell'art. 337 del codice di procedura penale consentirebbe di far recapitare da un incaricato o di inoltrare per posta la querela con sottoscrizione <autentica>; qualificazione, quest'ultima, interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso di <autenticata>. In realtà, sotto un profilo puramente terminologico, prosegue l'ordinanza, la sottoscrizione "autentica" avrebbe un significato ben diverso da quello di sottoscrizione "autenticata": secondo la comune accezione, l'aggettivo <autentico> significherebbe infatti genuino e, quindi, assicurerebbe certezza; se invece venisse interpretato nel senso di <autenticazione>, sarebbe breve il passo verso la creazione di una forma ad substantiam. Del resto, se il legislatore avesse voluto il requisito formale dell'autenticazione, l'avrebbe detto chiaramente (l'art. 583, ultimo comma, del codice di procedura penale, in tema di spedizione dell'atto di impugnazione, richiede, ad esempio, a pena di inammissibilità, la <sottoscrizione autenticata>). Il termine <autentica>, inserito nella disposizione di cui all'art. 337, comma 1, dovrebbe, in conclusione, essere inteso come una forma di tutela della provenienza e della effettiva volontà del privato, e non come certificazione (formale) dell'autenticità della firma. Ed anche il riferimento all'art. 39 delle disposizioni di attuazione del codice di rito, che menziona l'autenticazione degli atti, non autorizzerebbe un rinvio all'art. 337 (ove si presuppongono soltanto le norme in cui è prevista tale formalità). Mentre la giurisprudenza di merito - sostiene il giudice a quo - avrebbe più volte interpretato strettamente il valore della parola <autentica>, la Corte di cassazione sarebbe incorsa nella censurata equiparazione, cadendo poi nelle difficoltà di soluzione circa la necessità della nomina dei difensori autorizzati all'autentica della querela.
3. - Ne conseguirebbe una violazione degli artt. 24, primo comma, e 112 della Costituzione, essendo leso sia il principio secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti sia quello dell'obbligatorietà dell'azione penale, poichè il pubblico ministero, di fronte all'incertezza dell'autenticità della firma del querelante, non potrebbe esercitare l'azione penale vedendosi costretto a richiedere l'archiviazione del procedimento (senza possibilità di accertare la genuinità della firma). La questione sarebbe poi rilevante, giacchè tale potere di accertamento (officioso) difetterebbe anche per il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di archiviazione. Di qui, la questione di costituzionalità del combinato disposto degli artt. 337, comma 1, e 409 del codice di procedura penale e 39 delle disposizioni di attuazione in relazione agli artt. 24, primo comma, e 112 della Costituzione <in quanto, ritenendo ad substantiam il requisito dell'autenticazione della firma per la validità dell'atto di querela, secondo l'interpretazione in malam partem>, in base alla quale <l'espressione autentica significa "autenticazione" in senso stretto, viene leso> con ciò <il principio della possibilità per tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti in contrasto con i principi basilari di conservazione del contratto (artt. 2724 e 1362 del codice civile), poichè fanno derivare da un fattore esterno la validità di una manifestazione di volontà espressa e sottoscritta>.
4. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo l'inammissibilità per irrilevanza. La decisione della Corte, ad avviso dell'interventore, non sarebbe pregiudiziale alla definizione del caso concreto, poichè il giudice a quo - pur potendo adottarne una diversa - avrebbe sollevato la questione sulla base dell'interpretazione in malam partem, nel senso di <autenticazione>. La giurisprudenza costituzionale sarebbe infatti ferma nel dichiarare inammissibili le questioni che si risolvono in una prospettazione di dubbi interpretativi e solleciterebbe una scelta fra le diverse interpretazioni corrispondenti ad altrettanti indirizzi giurisprudenziali (ordinanze nn. 269 e 227 del 1991, 77 del 1990 e 848 del 1988).
Considerato in diritto
1. - Viene all'esame della Corte, per contrasto con i principi contenuti negli artt. 24, primo comma, e 112 della Costituzione, la questione di costituzionalità del combinato disposto degli artt. 337, comma 1, e 409 del codice di procedura penale e 39 delle disposizioni di attuazione; combinato disposto che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte di cassazione, identifica la <sottoscrizione autentica>, richiesta dall'art. 337 per la querela <recapitata da un incaricato o spedita per posta in piego raccomandato>, con la <sottoscrizione autenticata>.
2. - L'Avvocatura generale dello Stato ha formulato una eccezione di inammissibilità rilevando che il giudice a quo avrebbe sollevato la questione di costituzionalità sulla base di una <interpretazione in malam partem>, in tal modo prospettando solo un dubbio interpretativo che implica la scelta tra due interpretazioni corrispondenti ad altrettanti indirizzi giurisprudenziali. L'eccezione va però disattesa: il rimettente ha infatti ritenuto come già consolidato (per opera della Corte di cassazione) il diritto lungo la linea interpretativa definita in malam partem; e, pertanto, si deve passare all'esame del merito della questione.
3. - La questione è infondata. Preceduta e seguita da una parte della giurisprudenza di merito, la scelta interpretativa compiuta dalla Corte di cassazione (che, peraltro, il giudice a quo riferisce, oltre che all'art. 337, anche all'art. 409 del codice di procedura penale e all'art. 39 delle disposizioni di attuazione) non è lesiva dei valori costituzionali invocati nell'ordinanza di rimessione. Il recapito della querela mediante una persona incaricata o la spedizione per posta della stessa, in piego raccomandato, rappresentano una novità del codice di rito penale in vigore dal 1989. L'avere il legislatore previsto per tali forme di <recapito> la garanzia della reale volontà del querelante, sotto forma di <sottoscrizione autenticata> - come interpretata dalla Corte di cassazione - non costituisce lesione del diritto di agire in giudizio ai sensi dell'art. 24, primo comma, nè, a fortiori, del principio di obbligatorietà dell'azione penale, contenuto nell'art. 112 della Costituzione. Il legislatore, nel disciplinare le nuove forme di presentazione (a mezzo di <recapito> o <spedizione>), ha inteso evitare che l'organizzazione della giurisdizione penale possa mettersi inutilmente in movimento, coinvolgendo persone e risorse senza costrutto. Non si tratta, dunque, di un'arbiraria limitazione al diritto di querela, ma - per essersi estese le modalità di presentazione da parte dell'avente diritto - di una ragionevole cautela resa necessaria dal mancato contatto tra il querelante e gli uffici deputati alla ricezione dell'atto, che è in re ipsa nelle suddette nuove modalità. Resta, in tali ragioni, assorbita anche la seconda censura mossa dal rimettente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 337, comma 1, e 409 del codice di procedura penale e 39 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 112 della Costituzione dal Giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale di Torino, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/06/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 29/06/95.