Sentenza n. 17 del 1995

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SENTENZA N. 17

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 79 e 83 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio 1993 dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento civile vertente tra Albertini Luigi e l'INAIL, iscritta al n. 630 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, dell'anno 1993;

Visti gli atti di costituzione di Albertini Luigi e dell'INAIL;

Udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 1994 il Giudice relatore Massimo Vari;

Uditi gli avvocati Franco Agostini per Albertini Luigi ed Enrico Ruffini per l'INAIL.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 19 febbraio 1993 il Tribunale di Ascoli Piceno - nella controversia di lavoro in sede di appello fra Albertini Luigi ed INAIL - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 79 e 83 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), "nelle parti in cui non prevedono un diverso computo o la revisione della rendita per aggravamento da invalidità extralavorative sopravvenute".

Il Tribunale, premesso che nel caso portato al suo esame l'Albertini, assicurato INAIL già in godimento di rendita infortunistica pari al 35% di inabilità, per un infortunio subito all'occhio destro, richiedeva la revisione della rendita per aggravamento dell'inabilità dovuta ad affezioni di carattere extralavorativo all'occhio sinistro, osserva che le norme impugnate regolano le situazioni di concorso di inabilità da infortunio e da preesistenza extralavorativa (art. 79), nonché di inabilità derivanti da più infortuni (art. 83), mentre "rimane senza una specifica disciplina l'assicurato che, portatore di un'invalidità per causa derivante da infortunio, subisca successivamente, per patologie non riconducibili a genesi lavorative, un aggravamento dello stesso organo o funzione".

Ne conseguirebbe una situazione deteriore, sul piano della tutela, per il lavoratore già infortunato che si ammali rispetto al lavoratore già ammalato che si infortuni, con violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione, atteso che "tra le situazioni collegabili all'infortunio, non si indennizza il danno successivo che aggrava in qualsiasi modo il precedente derivato dall'infortunio" stesso.

2. - Costituendosi in giudizio, la parte privata ha chiesto che la Corte interpreti l'art. 83 del d.P.R. n. 1124 del 1965 in senso ad essa favorevole o ritenga fondata la questione di legittimità costituzionale. Nella memoria depositata, ricordate le motivazioni con le quali la Corte (ordinanza n. 906 del 1988) ha dichiarato la manifesta infondatezza di analoga questione, si osserva che:

a) la particolare correlazione tra i due occhi, proprio per l'unità della funzione visiva, induce, nella interpretazione della norma sulla revisione della rendita, a valutare l'aggravamento come riferito alla funzione nel suo complesso;

b) l'incidenza del danno provocato dall'infortunio ad un occhio è diversa a seconda della situazione nella quale si trovi l'altro occhio ("nel quadro dell'attuale cecità o quasi il ruolo del danno dell'occhio destro è assai più rilevante che non nel quadro iniziale");

c) il principio della non rilevanza delle cause sopravvenute, di cui all'art. 41 c.p., si riferisce al "concorso di cause del danno" e non può applicarsi alla specie, trattandosi qui del "concorso di invalidità di danni diversi";

d) il concorso di invalidità tra danno lavorativo e non lavorativo precedente è già previsto dall'art. 79, mentre non sembra ragionevolmente decisivo l'elemento del momento, e cioè della successione temporale degli eventi, ai fini dell'attribuzione di una diversa rilevanza patologica al danno non lavorativo successivo, quando egualmente esso risulti in rapporto di sinergia con il danno lavorativo precedente.

3. - L'INAIL si è costituito in giudizio, sostenendo la manifesta infondatezza e l'irrilevanza della questione proposta.

4. - In prossimità dell'udienza, la difesa della parte privata ha presentato una ulteriore memoria, nella quale si insiste per una pronuncia interpretativa di rigetto, che dichiari che la revisione per aggravamento, di cui all'art. 83 del d.P.R. n. 1124 del 1965, riguarda anche l'inabilità susseguente l'infortunio, se colpisce, come concorrente e sinergica, lo stesso organo o apparato; e, in subordine, per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme impugnate.

La memoria, dopo aver rilevato che l'ordinanza n. 906 del 1988 non può costituire un utile precedente ai fini della definizione del giudizio, ribadisce le argomentazioni già svolte, osservando tra l'altro che, dalle valutazioni delle inabilità in base alla tabella allegata (n. 1) al d.P.R. n. 1124 del 1965 e secondo il criterio stabilito all'art. 79 (formula Gabrielli), risulta che il danno extralavorativo, sia preesistente sia susseguente, comporterebbe, nella specie, una invalidità superiore rispetto a quella riconosciuta, in quanto il danno a un occhio dipende anche dalla situazione dell'altro occhio. Rilevato, altresì, che il principio della non distinzione tra danni precedenti e susseguenti è codificato dalla legislazione in materia di pensioni di guerra, si osserva poi che la configurazione del concorso tra cause lavorative ed extralavorative di danni come aggravamento consentirebbe di considerare, secondo un'interpretazione sistematica, assorbita nell'art. 83 anche l'ipotesi di cui si discute.

5. - In prossimità dell'udienza anche la difesa dell'INAIL ha presentato una memoria, con la quale si insiste nella richiesta di declaratoria di inammissibilità, irrilevanza o comunque infondatezza della questione, sul presupposto dell'identità tra la medesima e quella decisa con l'ordinanza n. 906 del 1988, ribadendo il principio secondo cui le cause sopravvenute, autonomamente efficienti a produrre il danno, non possono essere valutate perché al di fuori del rischio assicurato.

Poiché il fatto rilevante per l'assicurazione INAIL è l'infortunio, ad avviso della difesa dell'ente assicuratore la considerazione di altri fatti - come gli stati patologici a sé stanti del tutto indipendenti dal fatto lavorativo, quali titolo per la revisione per la rendita - risulta, pertanto, giuridicamente inconcepibile, perché provocherebbe un indiscriminato ampliamento della assicurazione.

Considerato in diritto

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Ascoli Piceno, con l'ordinanza in epigrafe, ha per oggetto gli artt. 79 e 83 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).

Il giudice a quo dubita che dette disposizioni - nel lasciare privo di disciplina il caso dell'"assicurato che, portatore di un'invalidità per causa derivante da infortunio, subisca successivamente, per patologie non riconducibili a genesi lavorative, un aggravamento dello stesso organo o funzione" - contrastino:

a) con l'art. 3 della Costituzione, per "la situazione deteriore in cui si trova il lavoratore già infortunato che si ammali, rispetto al lavoratore già ammalato che si infortuni";

b) con l'art. 38 della Costituzione, per "carenza di tutela legislativa nella materia infortunistica, quando, tra le situazioni collegabili all'infortunio, non si indennizza il danno successivo che aggrava in qualsiasi modo il precedente derivato dall'infortunio".

2. - La questione non è fondata.

Per un più puntuale quadro dei problemi che la Corte è chiamata ad affrontare, va rammentato, preliminarmente, che la prima delle disposizioni denunciate, e cioè l'art. 79, stabilisce che il grado di riduzione permanente dell'attitudine al lavoro causata da infortunio, quando risulti aggravato da inabilità preesistenti derivanti da fatti estranei al lavoro o da altri infortuni non contemplati dal titolo I del medesimo d.P.R. n. 1124 del 1965, o liquidati in capitale ai sensi dell'art. 75, deve essere rapportato non all'attitudine al lavoro normale, ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti inabilità. Secondo la particolare formula per la valutazione dell'inabilità (c.d. formula Gabrielli) prevista dalla stessa disposizione, il "rapporto è espresso da una frazione in cui il denominatore indica il grado di attitudine al lavoro preesistente e il numeratore la differenza fra questa e il grado di attitudine residuato dopo l'infortunio".

A sua volta, la seconda delle norme impugnate, e cioè l'art. 83, stabilisce, in tema di rendita di inabilità, che la misura di questa può essere riveduta, su domanda del titolare o per disposizione dell'istituto assicuratore, in caso di diminuzione o di aumento dell'attitudine al lavoro ed in genere in seguito a modificazione nelle condizioni fisiche dell'interessato, purché, quando si tratti di peggioramento, questo sia derivato dall'infortunio che ha dato luogo alla liquidazione della rendita stessa.

3. - In base ai principi generali dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l'evento assicurato, e cioè l'inabilità temporanea o permanente del lavoratore, intanto può essere ricondotto alla sfera del rischio assunto dall'ente assicuratore, in quanto sussista un rapporto di derivazione eziologica fra esso ed un fatto generatore che si qualifichi come infortunio sul lavoro ovvero come malattia professionale, secondo le nozioni e le specificazioni degli artt. 2 e 3 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.

In questi limiti l'assicurazione infortuni è parte integrante del sistema generale di sicurezza sociale previsto dall'art. 38 della Costituzione, disposizione che, come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, configura due modelli strutturalmente e qualitativamente distinti: l'uno, fondato sulla solidarietà collettiva, garantisce ai "cittadini", ove ad alcuni eventi si accompagnino accertate situazioni di bisogno, "i mezzi necessari per vivere"; l'altro, suscettibile di essere realizzato mediante gli strumenti mutualistico-assicurativi, attribuisce ai "lavoratori", prescindendo da uno stato di bisogno, la diversa e più elevata garanzia del diritto a "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" (sentenza n. 31 del 1986).

Ma, sia nell'uno che nell'altro caso, è rimessa alla discrezionalità del legislatore la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali sulla base di un razionale contemperamento con la soddisfazione di altri diritti, anch'essi costituzionalmente garantiti, e nei limiti delle compatibilità finanziarie.

In particolare, per l'assicurazione infortuni, la Corte ha avuto occasione di precisare recentemente che la materia non è ispirata al criterio della piena socializzazione del rischio, giacché il d.P.R. n. 1124 del 1965 circoscrive l'ambito della sua operatività sia in relazione all'aspetto oggettivo sia con limitazioni di ordine soggettivo (sentenza n. 310 del 1994).

4. - I menzionati principi generali non sono contraddetti dalla prima delle disposizioni denunciate, cioè l'art. 79 del d.P.R. n. 1124 del 1965, che esprime un criterio - accolto in giurisprudenza già in epoca precedente alla sua prima enunciazione legislativa, avvenuta con il D.L.C.P.S. 25 gennaio 1947, n. 14 - in base al quale, nella valutazione del danno provocato dal successivo infortunio, acquisiscono rilevanza le condizioni fisiche preesistenti del lavoratore, quando, a cagione della anteriore menomazione anche extralavorativa, l'infortunio provoca un danno di maggiore gravità. Quando uno degli organi ovvero dei sistemi organo-funzionali o dei sistemi sinergici, vale a dire diversi fra loro, ma reciprocamente influenzantisi, di cui dispone ciascun individuo, vengano ad essere menomati nella loro attività globale a causa di alterazioni che interessano alcune parti soltanto, le parti rimaste funzionanti assumono un valore superiore al normale, per la funzione da esse svolta, proprio allo scopo di supplire alla parte di funzione venuta meno.

Attraverso il rapporto espresso con la formula matematica (c.d. formula Gabrielli) richiamata dal medesimo art. 79, la congiunta considerazione del danno pregresso e di quello sopraggiunto per infortunio sul lavoro vale, quindi, ad adeguare più esattamente la liquidazione dell'indennizzo al pregiudizio recato dall'infortunio professionale alla capacità lavorativa, nella considerazione del plusvalore da attribuire ad arti ed organi residuati alla precedente menomazione.

La peculiare ratio a fondamento della richiamata disposizione esclude la violazione del principio di eguaglianza nei sensi prospettati dall'ordinanza, e cioè con riferimento a quei fattori lesivi sopravvenuti che siano del tutto estranei all'infortunio. E questo a tacer del fatto che, dalla trasposizione cronologica dei fattori invalidanti, potrebbe, semmai, conseguire, in base allo schema logico al quale la norma si ispira, un risultato esattamente opposto a quello auspicato dal giudice a quo: vale a dire un'attrazione degli effetti del precedente infortunio sul lavoro nella sfera dell'incidenza del successivo evento lesivo.

5. - Quanto, poi, all'art. 83 dello stesso d.P.R. n. 1124 del 1965, parimenti denunciato dal Tribunale di Ascoli Piceno, si tratta di norma che si ispira ai principi già accennati in tema di delimitazione del concetto di rischio professionale, come comprova la circostanza che la norma richiede che il peggioramento sia "derivato" dall'infortunio: l'evoluzione negativa del danno infortunistico deve infatti pur sempre collegarsi al fatto lavorativo, nel senso che le modificazioni devono essere l'effetto di fattori non estranei al processo causale aperto dal trauma infortunistico, mentre le cause sopravvenute, autonomamente sufficienti a produrre il danno, non possono essere valutate perché al di fuori del rischio assicurato (in tal senso, ord. n. 906 del 1988).

6. - Quanto sopra induce a reputare insussistente la lamentata violazione degli articoli 3 e 38 della Costituzione, non risultando condivisibile l'assunto dal quale muove l'ordinanza, e cioè che, in entrambi i casi da essa posti a raffronto, si tratti di "situazioni collegabili all'infortunio".

La non comparabilità delle situazioni poste a raffronto, anzi la loro antiteticità, deriva, infatti, dalla non riconducibilità di entrambe, negli stessi termini e perciò con gli stessi effetti, al criterio del rischio professionale, su cui il sistema dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro è essenzialmente basato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 79 e 83 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Ascoli Piceno con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1995.