Ordinanza n. 185 del 1994

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ORDINANZA N. 185

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 448 e 538 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 27 aprile 1993 dal Pretore di Macerata nel procedimento penale a carico di Buratti Pierino, iscritta al n. 416 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.

 

Ritenuto che il Pretore di Macerata ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, degli artt. 448 e 538 del codice di procedura penale, in quanto precludono la pronuncia sul capo civile nel caso di sentenza di applicazione della pena emessa dopo la chiusura del dibattimento di primo grado;

 

che il giudice a quo - premesso che all'esito del dibattimento deve ritenersi ingiustificato il dissenso del pubblico ministero e congrua la pena richiesta dall'imputato, e che il difensore della parte civile ha chiesto la condanna dell'imputato al risarcimento del danno - osserva da un lato che, ai sensi dell'art. 538, il giudice decide sull'azione civile solo in caso di sentenza di condanna, e quindi tale decisione é preclusa nella fattispecie, non costituendo la emananda sentenza una sentenza di condanna; dall'altro, che secondo l'art. 448, terzo comma, la decisione sulla azione civile é consentita solo in sede di impugnazione;

 

che la censurata preclusione determina, ad avviso del remittente, la violazione dell'art. 24 della Costituzione, in quanto le prove raccolte in dibattimento consentono la pronuncia sul capo civile, ancorchè generica ai sensi dell'art. 539 del codice di procedura penale;

 

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'inammissibilità della questione quanto all'art.538 (che sarebbe inconferente, stante il disposto del secondo comma, ultimo periodo, dell'art. 444) e per l'infondatezza della medesima relativamente all'art. 448 del codice di procedura penale.

 

Considerato che l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato in ordine alla questione relativa all'art. 538 del codice di procedura penale deve essere accolta, poichè la lamentata preclusione, nella fattispecie, della decisione sull'azione civile evidentemente non deriva dalla citata disposizione, bensì dalle specifiche norme che, nell'ambito della disciplina dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta, dettano la censurata regula iuris (artt. 444, secondo comma, e 448, terzo comma, del codice di procedura penale);

 

che, pertanto, la questione relativa all'art. 538 del codice di procedura penale deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

 

che, passando alla questione concernente l'art. 448, terzo comma, del codice di procedura penale, questa Corte, con sentenza n. 443 del 1990, ha affermato - in ordine alla preclusione per il giudice penale di statuire sulla domanda della parte civile in caso di sentenza di "patteggiamento" - che ciò condurrebbe a ravvisare la violazione dell'art. 24, primo comma, della Costituzione "soltanto se l'esercizio dell'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno nel processo penale si profilasse come l'unico strumento di tutela giudiziaria a disposizione del soggetto al quale il reato ha recato danno, nel senso di non consentirgli l'utilizzazione di alcun'altra forma di tutela giudiziaria, una volta prescelta la via del processo penale"; ed ha aggiunto (a parte il rilievo che "a quanti si ritengono danneggiati da un reato é data, prima ancora della possibilità di esercitare la relativa azione civile in sede pena le, la possibilità di proporla davanti al giudice civile senza preclusioni di sorta") che, poichè in caso di sentenza di "patteggiamento" non opera la sospensione del processo civile instaurato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale (cfr. artt. 444, secondo comma, ultima parte), "la possibilità di agire in giudizio per la tutela del diritto alle restituzioni ed al risarcimento del danno, proprio perchè suscettibile di estrinsecarsi per un'altra via subito percorribile liberamente, non può dirsi pregiudicata in modo irrimediabile";

 

che le anzidette considerazioni, pur se riferite, nella citata pronuncia, all'ipotesi di sentenza di applicazione della pena consensualmente indicata dalle parti, valgono ad escludere la violazione dell'art. 24 della Costituzione anche per il caso - qui in esame - di sentenza emessa, ricorrendone i presupposti, dopo la chiusura del dibattimento di primo grado;

 

che, invero, tale sentenza, anche se "dibattimentale", conserva comunque, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (e lo stesso giudice a quo), la natura di sentenza di "applicazione della pena" richiesta dall'imputato, e non si sottrae, pertanto, al regime comune di tutte le sentenze di "patteggiamento": ciò, del resto, appare confermato sia dall'art. 448, primo comma, del codice di procedura penale - che non introduce riserve al riguardo -, sia dall'art. 445, primo comma, del codice medesimo, il quale, nel disciplinare gli "effetti dell'applicazione della pena su richiesta", considera in modo unitario la sentenza di applicazione di pena, a prescindere dallo stadio processuale in cui venga pronunciata;

 

che ne deriva, da un lato, che anche nella fattispecie in esame deve ritenersi inoperante la sospensione del processo civile ai sensi dell'art. 444, secondo comma, ultima parte, del codice di procedura penale, e, d'altra parte, che la norma impugnata risulta coerente ai principi generali della materia, secondo cui la decisione sull'azione civile non segue se non ad un pieno accertamento della responsabilità penale;

 

che, in definitiva, anche nella fattispecie in esame si verifica una non irrazionale limitazione (e non già vanificazione) della tutela giudiziaria del danneggiato dal reato, il quale, del resto, nello scegliere di esercitare l'azione civile nel processo penale, ne accetta il carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione penale e subisce quindi le conseguenze che sull'esito dell'azione civile derivano dalla funzione e dalla struttura del processo penale, e quindi anche dai suoi vari possibili epiloghi (cfr. cit.sent. n. 443 del 1990 e precedenti ivi richiamati);

 

che il fatto, infine, che la pronuncia sull'azione civile é invece prevista quando la sentenza di applicazione della pena é emessa in sede di impugnazione non vale a modificare le conclusioni raggiunte, in quanto in tal caso - come afferma anche la Relazione al progetto preliminare - "ci si trova in presenza di un accertamento già compiuto e di una decisione sull'azione civile" (cfr. art. 578 c.p.p.), e si versa quindi in situazione del tutto differente, di fronte alla quale il legislatore ha ritenuto di non aggravare eccessivamente la posizione della parte civile;

 

che, in conclusione, la questione relativa all'art. 448 del codice di procedura penale deve essere dichiarata manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 538 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Pretore di Macerata con l'ordinanza in epigrafe;

 

b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 448 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Pretore di Macerata con l'ordinanza medesima.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Mauro FERRI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 16/05/1994.