ORDINANZA N. 64
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 555, 148, terzo comma, e 168 del codice di procedura penale, promosso con l'ordinanza emessa il 13 luglio 1992 dal Pretore di Pistoia nel procedimento penale a carico di Flutra Velcani ed altra, iscritta al n. 640 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.43, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.
Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale a carico di due cittadine albanesi, le quali erano risultate non in grado di esprimersi correttamente in italiano, il Pretore di Pistoia ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt.555, 148, terzo comma, e 168 c.p.p., nella parte in cui non prevedono che il decreto di citazione e la relata di notifica siano redatti in una lingua comprensibile per l'imputato;
che, secondo il giudice a quo, le disposizioni impugnate violerebbero:
a) l'art. 24 della Costituzione, in quanto non consentirebbero all'imputato un reale esercizio del diritto di difesa;
b) l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto comporterebbero una discriminazione degli imputati stranieri in confronto agli imputati italiani nell'uso della lingua;
c) l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza, in quanto, mentre l'art. 5 del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 39, prevede per gli atti amministrativi concernenti il soggiorno e l'espulsione dello straniero la notifica dell'atto e la sua traduzione in una lingua che l'interessato sia in grado di comprendere, una simile disposizione non esiste per la notifica del decreto di citazione a giudizio, nonostante il livello molto più alto dei valori coinvolti nel processo penale;
d) gli artt. 10 e 11 della Costituzione, in relazione alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, firmata a Roma il 14 novembre 1950 e ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto, non dando perfetta attuazione al disposto dell'art.6, terzo comma, lettera a), della citata Convenzione, il quale richiede che l'accusato venga informato in una lingua a lui nota del contenuto delle accuse che gli sono rivolte, non consentirebbero la conformazione dell'ordinamento italiano alle norme di diritto internazionale riconosciute e in particolare alle limitazioni della sovranità derivanti dalla ratifica della Convenzione;
che é intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, riportandosi a quanto dedotto in altro analogo giudizio, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che questione analoga a quella oggetto del presente giudizio, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione, é stata già esaminata da questa Corte e ritenuta non fondata, nei sensi di cui in motivazione, con la sentenza n.10 del 1993;
che, in particolare, in quella decisione questa Corte ha affermato che la mancanza di un espresso obbligo di traduzione nella lingua nota all'imputato straniero sia del decreto di citazione a giudizio davanti al pretore (art.555 c.p.p.), sia dell'avviso contenuto nel decreto di giudizio immediato, concernente la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato (art. 456, secondo comma, e 458, primo comma, c.p.p.), non può impedire la piena espansione della garanzia assicurata dall'art. 143, primo comma, c.p.p., in conformità ai diritti dell'imputato riconosciuti dalle convenzioni internazionali ratificate in Italia e dall'art.24, secondo comma, della Costituzione, dovendosi, quindi, immediatamente procedere alla nomina di un interprete o di un traduttore al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede;
che, peraltro, il diritto a farsi assistere gratuitamente da un interprete - derivante dall'art. 143, primo comma, c.p.p., interpretato in connessione con l'art.6, terzo comma, lettera a), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - comporta che l'attività di assistenza svolta da quest'ultimo a favore dell'indagato ricomprende, fra l'altro, la traduzione in tutti i suoi elementi costitutivi del decreto di citazione a giudizio;
che l'ordinanza di rimessione, anche se pro spetta la violazione di parametri in parte diversi da quelli in riferimento ai quali la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate é già stata esaminata - segnatamente quelli relativi agli artt. 10 e 11 della Costituzione - non contiene, tuttavia, argomenti ulteriori rispetto a quelli già valutati da questa Corte nella sentenza n. 10 del 1993;
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale oggetto del presente giudizio, deve essere dichiarata manifestamente infondata, in quanto già dichiarata non fondata, nei sensi di cui in motivazione, con la citata sentenza n. 10 del 1993.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 555, 148, terzo comma, e 168 c.p.p., sollevata dal Pretore di Pistoia, con l'ordinanza indicata in epigrafe, per violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 3 della Costituzione, anche in relazione all'art. 5, primo comma, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39, e degli artt. 10 e 11 della Costituzione, in relazione all'art. 6, terzo comma, lettera a), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/02/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Antonio BALDASSARRE, Redattore
Depositata in cancelleria il 24/02/94.