ORDINANZA N. 137
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31 del codice penale militare di pace promosso con ordinanza emessa il 6 luglio 1993 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Piccolomini Giovanni iscritta al n. 604 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella Camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.
Ritenuto che il Tribunale militare di Padova, all'esito del dibattimento svoltosi nei confronti di un sottufficiale imputato di due distinti episodi di diserzione, dovendo pervenire a una sentenza di condanna poichè a carico dell'imputato risultavano sicure prove di responsabilità e non potendo disporre in favore dello stesso imputato, in considerazione dei suoi precedenti penali, la sospensione condizionale della pena, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 52, ultimo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31 c.p.m.p., nella parte in cui prevedono per i sottufficiali e i graduati di truppa una pena accessoria diversa da quella prevista per gli ufficiali (rispettivamente, sospensione dal grado e sospensione dall'impiego);
che, secondo il giudice a quo, nei confronti dell'imputato non sarebbe possibile applicare la pena accessoria della rimozione dal grado, prevista dall'art. 156 c.p.m.p. per il caso in cui venga accertata la responsabilità penale per il reato di diserzione, in quanto l'art. 29 c.p.m.p., il quale include la rimozione dal grado tra le pene accessorie militari, deve ritenersi ormai abrogato a seguito della entrata in vigore della legge 7 febbraio 1990, n. 19, e in particolare dell'art. 9 della stessa;
che, conseguentemente, dovendosi applicare nei confronti dell'imputato la pena accessoria della sospensione dal grado, risulterebbe evidente la diversità di trattamento riservata dalle disposizioni impugnate ai sottufficiali e agli ufficiali, dal momento che per questi ultimi la pena accessoria è quella della sospensione dall'impiego e non dal grado, mentre per i sottufficiali la pena accessoria, ingiustificatamente più afflittiva, è quella della sospensione dal grado;
che, è intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile ovvero non fondata;
che, in particolare, quanto alla inammissibilità, l'Avvocatura generale dello Stato rileva che il giudice a quo muove da una premessa errata, dovendosi escludere che l'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, abbia abrogato le disposizioni del codice penale militare di pace concernenti la individuazione e la disciplina delle pene accessorie militari, dal momento che le sanzioni disciplinari, alle quali soltanto si riferisce l'art. 9 citato, sono sanzioni amministrative, mentre le pene accessorie sono vere e proprie pene criminali, subordinate, quanto alla loro efficacia, al passaggio in giudicato della sentenza recante la condanna alla quale accedono;
che, comunque, la diversità di trattamento riservata agli ufficiali, da un lato, e ai sottufficiali e ai graduati di truppa, dall'altro, discende dalla diversità dello stato giuridico delle categorie considerate, dal momento che solo per gli ufficiali, e non anche per i sottufficiali, è stabilito che il grado sia indipendente dall'impiego (art. 4 della legge 10 aprile 1954, n. 113) e dal momento che, conseguentemente, solo per gli ufficiali, e non anche per i sottufficiali, è possibile disporre la sospensione dall'impiego e non dal grado.
Considerato che il Tribunale militare di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.3 e 52, ultimo comma, della Costituzione, degli artt. 30 e 31 c.p.m.p., nella parte in cui prevedono per i sottufficiali e i graduati di truppa una pena accessoria diversa da quella prevista per gli ufficiali;
che la questione si fonda sul presupposto che l'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, avrebbe abrogato l'art. 29 c.p.m.p., il quale disciplina la pena accessoria militare della rimozione dal grado, pena accessoria che sarebbe applicabile immediatamente nei confronti dell'imputato nel giudizio a quo, quale conseguenza della condanna per il reato di diserzione (art. 156 c.p.m.p.), non ricorrendo le condizioni per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena;
che, in altri termini, le disposizioni impugnate, le quali disciplinano, rispettivamente, le pene accessorie temporanee della sospensione dall'impiego e della sospensione dal grado, sarebbero applicabili nel giudizio a quo, in quanto non potrebbe più essere disposta la pena accessoria perpetua della rimozione dal grado;
che, peraltro, a parte ogni rilievo in ordine alla formulazione della questione e, in particolare, in ordine alla individuazione delle disposizioni impugnate, l'assunto dal quale muove l'ordinanza di rimessione non può essere condiviso, dal momento che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, sia pure con riferimento alla pena accesso ria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, l'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 non ha in alcun modo inciso sulla disciplina delle pene accessorie e, per quel che in questo giudizio rileva, della pena accessoria militare della rimozione dal grado (sent. n. 197 del 1993);
che, conseguentemente, poichè nel giudizio a quo, ove il Tribunale militare di Padova dovesse pervenire ad una sentenza di condanna del sottufficiale imputato del reato di diserzione, dovrebbe, secondo quanto previsto dall'art. 156 c.p.m.p., farsi applicazione dell'art. 29 dello stesso codice (il quale, a seguito della decisione di questa Corte n. 258 del 1993, non prevede più alcuna distinzione, quanto alla entità della pena principale della reclusione militare cui la pena della rimozione dal grado accede, tra la posizione degli ufficiali e quella dei sottufficiali) e non anche delle disposizioni impugnate (o, più precisamente, della disposizione di cui all'art. 31 c.p.m.p.);
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale militare di Padova deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto ha ad oggetto disposizioni che non sono applicabili nel giudizio a quo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31 c.p.m.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 52, ultimo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Antonio BALDASSAREE, Redattore
Depositata in cancelleria il 13/04/94.