Sentenza n. 51 del 1995

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SENTENZA N. 51

ANNO 1995

 

REPUBBLICAITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

-        Avv. Ugo SPAGNOLI 

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 395 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1994 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Licoli Antonio e Palmentieri Giovanni, iscritta al n. 399 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1994;

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

A seguito di citazione per convalida di sfratto per morosità, il Pretore di Napoli, sull'attestazione della persistenza della morosità ed in assenza dell'intimato, aveva emesso la richiesta ordinanza di convalida.

Avverso tale provvedimento il conduttore- intimato aveva proposto domanda di revocazione al Pretore medesimo, prospettando il dolo dell'attore e la falsità dell'attestazione. Il Tribunale, adito in appello nei confronti della sentenza che aveva rigettato tale domanda, con ordinanza emessa il 23 marzo 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 395 c.p.c., nella parte in cui non prevede la revocazione delle ordinanze di convalida di sfratto per morosità emesse sulla base di dichiarazione di persistenza della morosità "non rispondente alla situazione obiettiva".

Premette il Tribunale che dalla giurisprudenza di questa Corte si desume come la revocazione delle ordinanze in argomento sia attualmente limitata al solo caso di errore di fatto (laddove l'opposizione di terzo, sia ordinaria che revocatoria, risulta estesa integralmente ai citati provvedimenti). La lacuna concreterebbe una disparità di trattamento, accentuata dall'assenza di un appagante rimedio avverso l'ordinanza emessa in base a dolo accertato dell'intimante o, comunque, in base a prove false (e non potendosi ritenere sufficiente la generale azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. riconosciuta all'intimato da una isolata decisione della S.C.).

Del resto, dal nuovo regime degli strumenti di garanzia previsti per i provvedimenti cautelari introdotto dalla recente riforma del processo civile, sarebbe mutuabile un principio, secondo cui le esigenze di celerità dei provvedimenti speciali non possono comprimere i diritti delle parti oltre ragionevoli limiti di tollerabilità.

Nel caso oggetto del giudizio a quo ricorrerebbe, a parere del remittente, l'ipotesi di cui all'art. 395, n. 1, c.p.c. (dolo della parte), in quanto risulterebbe mendace la dichiarazione del locatore circa il mancato pagamento dei canoni entro il termine di grazia: il che chiarirebbe altresì la rilevanza della questione.

Il Tribunale si diffonde quindi nell'illustrazione della fattispecie, a sostegno della prospettazione circa l'asserita idoneità del comportamento dell'intimante a trarre in inganno l'intimato determinandone l'assenza all'udienza di convalida (in particolare il giudice a quo sottolinea come il rilascio di una quietanza da parte del procuratore dell'attore non avrebbe potuto non assumere carattere liberatorio circa l'obbligazione ed il senso di definire la controversia, a fortiori nell'incertezza sull'esatto importo della somma dovuta).

In conclusione, l'attestazione della persistenza della morosità sarebbe frutto della mala fede del locatore; s che ricorrerebbero in astratto i presupposti per l'esperibilità della revocazione, onde il negarla si risolverebbe in una compressione intollerabile del diritto di difesa.

Considerato in diritto

1. - Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 395 c.p.c., nella parte in cui non prevede l'impugnabilità per revocazione dell'ordinanza di convalida di sfratto per morosità emessa sulla base della falsa attestazione della persistenza della morosità stessa, resa dall'intimante. La censura deve correttamente intendersi come riferita al caso contemplato dal n. 1 della disposizione de qua, che assoggetta a revocazione le sentenze che siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra. In difetto di specifici rimedi processuali, tale lacuna normativa appare al giudice remittente contrastante con l'art. 24 della Costituzione, per la compressione del diritto di difesa che ne deriverebbe. Sarebbe altresì ravvisabile una disparità di trattamento tra l'intimato vittima del dolo e chi può invece giovarsi del rimedio in argomento nel caso di errore di fatto, contemplato dal n. 4 della stessa disposizione, dopo la sentenza n. 558 del 1989 di questa Corte.

2. - La questione è fondata.

Alla mancata comparizione dell'intimato l'art. 663 c.p.c. fa conseguire l'emissione dell'ordinanza di convalida, subordinandola, nell'ipotesi di sfratto intimato per mancato pagamento dei canoni, alla sola attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore circa la persistenza della morosità.

Il dato testuale della norma impugnata, confermato dal costante orientamento della Cassazione, limita l'impugnazione per revocazione alle sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado. Nella citata sentenza n. 558 del 1989, questa Corte ha tuttavia rilevato la sostanziale modifica del quadro normativo relativo alla disciplina del rapporto locatizio rispetto a quello esistente all'epoca in cui fu dettato lo speciale procedimento per convalida. Tale argomento si rafforza oggi ulteriormente alla luce della nuova formulazione dell'art. 8, n. 4, c.p.c., che unifica "le cause relative a rapporti di locazione... d'immobili urbani" in un caso di competenza pretorile ratione materiae, riflettendo e completando sul versante processuale, quell'organico assetto delle locazioni gi definito con la legge 27 luglio 1978, n. 392.

La considerazione a suo tempo mutuata dalla sentenza n. 167 del 1984, per cui "la sostanziale ingiustizia del provvedimento decisorio è da temere nell'ordinanza di convalida di sfratto in assai maggiore misura di quel che non possa lamentarsi in sentenza passata in giudicato", vale a fortiori nel caso in esame, dove la mancata comparizione dell'intimato potrebbe essere determinata proprio dal venir meno di quell'inadempimento che la parte attrice può poi falsamente attestare come persistente.

Il contenuto decisorio del provvedimento che ne consegue, la sua efficacia esecutiva, l'attitudine a produrre effetti di cosa giudicata e la rilevanza delle situazioni su cui esso è destinato ad incidere immediatamente, non giustificano una minore tutela nell'ipotesi descritta, tanto pi ove si consideri la cognizione sommaria e la brevità dei termini a comparire che caratterizzano il procedimento per convalida di sfratto.

N l'esigenza di celerità posta a base di quest'ultimo può essere di ostacolo ad un rimedio straordinario, estremamente circoscritto nei suoi contenuti, applicato al caso in cui una parte sia venuta meno ai propri doveri di lealtà e correttezza attraverso comportamenti suscettibili di integrare perfino ipotesi di reato.

Del resto questa Corte ha gi avvertito l'opportunità di una revisione legislativa del regime d'impugnabilità dei provvedimenti di convalida, così esplicitamente escludendo che la stabilità degli stessi possa essere sempre compatibile con la salvaguardia del diritto di difesa.

La finalità primaria di assicurare tale garanzia, secondo l'eadem ratio decidendi di cui alla sentenza n. 558 del 1989, rende quindi la questione meritevole di accoglimento; restando assorbita la censura riferita al secondo parametro indicato dal giudice a quo, cioè all'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 395, prima parte e numero 1, c.p.c., nella parte in cui non prevede la revocazione avverso i provvedimenti di convalida di sfratto per morosità che siano l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1995.