SENTENZA N. 71
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 84 r.d.16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il 7 aprile 1993 dal giudice delegato del Tribunale di Alessandria nella procedura fallimentare nei confronti di Borelli Roberto, iscritta al n. 245 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1994 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
1. Il giudice delegato al fallimento in estensione di Borrelli Roberto, dichiarato dal Tribunale di Alessandria con sentenza del 6 aprile 1993 ha sollevato , con ordinanza del 7 aprile 1993, questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 84 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (legge fallimentare) nella parte in cui non prevede che il giudice delegato possa autorizzare il curatore a redigere immediatamente l'inventario senza la preventiva apposizione dei sigilli, allorchè quest'ultima risulti impossibile o superflua, per sospetta violazione del principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.) oltre che di quello di razionalità dell'ordinamento giuridico (art. 3, comma 1, Cost.).
Rileva in particolare il giudice rimettente che il fallimento è stato dichiarato non solo su istanza del curatore, ma anche dopo la presentazione di richiesta dello stesso soggetto fallito, per cui può fondatamente presumersi l'inesistenza di un attuale pericolo di distrazione dei beni in possesso del fallito medesimo; il quale infatti, se avesse voluto occultare o distrarre tali beni, l'avrebbe fatto ancor prima della presentazione della richiesta del suo stesso fallimento sicchè l'attività di apposizione dei sigilli si appalesa inutile e priva di ogni rilevanza sostanziale nella procedura fallimentare. In particolare - prosegue il giudice rimettente - i due parametri costituzionali evocati sono violati perchè la prevista obbligatorietà dell'apposizione dei sigilli opera oggi in un mutato contesto normativo in ragione dell'obbligo della preventiva convocazione dell'impreditore prima della dichiarazione di fallimento (obbligo introdotto dall'intervento di questa Corte: v. sent. nn. 141/70, 142/70 e 110/72) sicchè le originarie finalità cautelari e conservative, perseguite dal legislatore del 1942, sono venute meno o comunque risultano attenuate.
La questione è rilevante - conclude il giudice rimettente - perchè un'eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma censurata consentirebbe al giudice delegato di omettere le inutili attività di sigillazione e di autorizzare il curatore a procedere direttamente all'inventario.
2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo pregiudizialmente che la questione sia dichiarata inammissibile sia per il difetto di legittimazione del giudice delegato a sollevare la questione di costituzionalità, sia comunque perchè la pronuncia additiva richiesta non si presenta a rime obbligate.
Nel merito ritiene la questione non fondata perchè l'inconveniente lamentato dal giudice rimettente non è tale da determinare una situazione di incompatibilità con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia, nè contrasta con la generale esigenza di razionalità dell'ordinamento giuridico.
Considerato in diritto
1. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt.3 e 97 Cost. - dell'art. 84 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (legge fallimentare) nella parte in cui non prevede che il giudice delegato possa autorizzare il curatore a redigere immediatamente l'inventario senza la preventiva apposizione dei sigilli, allorchè quest'ultima risulti impossibile o superflua per sospetta violazione del principio di ragionevolezza e del buon andamento dell'amministrazione della giustizia.
2. La questione è inammissibile, anche se per ragioni non del tutto coincidenti con quelle addotte dalla Avvocatura dello Stato.
Al riguardo va invero ricordato che questa Corte ha già riconosciuto la legittimazione del giudice delegato a sollevare questioni incidentali di costituzionalità (sent.n.204/89, n.195/75) salvo che la sua attività non si collochi nell'ambito dell'esercizio di funzioni istruttorie (sent.n.141/71) ovvero di mere potestà direttive (ex art. 25 l.fall.) prive delle connotazioni proprie della funzione giurisdizionale (sent. n.115/86). Come pure va rilevato che non occorre prendere partito in ordine alla natura giurisdizionale in senso stretto ovvero di volontaria giurisdizione del provvedimento di apposizione dei sigilli perchè anche in questa seconda ipotesi ricostruttiva sussisterebbe la legittimazione a sollevare questione incidentale di costituzionalità (sent. n.142/71 e, implicitamente, ord. n.95/87).
Tanto premesso, è sufficiente osservare che il giudice rimettente chiede alla Corte di rendere una pronuncia che innovi - radicalmente modificandola - l'attività demandata dall'art. 84 l. fall. al giudice delegato. In essa, infatti, dovrebbe essere innestato un apprezzamento di merito delle esigenze cautelari e conservative dei beni del fallito secondo un canone valutativo che richiederebbe di essere precisato in base ad una opzione variamente risolvibile tra i due estremi di un'attività del tutto vincolata (qual è attualmente) e viceversa di un'attività ampiamente discrezionale, e ciò nell'esercizio di un potere di normazione positiva che esula dall'ambito delle attribuzioni della Corte. Si aggiunga che anche sotto altro aspetto plurime sarebbero le soluzioni adottabili, perchè la valutazione singulatim delle esigenze cautelari e conservative potrebbe essere affidata al tribunale in sede di dichiarazione di fallimento, invece che successivamente (e talora non più tempestivamente) al giudice delegato. La censura dell'ordinanza di rimessione esprime quindi una esigenza di riforma di uno specifico momento della procedura fallimentare, < < sicchè il solo possibile destinatario di richieste siffatte è rappresentato - se mai - dal Parlamento e non da questa Corte>> (ord. n.95/87 cit.).
La questione di costituzionalità va quindi dichiarata inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 84 r.d. 16 marzo 1942 n.267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal tribunale di Alessandria con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/02/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 03/03/94.