Sentenza n. 128 del 1994

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SENTENZA N. 128

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, terzo comma, lettere b) e d), 5 e 6 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, recante "Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell'art. 1, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421", promosso con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 1° settembre 1993, depositato in cancelleria l'11 successivo ed iscritto al n. 50 del registro ricorsi 1993.

 

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1994 il Giudice relatore Enzo Cheli;

 

uditi l'avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'avv. dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Con ricorso notificato il 1° settembre 1993 la Regione Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 1, terzo comma, lett.b) (limitatamente alle parole "verifica comparativa dei costi e dei risultati conseguiti dalle Regioni"); 1, terzo comma, lett. d); 5 e 6 (nella parte in cui prevede come organi periferici del Ministero della sanità gli uffici veterinari per gli adempimenti CEE) del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, recante "Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell'art. 1, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421", per violazione degli artt.76, 117, 118, e dei commi secondo e terzo della VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

 

Nel ricorso si premette che l'art. 1, primo comma, lett.h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), ha delegato il Governo ad "emanare, per rendere piene ed effettive le funzioni che vengono trasferite alle Regioni e alle Province autonome, entro il 30 giugno 1993, norme per la riforma del Ministero della sanità cui rimangono funzioni di indirizzo e coordinamento, nonchè tutte le funzioni attribuite dalle leggi dello Stato per la sanità pubblica" e che, in attuazione di tale delega, è stato emanato il decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266.

 

La Regione ricorrente afferma che tale decreto, anzichè "rendere piene ed effettive" le funzioni delle Regioni, ha di fatto ampliato le attribuzioni del Ministero e degli istituti da esso dipendenti, invadendo la sfera di competenza costituzionale attribuita alle Regioni e ponendosi, di conseguenza, in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonchè con i criteri direttivi della delega, conferita con l'art. 1, primo comma, lett. h), della legge n.421 del 1992.

 

2. - In primo luogo, ad avviso della ricorrente, la lesione lamentata verrebbe a derivare dall'art. 1, terzo comma, lett. b), del decreto n. 266, ove si attribuisce al Ministero della sanità una funzione di "verifica comparativa dei costi e dei risultati conseguiti dalle Regioni", funzione destinata a consentire un controllo statale non previsto dalla Costituzione sull'attività sanitaria delle stesse Regioni.

 

In secondo luogo, l'art. 1, terzo comma, lett. d), del decreto legislativo n. 266, nel definire le funzioni del Ministero della sanità con espressioni estremamente generiche ("sanità pubblica, sanità pubblica veterinaria, nutrizione e igiene degli alimenti"), non avrebbe attuato in modo corretto la direttiva contenuta nell'art. 1, primo comma, lett. h), della legge di delegazione n. 421, ove si stabilisce che al Ministero spettano, oltre alle funzioni di indirizzo e coordinamento, solo le ulteriori "funzioni attribuite dalle leggi dello Stato per la sanità pubblica". La legge delega esigerebbe, infatti, che le ulteriori funzioni appartenenti al Ministero della sanità, oltre a quella di indirizzo e coordinamento, siano specificamente identificate dalle leggi dello Stato che volta a volta ne attribuiscono l'esercizio al Ministero, mentre questo non si verificherebbe nella norma impugnata a causa della vaghezza e della genericità del suo contenuto.

 

In terzo luogo, la Regione rileva che l'art. 5 del decreto legislativo n.266 prevede l'istituzione di una Agenzia statale per i servizi sanitari regionali, dotata di personalità giuridica, sottoposta alla vigilanza del Ministero della sanità e destinata a svolgere compiti di "supporto delle attività regionali, di valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi resi ai cittadini e di segnalazione di disfunzioni e sprechi nella gestione delle risorse personali e materiali e nelle forniture, di trasferimento delle innovazioni e delle sperimentazioni in materia sanitaria". Secondo la ricorrente, anche in questo caso saremmo in presenza di vere e proprie funzioni di controllo sull'attività delle amministrazioni regionali in materia sanitaria, funzioni affidate ad un organismo statale e che, non trovando fondamento nella disciplina costituzionale relativa ai controlli dello Stato sulle Regioni, sarebbero in grado di ledere gravemente le attribuzioni regionali. Inoltre, l'attività di controllo relativa alla valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi resi ai cittadini verrebbe a duplicare l'attività di controllo attribuita (anch'essa illegittimamente) al Ministero della sanità dall'art. 1, comma terzo, lett. b).

 

Infine, passando ad esaminare l'art. 6 del decreto legislativo in questione, la Regione sottolinea che tale norma prevede come organi periferici del Ministero della sanità, tra gli altri, gli "uffici veterinari per gli adempimenti CEE". Tale previsione ricalca quella già espressa nel decreto legislativo 30 gennaio 1993, n. 27 (Attuazione della direttiva 89/608/CEE relativa alla mutua assistenza tra autorità amministrative per assicurare la corretta applicazione della legislazione veterinaria e zootecnica) e nel decreto del Ministro della sanità 18 febbraio 1993 (Determinazione di funzioni e compiti degli uffici veterinari del Ministero della sanità), atti impugnati dalla stessa Regione davanti a questa Corte rispettivamente con il ricorso n. 18 del 1993 e con il ricorso per conflitto di attribuzioni n. 14 del 1993.

 

Sostiene in proposito la ricorrente che - come già accaduto con il decreto legislativo 30 gennaio 1993, n. 27, e con il decreto del Ministro della sanità del 18 febbraio 1993 - anche l'art. 6 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, elencando tra gli organi periferici del Ministero della sanità gli "uffici veterinari per gli adempimenti CEE", avrebbe determinato una riappropriazione da parte dello Stato di funzioni amministrative già trasferite e spettanti alla sfera regionale.

 

Dopo aver ricordato che l'art. 27 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ha trasferito interamente alla competenza regionale le funzioni in materia di controllo e vigilanza veterinaria - mentre l'art. 30 dello stesso d.P.R. n. 616 ha riservato allo Stato soltanto le funzioni concernenti "i rapporti internazionali e la profilassi internazionale, marittima, aerea e di frontiera" - la Regione Lombardia sottolinea che, in relazione ai residui compiti di profilassi internazionale in materia veterinaria, lo Stato ha conservato un apparato periferico costituito dagli uffici veterinari di confine, di dogana interna, di porto e di aeroporto di cui al d.P.R. 31 luglio 1980, n. 614. Senonchè il decreto legislativo 30 gennaio 1993, n. 27, nel disciplina re i controlli veterinari interni in conformità alle direttive comunitarie, avrebbe attribuito a taluni dei ricordati uffici statali - ribattezzati "uffici veterinari del Ministero della sanità per gli adempimenti degli obblighi comunitari" - competenze di vigilanza e di controllo veterinario spettanti alle Regioni, dal momento che le attività di tali uffici non avrebbero alcun riferimento con i rapporti internazionali, ma realizzerebbero, nel quadro della normativa comunitaria, forme di controllo interno sul rispetto della legislazione veterinaria. A sua volta, l'art. 6 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, menzionando gli "uffici per gli adempimenti CEE" distintamente dagli "uffici veterinari di confine, porto e aeroporto", renderebbe evidente come si sia inteso creare uffici periferici del Ministero distinti e con competenze diverse rispetto agli uffici disciplinati dal d.P.R. 31 luglio 1980, n. 614. Il Governo avrebbe così tentato - in violazione dei criteri espressi nella delega conferita con l'art. 1, primo comma, lett. h), della legge n.421 del 1992 nonchè in violazione degli artt. 117, 118 e VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione - di ampliare e potenziare l'apparato periferico del Ministero della sanità, le cui originarie funzioni di profilassi internazionale veterinaria risulterebbero ridotte per effetto della realizzazione del mercato unico e del conseguente abbattimento delle frontiere fra gli Stati della Comunità.

 

3. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere il rigetto del ricorso.

 

Nella memoria di costituzione si afferma preliminarmente che il decreto impugnato non avrebbe vanificato il fine indicato dalla legge di delegazione in ordine all'esigenza di garantire pienezza ed effettività delle funzioni regionali in materia sanitaria, dal momento che le competenze statali sarebbero state delineate nel rispetto di tale direttiva, pur senza, di contro, ignorare le peculiarità che verrebbero a connotare in termini più ristretti l'autonomia regionale in questo settore. In particolare, l'Avvocatura rileva che - anche in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale - l'assistenza sanitaria ed ospedaliera, sebbene compresa nell'elenco di cui all'art. 117 della Costituzione, non si risolverebbe in una materia pienamente assimilabile agli altri settori di competenza regionale e ciò sia per la particolare intensità dei limiti cui sono in tal campo sottoposte la legislazione e l'amministrazione regionali, sia per le peculiari forme e modalità di finanziamento della relativa spesa pubblica, sia per i tipici rapporti che l'ordinamento vigente stabilisce fra le varie specie di enti ed organismi cooperanti ed interagenti nella materia medesima.

 

Sarebbero, pertanto, infondate le censure indirizzate nei confronti dell'art. 1, terzo comma, lett. b), del decreto legislativo n. 266, in connessione con l'art. 5 dello stesso decreto. Tali disposizioni non implicherebbero, infatti, l'istituzione di nuovi controlli sulla attività e sugli atti delle Regioni, mentre, di contro, in materia di assistenza sanitaria, l'autonomia regionale risulta subordinata al rispetto di livelli delle prestazioni che vanno assicurati con uniformità su tutto il territorio nazionale, a garanzia del diritto alla salute e delle compatibilità della spesa pubblica.

 

Priva di consistenza sarebbe anche la censura proposta contro la lett.d) dell'art. 1, terzo comma, del decreto impugnato. Al riguardo l'Avvocatura ricorda che la legge delegante n. 421 del 1992 ha espressamente riservato al Ministero le funzioni attribuite dalle leggi dello Stato per la sanità pubblica, mentre per quanto riguarda il settore della "nutrizione ed igiene degli alimenti", non esisterebbero argomenti per dubitare della sua pertinenza allo Stato.

 

Infine, con riferimento alla censura formulata nei confronti dell'art. 6, nella memoria si richiamano le difese già prospettate nei ricorsi relativi al decreto legislativo n. 27 del 1993 ed al decreto ministeriale 18 febbraio 1993. In particolare, la difesa dello Stato contesta che nella precedente disciplina il carattere statale delle competenze in materia di controlli veterinari potesse derivare soltanto dal luogo del loro esercizio (posti di confine), sottolineando di contro come la CEE - al fine di garantire gli Stati membri da possibili pregiudizi agli interessi sanitari conseguenti all'apertura delle frontiere interne - abbia introdotto, con apposite direttive, nuove misure compensative e sostitutive da applicarsi all'interno dei territori nazionali.

 

La diversa dislocazione territoriale delle attività richieste alle autorità degli Stati membri non avrebbe, quindi, mutato la sostanza delle funzioni in tema di profilassi già spettanti allo Stato nè avrebbe inciso sulle ragioni che tuttora giustificano l'attribuzione di tali funzioni alla competenza statale.

 

La Presidenza del Consiglio chiede pertanto alla Corte di dichiarare infondate le questioni proposte.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - Formano oggetto dell'impugnativa proposta dalla Regione Lombardia alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo 30 giugno 1993 n.266 - recante "Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell'art. 1, comma primo, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421" - e, in parti colare, l'art. 1, comma terzo, lett. b) (limitatamente alle parole "verifica comparativa dei costi e dei risultati conseguiti dalle Regioni), l'art. 1, comma terzo, lett. d), l'art. 5 e l'art. 6.

 

Tali disposizioni vengono censurate con riferimento agli artt. 76, 117, 118 ed ai commi secondo e terzo dell'VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione sul presupposto che:

 

a) l'art. 1, comma terzo, lett. b), nell'attribuire al Ministero della sanità una funzione di "verifica comparativa dei costi e dei risultati conseguiti dalle Regioni", avrebbe introdotto una forma di controllo sull'attività regionale in materia sanitaria non prevista dalla Costituzione;

 

b) l'art. 1, comma terzo, lett. d), nell'attribuire allo stesso Ministero le funzioni in materia di "sanità pubblica, sanità pubblica veterinaria, nutrizione e igiene degli alimenti", avrebbe adottato una definizione delle competenze statali non compatibile con la delega espressa dall'art.1, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e suscettibile, pertanto, di invadere la competenza spettante alle Regioni, ai sensi degli artt. 117 e 118, in materia di assistenza sanitaria;

 

c) l'art. 5, nell'istituire una Agenzia per i servizi sanitari regionali, con compiti di supporto delle attività regionali, di valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi e di segnalazione di disfunzioni e sprechi, avrebbe anch'esso introdotto funzioni di controllo sull'attività regionale non fondate nella Costituzione e suscettibili di menomare l'autonomia regionale;

 

d) l'art. 6, nell'elencare tra gli organi periferici del Ministero della sanità gli uffici veterinari per gli adempimenti CEE, avrebbe confermato l'esistenza di uffici periferici del Ministero diversi da quelli di confine, di dogana interna, di porto e di aeroporto elencati nel d.P.R. 31 luglio 1980, n. 614, affidando agli stessi funzioni che - in quanto non attinenti alla "sfera dei rapporti internazionali" e della "profilassi internazionale" (di cui all'art. 6, comma primo, lett. a), della legge 23 dicembre 1978 n. 833) - risulterebbero già trasferite e, comunque, spettanti alla competenza regionale.

 

2. - Le questioni non sono fondate.

 

Va in primo luogo escluso che le competenze conferite al Ministero della sanità dall'art. 1, comma primo, lett. b) del decreto legislativo n. 266 del 1993 in ordine alla "verifica comparativa dei costi e dei risultati conseguiti dalle Regioni" - così come le attribuzioni riconosciute all'Agenzia per i servizi sanitari regionali dall'art. 5, comma primo, dello stesso decreto in ordine ai "compiti di supporto delle attività regionali, di valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi resi ai cittadini e di segnalazione di disfunzioni e sprechi nella gestione delle riserve personali e materiali e nelle forniture, di trasferimento dell'innovazione e della sperimentazione in materia sanitaria" - siano tali da configurare forme di controllo in senso proprio diverse da quelle delineate in sede costituzionale e, pertanto, suscettibili di limitare indebitamente l'autonomia regionale.

 

Le funzioni in esame, anche quando presentano un contenuto di valutazione dell'attività regionale, non comportano, infatti - a differenza di quanto accade nell'attività di controllo in senso tecnico - un riesame di tali attività in vista dell'adozione di specifiche misure destinate a incidere (anche con effetti paralizzanti) nella sfera del soggetto controllato, quanto a raccogliere elementi informativi e di comparazione in grado di orientare lo Stato (e, in particolare, il Ministero della sanità) ai fini della determinazione delle scelte di politica sanitaria nazionale funzionali al miglioramento della qualità dell'assistenza.

 

Si tratta, dunque, di funzioni collegate a quell'attività di "coordinamento del sistema informativo sanitario" che viene richiamato dallo stesso art.1, primo comma, lett. b) del decreto legislativo n. 266 tra le competenze statali e che, se pur strumentali, risultano necessarie sia rispetto al fine dell'ottimizzazione delle prestazioni sanitarie sia rispetto ai compiti riservati allo Stato in tema di programmazione sanitaria, di determinazione degli "standards" delle prestazioni da assicurare uniformemente sul territorio nazionale, nonchè di distribuzione della spesa pubblica tra le diverse aree territoriali, alla luce degli indirizzi fissa ti, ai fini del riordinamento del Servizio sanitario nazionale, dall'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421.

 

Nè si potrebbe, di contro, affermare che tra le funzioni in esame - assegnate rispettivamente al Ministero ed all'Agenzia - sussista una sovrapposizione tale da dar adito ad una incompatibilità, una volta che si tenga presente che le attività di valutazione comparativa svolte dai due organismi, oltre ad essere orientate su piani diversi, concorrono ad arricchire e completare il quadro delle conoscenze utili ai fini delle scelte politiche ed amministrative da adottare tanto a livello statale che regionale, nel rispetto del principio di cooperazione tra Stato e Regioni ripetutamente affermato da questa Corte anche con riferimento al settore in esame (v. sentt. nn. 356 del 1992; 279 del 1992;49 del 1991; 338 del 1989).

3. - In secondo luogo va riconosciuta l'infondatezza della censura formulata nei confronti dell'art. 1, comma terzo, lett. d) del decreto legislativo in esame, in relazione al fatto che la genericità delle espressioni adottate con tale disposizione al fine di individuare le funzioni ministeriali sarebbe tale da violare l'indirizzo espresso dall'art. 1, comma primo, lett.h), della legge n. 421 con riferimento alle funzioni da riservare al Ministero della sanità. Se è vero, infatti, che la norma in questione pecca di genericità - quando fa riferimento, per individuare le funzioni riservate allo Stato, alla "sanità pubblica, sanità pubblica veterinaria, nutrizione ed igiene degli alimenti" - è anche vero che la stessa non incorre in un eccesso rispetto all'oggetto delimitato nella legge di delegazione, dove si individua la sfera residuata al Ministero, oltre che nelle funzioni di indirizzo e coordinamento, in "tutte le funzioni attribuite dalle leggi dello Stato per la sanità pubblica".

 

Risulta evidente, infatti, che la norma delegata - sia attraverso il richiamo generico alle funzioni in tema di "sanità pubblica" sia attraverso la specificazione, nell'ambito di questa categoria più generale, delle funzioni in tema di "sanità pubblica veterinaria" e di "nutrizione ed igiene degli alimenti" - non ha nulla aggiunto o modificato rispetto alla riserva enunciata nella norma di delegazione, con riferimento alle singole leggi dello Stato che hanno, di volta in volta, riservato al Ministero funzioni in tema di sanità pubblica.

 

Mancano, pertanto, i presupposti dell'eccesso di delega che viene denunciato sotto il profilo in esame.

 

4. - Infondata si prospetta, infine, la censura formulata nei confronti dell'art. 6, con riferimento alla conferma, espressa con tale disposizione, della presenza, nell'apparato periferico del Ministero della sanità, degli uffici veterinari per gli adempimenti CEE già istituiti, in attuazione della direttiva CEE 89/608, con il decreto legislativo 30 gennaio 1993, n. 27 e regolati nelle loro competenze dal decreto del Ministero della sanità 18 febbraio 1993.

 

La Regione Lombardia, con tale censura, ricalca sostanzialmente i motivi di impugnativa già enunciati sia nel ricorso n. 18 del 1993, proposto avverso alcune norme del decreto legislativo n. 27 del 1993, sia nel ricorso per conflitto di attribuzioni n. 14 del 1993, proposto nei confronti del decreto del Ministro della sanità 18 febbraio 1993: ricorsi già decisi da questa Corte con le sentenze nn. 382 e 458 del 1993.

 

Con queste sentenze le doglianze prospettate dalla Regione Lombardia - sotto profili analoghi a quelli enunciati nel ricorso in esame - sono state disattese in base alla motivazione che: a) pur in presenza del mercato unico europeo e del superamento dei controlli doganali di frontiera, l'esistenza di uffici veterinari per gli adempimenti CEE, come uffici statali, conserva il suo fondamento nella riserva statale sanzionata dall'art. 6, lett. a) della legge n. 833 del 1978 in tema di "rapporti internazionali" e di "profilassi internazionale" in materia veterinaria, una volta constatato che le funzioni conferite agli uffici stessi mirano ad "assicurare, in rapporto alla Comunità ed agli altri Stati membri, il sistema dei controlli unitariamente e complessivamente considerato, ed a garantire la mutua assistenza tra Stati e la collaborazione con la Commissione CEE" (sent. 382 del 1993); b) nell'ambito della "profilassi internazionale" di cui all'art. 6 lett. a) della legge n. 833, deve ritenersi compreso anche il sistema dei controlli veterinari disciplinati dalle direttive comunitarie, ove si consideri che, in relazione al la specialità della materia, la dizione "internazionale" adottata da questa norma va intesa nel significato più comprensivo di "esterna al territorio nazionale", venendo così a includere anche i rapporti tra gli Stati membri della Comunità (sent. 458 del 1993).

 

Tali argomentazioni non possono non valere anche rispetto alla censura in esame, che è riferita, pur nella diversità della disposizione impugnata, allo stesso oggetto.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, terzo comma, lett. b); 1, terzo comma, lett. d); 5 e 6 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266 (Riordinamento del Ministero della sanità, a norma dell'art. 1, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), per violazione degli artt. 76, 117, 118 e della VIII disposizione transitoria e finale, commi secondo e terzo, della Costituzione; questioni sollevate dalla Regione Lombardia con il ricorso di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/03/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Enzo CHELI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 07/04/94.