ORDINANZA N. 482
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 245 e 250 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1994 dal Tribunale di Venezia nel procedimento penale a carico di Zuccaro Alessandro, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto che con ordinanza pronunciata nel corso del procedimento per il riesame del mandato di cattura emesso dal giudice istruttore nei confronti di Zuccaro Alessandro, il Tribunale di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 245 e 250 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), nella parte in cui non prevedono l'applicabilità dell'art.309 codice procedura penale, il quale, nei procedimenti che proseguono con il rito disciplinato dal codice abrogato, consente (ai sensi dell'art. 127 codice procedura penale) di dare al difensore dell'imputato avviso sia della fissazione dell'udienza in camera di consiglio, sia del deposito degli atti in cancelleria;
che il procedimento in questione prosegue, invece, con le norme del codice abrogato, ai sensi dell'art. 242, comma 1, lett. c), delle disposizioni transitorie (norme che si applicano anche ai procedimenti incidentali relativi ai provvedimenti sulla libertà personale adottati in epoca successiva all'entrata in vigore del nuovo codice);
che gli artt. 245 e 250 delle disposizioni transitorie, di cui al decreto legislativo n.271 del 1989, non comprendono il già citato art. 309 tra le norme di immediata vigenza per i procedimenti che proseguono con il vecchio rito;
che, secondo il giudice a quo, la disciplina applicabile al caso di specie, costituita dagli artt. 263 bis e 263 ter codice procedura penale abrogato, violerebbe il diritto alla difesa, in quanto prevede la partecipazione del difensore all'udienza e non il suo accesso agli atti processuali, la cui conoscibilità è vietata (onde la menomazione del diritto di difendersi sia attraverso la confutazione di ciò che da essi risulta, sia attraverso la prova di ciò che non vi risulta);
che, inoltre, essa farebbe sì che due fatti identici, commessi nello stesso periodo, a seconda che siano regolati dalla vecchia o dalla nuova disciplina dei procedimenti di riesame, sarebbero irragionevolmente trattati in modo difforme, tanto più che l'inserimento di una misura cautelare in un procedimento regolato dalle norme del vecchio rito potrebbe dipendere da dati occasionali, quali le ragioni di connessione e le proroghe legislative, l'ultima delle quali in scadenza il 31 dicembre 1994;
che altra ipotesi di illegittimità costituzionale è possibile cogliere anche con riferimento all'art. 76 della Costituzione;
che nell'emanare le disposizioni transitorie il legislatore delegato ha previsto la sopravvivenza degli artt. 263 bis e 263 ter, i quali sarebbero incompatibili con i canoni regolatori del nuovo codice contenuti, nella materia de qua, nell'art.309 codice procedura penale e riassumibili nel principio del contraddittorio, da farsi ugualmente valere nel procedimento di riesame;
che, infine, il giudice a quo ha eccepito l'incostituzionalità delle norme impugnate con riferimento all'art. 13 della Costituzione, in quanto la mancata previsione, in esse, della nuova disciplina processuale riguardante il regime delle impugnazioni aventi a oggetto i provvedimenti cautelari inciderebbe < sull'inalienabile diritto alla libertà personale>;
che la questione sarebbe rilevante, in quanto il Tribunale dovrebbe, allo stato, decidere in camera di consiglio, senza dare avviso al difensore d'ufficio (nei casi in cui manchi quello di fiducia) e senza che siano stati depositati gli atti in cancelleria, a disposizione della difesa, mentre l'accoglimento permetterebbe di fissare la nuova udienza camerale per l'esame dei ricorsi, nel merito, con le forme dell'art.309;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità e, in linea subordinata, per l'infondatezza della questione.
Considerato che la questione sottoposta all'esame della Corte, essendo identica a quelle già decise con la sentenza n. 373 del 1994 e con l'ordinanza n. 418 del 1994 e priva di nuove e ulteriori argomentazioni a sostegno del suo accoglimento, va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge n. 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 245 e 250 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), sollevata, in relazione agli artt. 3, 13, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 30/12/94.