Sentenza n. 167 del 1994

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SENTENZA N. 167

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 8 novembre 1991, n. 360 (Interventi urgenti per Venezia e Chioggia), promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 3 luglio 1993 dal Pretore di VENEZIA nel procedimento civile vertente tra la s.r.l. Antico Panada e MARINEO Francesca ed altra, iscritta al n. 676 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1993;

 

2) ordinanza emessa il 3 luglio 1993 dal Pretore di VENEZIA nel procedimento civile vertente tra GAMBIRASIO Giuseppe ed altro e PAPPALARDO Gioacchino ed altra, iscritta al n. 677 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1994 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile di opposizione agli atti esecutivi il Pretore di Venezia, con ordinanza emessa il 3 luglio 1993 (R.O. 676/93), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 8 novembre 1991, n. 360 (Interventi urgenti per Venezia e Chioggia), nella parte in cui non prevede che le persone giuridiche possano disporre degli immobili in proprietà, pur in presenza "di una documentata necessità di disporre degli stessi a fini residenziali".

 

La norma censurata dispone, tra l'altro, la sospensione dei titoli di rilascio degl'immobili adibiti ad uso abitativo per un periodo di trentasei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa legge (prorogabili fino ad un massimo di ulteriori tre anni con decreto del Ministro dei lavori pubblici), eccezion fatta per "i casi di documentate necessità abitative del locatore".

 

Osserva il giudice a quo che la norma in oggetto - col prevedere "anche la possibilità di richiedere al giudice dell'esecuzione la declaratoria di non soggezione dell'esecuzione alla sospensione - regolamenta il blocco delle esecuzioni, in modo tale da far emergere i casi reali di necessità e gli altri casi nei quali la posizione dell'ex conduttore, occupante di fatto, non appare degna di particolare tutela da parte del legislatore". La norma non consente però - prosegue il rimettente - alla categoria dei proprietari costituita dalle persone giuridiche di ottenere la disponibilità del proprio patrimonio immobiliare, pur avendo necessità di utilizzarlo a fini residenziali per i propri dipendenti, per un periodo di tempo non strettamente determinato.

 

Il Pretore di Venezia ritiene, pertanto, che la norma de qua, così disponendo, integri "un blocco del diritto di proprietà, in violazione dell'art. 42 della Costituzione, sotto il triplice profilo di cui ai commi primo, secondo e terzo, mancando di fatto una possibilità di godimento della proprietà"; e produca, altresì, una irragionevole disparità di trattamento tra le persone fisiche e le persone giuridiche, nel caso in cui entrambe dimostrino di avere necessità di disporre dell'immobile ad uso abitativo residenziale.

 

1.2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile sotto il profilo della discrezionalità legislativa o comunque infondata. Al riguardo l'Avvocatura ritiene legittima la prevalenza delle esigenze della famiglia rispetto a necessità puramente economiche, in virtù di un razionale bilanciamento tra i due valori.

 

Infatti, conclude l'Avvocatura, l'interesse abitativo diretto ed indiretto della persona fisica e di quella giuridica sono assimilabili unicamente per quanto attiene all'uso del bene a scopo professionale e quindi non nel caso in esame.

 

2.1. - Il medesimo Pretore, con ordinanza emessa in pari data (R.O.n.77/93), ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, e "in via gradata" anche all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 3 nella parte in cui non equipara le esigenze abitative residenziali a quelle di un uso stabile e ripetuto del bene immobile.

 

L'ordinanza è stata emessa nel corso di un procedimento civile, qualificato come opposizione agli atti esecutivi, promosso per usufruire dell'immobile quale dimora saltuaria (risiedendo l'attore in Bergamo, ma dovendo svolgere un incarico di insegnamento presso l'Università di Venezia).

 

Secondo il giudice a quo - che richiama anche la sentenza n. 89 del 1984 di questa Corte - la norma in oggetto violerebbe, in primo luogo, il disposto dell'art. 24 della Costituzione, in ragione del lungo periodo di sospensione, che paralizzerebbe sine die un diritto già proclamato come tale;in secondo luogo risulterebbe vulnerato anche l'art. 42 della Costituzione, essendo configurabile un'espropriazione di fatto.

 

Afferma inoltre il Pretore rimettente che, comunque, la norma violerebbe l'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevole disparità di trattamento tra i locatori che intendono adibire l'immobile a propria residenza e quelli che intendono, invece, usufruirne per esigenze abitative stabili, pur se per periodi limitati nel tempo.

 

2.2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile in ragione della discrezionalità legislativa o comunque infondata.

 

Ben diversa - risulterebbe a parere dell'Avvocatura - l'esigenza di colui che deve rientrare nella disponibilità dell'alloggio di cui è proprietario, per stabilirvi la residenza per sè o per il proprio nucleo familiare, da quella del proprietario che voglia, invece, stabilirvi - anche se per giustificate esigenze di lavoro - una dimora temporanea.

 

L'Avvocatura generale dello Stato ritiene, inoltre, non pertinente il richiamo all'art. 24 della Costituzione, in quanto il presunto congela mento del diritto di adire l'autorità giudiziaria rappresenterebbe l'effetto di una volontà legislativa che incide sul piano sostanziale degli interessi e non su quello processuale del diritto di azione.

 

Non si ravviserebbe inoltre la denunziata violazione dell'art. 42 della Costituzione, dal momento che l'impossibilità di rientrare in possesso dell'alloggio locato per il limite massimo di sei anni non presenterebbe i caratteri di una espropriazione, ma piuttosto quelli di una misura temporanea, giustificabile con la particolare situazione del patrimonio edilizio urbano di Venezia e delle esigenze della popolazione, alla cui tutela la norma de qua appare indirizzata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Pretore di Venezia, con due ordinanze emesse entrambe il 3 luglio 1993, dubita della legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione - dell'art. 3 della legge 8 novembre 1991, n.360, nella parte in cui, accordando una proroga dell'esecuzione dei titoli di rilascio d'immobili urbani adibiti ad uso abitativo nei centri storici di Venezia e Chioggia, comprimerebbe il diritto di proprietà e pregiudicherebbe la possibilità di far valere un diritto già riconosciuto, ed inoltre: a) nella parte in cui non estende la deroga alla sospensione dell'esecuzione dei titoli di rilascio, ivi prevista in favore delle necessità abitative del locatore e dei suoi familiari, anche alle società-persone giuridiche per fini residenziali dei loro dipendenti; b) là dove non prevede, come eccezione ulteriore al citato regime di sospensione, anche l'ipotesi di utilizzo dell'immobile da parte del locatore onde soddisfare "esigenze abitative stabili e serie, anche se per periodi limitati di tempo".

 

2. - Per l'analogia dei profili dedotti e l'identità della norma impugnata i giudizi possono essere trattati congiuntamente e decisi con un'unica sentenza.

 

3. - Le questioni non sono fondate.

 

La legge in esame accorda una speciale tutela al particolarissimo àmbito territoriale costituito dai centri storici di Venezia e Chioggia, prevedendo una sospensione dell'esecuzione dei titoli di rilascio degli immobili ad uso abitativo per tre anni, salvo un ulteriore periodo da fissarsi, nel limite massimo di altri tre anni, da parte del Ministro dei lavori pubblici.

 

Il solo profilo attualmente rilevante è quello del primo triennio, incidente sulle situazioni dedotte nei giudizi a quibus. Al riguardo va osservato che si è in presenza di una scelta legislativa, dalla quale esula chiaramente ogni profilo d'irrazionalità poichè il legislatore, privilegiando la popolazione residente in zone soggette ad un particolare degrado edilizio - e tuttavia uniche per pregio artistico - si è proposto di diluire nel tempo l'abbandono degl'immobili con l'impoverimento culturale e la perdita delle caratteristiche tradizionali di tali insediamenti abitativi, che inevitabilmente ne conseguirebbero.

 

3.1. - La ratio legis, rinvenibile nella specificità della descritta situazione, esclude altresì il denunziato vulnus dell'art. 42 della Costituzione da parte della norma, stante l'eccezionalità e temporaneità dell'intervento, che attua un bilanciamento tra la tutela della proprietà e quella dei valori del patrimonio artistico, oltre che degl'interessi dei conduttori, facendo comunque salvi i "casi di documentate necessità del locatore" di disporre dell'immobile "per abitazione propria, del coniuge, dei genitori o dei figli", (oltre che i casi di cui all'art.4, comma 1, del decreto- legge 30 dicembre 1988, n. 551, recante "misure urgenti per fronteggiare l'eccezionale carenza di disponibilità abitative", convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 1989, n.61).

 

3.2. - Strumentale a detto bilanciamento è poi da considerare la limitazione dell'azione esecutiva conseguente al prescelto mezzo della sospensione dell'esecuzione dei titoli di rilascio, la quale dunque, siccome semplice riflesso della rilevata volontà legislativa, incidente sul piano sostanziale degli interessi, non può affatto risolversi nella denunziata violazione dell'art. 24 della Costituzione, che concerne il diritto alla tutela giurisdizionale.

 

3.3. - Quanto infine alle censure riguardanti l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo del principio d'eguaglianza, si osserva che la valutazione del legislatore circa la salvaguardia delle sole esigenze abitative del locatore e dei suoi familiari, esprime un giudizio di meritevolezza già sotteso alla legislazione vincolistica e successivamente tradottosi, proprio con riguardo alla fase esecutiva dei titoli di rilascio, nell'art. 3, comma 3 , del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 1989, n. 61, norma che ha codificato la necessità accanto alle ipotesi di abbandono dell'immobile, di morosità o di disponibilità di altro alloggio.

 

Trattasi, com'é evidente, di situazione che non può essere messa a confronto con altre, incentrate su esigenze diverse o più limitate, suscettibili di soddisfazione attraverso le varie utilità che il locatore possa e voglia trarre dall'immobile.

 

Ciò spiega e giustifica la lamentata disparità di trattamento, non solo nei confronti della persona fisica che non ha la necessità di utilizzare il bene come "residenza" per sè e/o per il proprio nucleo familiare, ma anche nei confronti della società-persona giuridica che intende farvi abitare i propri dipendenti. L'uso del bene da parte della società-persona giuridica, infatti, in via diretta come in via indiretta, è sempre in connessione con lo svolgimento di una soggettività che rimane comunque nell'àmbito delle relazioni economiche, rispetto alle quali il legislatore ha inteso dare prevalenza ai diritti della persona umana e della famiglia.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 8 novembre 1991, n.360, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione dal Pretore di Venezia con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/04/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Cesare RUPERTO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 28/04/94.