Ordinanza n. 101 del 1994

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ORDINANZA N. 101

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28 gennaio 1993 dal Pretore di Genova nel procedimento penale a carico di Panariello Nunzio, iscritta al n. 421 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di un giudizio penale, nel quale l'imputato aveva richiesto il giudizio abbreviato, entro il previsto termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione, e si era quindi svolta l'udienza per il detto giudizio ex art. 561 del codice di procedura penale, ma il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti disponendo pertanto la trasformazione del rito ai sensi dell'art. 562 dello stesso codice (nuova citazione a giudizio), il Pretore di Genova, in fase dibattimentale, ha sollevato, con l'ordinanza indicata in epigrafe, questione di legittimità costituzionale degli artt.438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che, sul piano della rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che il giudizio era in realtà definibile allo stato degli atti, non avendo l'istruttoria dibattimentale apportato alcuna sostanziale modificazione del quadro degli elementi utili alla decisione;

che, nel merito, il rimettente sottopone a scrutinio di costituzionalità le norme richiamate in quanto esse non consentirebbero nè di applicare la riduzione di pena all'esito del dibattimento qualora il diniego del rito speciale da parte del giudice per le indagini preliminari risulti errato, nè di annullare il provvedimento che dispone il giudizio; una situazione, questa, in contrasto con il diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), non potendo l'imputato difendersi contro un provvedimento insindacabile che gli disconosce un diritto ed incide sulla pena irrogata, nonchè con il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), per disparità di trattamento rispetto agli imputati che, viceversa, nonostante il dissenso del pubblico ministero all'adozione del rito (e anzi grazie ad esso), possono giovarsi della riduzione di pena, in virtù della pronuncia n. 81 del 1991 di questa Corte;

che, infine, il rimettente si sofferma sulla necessità di sollevare la questione nonostante il fatto che la sentenza n. 23 del 1992 di questa Corte abbia già individuato nel giudice del dibattimento l'organo abilitato a verificare l'esattezza del diniego del rito abbreviato da parte del giudice per le indagini preliminari alla stregua del criterio della decidibilità del processo allo stato degli atti; questa decisione non è, ad avviso del Pretore, applicabile nel giudizio a quo, sia perchè essa "riguarda una ipotesi di giudizio dinanzi al Tribunale" e non ha "alcun riferimento, neppure indiretto, al giudizio pretorile", sia perchè nel dispositivo della richiamata sentenza non è indicata, tra le norme dichiarate conseguenzialmente illegittime, quella dell'art. 562 del codice di procedura penale, che è la "principale sospetta" ai fini della questione così sollevata.

Considerato che con la sentenza n. 23 del 1992 questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 438,439, 440 e 442 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice, all'esito del dibattimento, qualora ritenga che il processo poteva essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari sulla richiesta dell'imputato e con il consenso del P.M., possa applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442, comma 2, dello stesso codice;

che, nel prospettare la questione, il giudice a quo muove dall'esplicito presupposto secondo cui detta sentenza non troverebbe applicazione nel giudizio dinanzi al Pretore: un presupposto argomentato sia con il fatto che la decisione "concerneva" un giudizio dinanzi al Tribunale, sia con il fatto che tra le norme dichiarate costituzionalmente illegittime in via conseguenziale non figura l'articolo 562 da cui trarrebbe "principalmente" origine il vizio di incostituzionalità relativamente al procedimento pretorile;

che, in contrario, si deve rilevare che il primo profilo argomentativo sovrappone all'ambito di applicazione delle norme già dichiarate costituzionalmente illegittime nei sensi detti, la sede del giudizio principale da cui è stata occasionata la sentenza n. 23 del 1992 di questa Corte (un pro cedimento dinanzi a corte d'Assise), laddove le norme che regolano il giudizio abbreviato hanno portata generale e sono presupposte anche nell'ambito del giudizio dinanzi al Pretore, la cui disciplina fa ad esse integrale rinvio quanto alla struttura e agli effetti sostanziali dell'istituto, limitandosi a regolare taluni moduli procedimentali imposti dalle peculiarità del rito pretorile;

che anche il secondo profilo argomentativo è inidoneo a sorreggere la questione, giacchè la mancanza, nella sentenza n. 23 del 1992, di una declaratoria di illegittimità costituzionale conseguenziale ex art.27 della legge n. 87 del 1953 relativamente alle disposizioni che regolano il pro cedimento pretorile, costituisce indice e riconferma della ritenuta portata generale delle norme contenute nel libro VI del titolo I del codice di procedura penale; coerentemente con questo connotato, quindi, le declaratorie di illegittimità conseguenziale hanno avuto riguardo soltanto a norme in cui il giudizio abbreviato si innesta a sua volta su riti differenziati (giudizio immediato, giudizio conseguente all'opposizione a decreto penale);

che, a riconfermare la notazione da ultimo svolta, si deve rilevare che la sentenza n. 81 del 1991 di questa Corte, richiamata dal giudice rimettente, presenta, sotto questo profilo, un dispositivo simmetrico a quello della sentenza n.23 del 1992, e che tuttavia la prima è ritenuta dal giudice a quo applicabile anche in sede di procedimento pretorile posto che viene assunta quale elemento del termine di raffronto utilizzato in relazione al parametro costituzionale del principio di eguaglianza; una contraddizione, questa, che svela l'inesattezza della premessa interpretativa della questione;

che, pertanto, poichè l'enunciato della più volte richiamata decisione n. 23 del 1992 concerne il giudizio abbreviato qualunque sia l'organo giudiziario dinanzi al quale detto rito speciale è esperibile, la questione sollevata, mirando ad una pronuncia i cui effetti sono già determinati dalla precedente statuizione di questa Corte, va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 438, 439, 440, 442, 560, 561 e 562 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/03/94.