Sentenza n. 54 del 1994

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 54

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 892 e 894 del codice civile, in relazione all'art. 844 dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 9 giugno 1993 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Papandrea Maria Rosaria ed altro e Bortolin Maurizio, iscritta al n. 553 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

 

l. Nel corso di un giudizio civile promosso da Maria Rosaria Papandrea ed altro contro Maurizio Bortolin per ottenere la condanna di quest'ultimo, proprietario di un cortile destinato a giardino e confinante con la proprietà degli attori, all'estirpazione di alcuni alberi di alto fusto piantati a distanza inferiore di tre metri dal con fine, in violazione degli artt. 892 e 894 del codice civile, il Pretore di Torino, con ordinanza emessa il 9 giugno 1993 (R.O. n. 553 del 1993), ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto delle suddette disposizioni, per contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, con riferimento alla diversa disciplina dettata per le immissioni dall'art. 844 del codice civile, nella parte in cui detto combinato disposto non prevede che il giudice possa valutare se gli alberi e le piante, sorgenti a distanza inferiore a quella indicata dall'art. 892 del codice civile, debbano essere estirpati, qualora le loro immissioni nocive o simili propagazioni nel fondo confinante non superino la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alle condizioni dei luoghi.

Il giudice rimettente rileva che gli artt. 892 e 894 offrono, in aggiunta agli artt. 896, 849 e 1172 del codice civile, una tutela eccessiva ("supertutela") per il proprietario del fondo, il quale può chiedere l'estirpazione degli alberi in base a parametri predeterminati, oggettivi, quali quelli delle distanze legali, senza che il giudice possa valutare l'effettiva turbativa per il proprietario del fondo che ne chiede l'estirpazione.

Tale tutela così ampia del diritto di proprietà deve avere una giustificazione che si armonizzi con i limiti sociali della facoltà di godimento del proprietario.

Sembra al giudice rimettente che la ratio del la disposizione vada individuata in un possibile pregiudizio per il proprietario del fondo vicino: da qui il necessario raffronto con l'art. 844 del codice civile, che disciplina il pregiudizio da immissione proveniente dal fondo vicino, e per il quale è stabilita solo una generica sanzione da determinarsi secondo il caso concreto, sulla base della delibazione del superamento dei limiti della normale tollerabilità dell'immissione nociva.

Soltanto una pronuncia additiva della Corte costituzionale, conclude il giudice a quo, può far venire meno l'obbligo di estirpazione di alberi che sorgano a distanza soltanto lievemente inferiore alla distanza legale e che non arrechino alcun fastidio al fondo vicino.

 

Considerato in diritto

 

l. Il Pretore di Torino dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, del combinato disposto degli artt. 892 e 894 del codice civile, in relazione all'art. 844 del medesimo codice, sostenendosi che, se la ratio degli artt. 892 e 894 è quella di tutelare la proprietà da fattori provenienti dalle proprietà confinanti (umidità, ombrosità, propagazione di rami e simili determinate dagli alberi dei vicini) questa situazione sarebbe stata trattata in modo ingiustificatamente diverso dalla norma (art. 844) relativa alla situazione omogenea delle immissioni, in cui sussiste la stessa ratio e si demanda al giudice di valutare l'effettivo nocumento per il godimento del bene di proprietà.

Osserva in particolare il giudice rimettente che le norme denunziate prevedono "una supertutela per il proprietario di un fondo, il quale può chiedere l'estirpazione di alberi o piante sorgenti nel fondo confinante a distanza anche minore di un solo centimetro a quella minima legale, a prescindere dal fatto che essi costituiscano o meno un'effettiva turbativa". Tale tutela avrebbe fondamento solo "se si armonizzasse con i limiti sociali della facoltà di godimento della proprietà che lo stesso legislatore precostituzionale tenne in considerazione"; altrimenti ciò sarebbe applicazione dell'antico principio di detto godimento usque ad infera et usque ad sidera, mentre la ratio del diritto potestativo di pretendere l'estirpazione non si può giustificare per la sola presunzione assoluta del danno di immissioni (ombrosità, umidità, propagazione di rami e simili) "senza tenere in alcun conto dell'eventuale beneficio all'ambiente, bene anch'esso di rilevanza costituzionale non più trascurabile ex art. 9 della Costituzione, e beneficiario della tutela specifica successivamente introdotta".

Il Pretore soggiunge che "appare irragionevole che il pregiudizio arrecabile da alberi e piante sorgenti a distanza inferiore da quella legale debba sempre essere considerato in modo assoluto rispetto a situazioni di luogo molto diverse nella realtà fenomenica ed addirittura in maniera più sfavorevole rispetto ad un pregiudizio, come quello di cui all'art. 844 c.c.". Chiede in conclusione che una pronuncia additiva di questa Corte faccia venir meno i casi di estirpazione di alberi che non arrechino al vicino un pregiudizio superiore alla normale tollerabilità.

2. Questa Corte ritiene non fondata la questione di legittimità così prospettata.

Non è necessario, in proposito, approfondire se, come rileva il giudice a quo, la normativa denunziata sia un residuo riflesso di una arcaica concezione della proprietà, prevalentemente rurale, anteriore alle norme costituzionali ed alla conseguente disciplina (a tutela dei valori dell'ambiente e del diritto alla salute) comunque finalizzata a quella funzione sociale della proprietà, in cui ravvisare anche l'interesse per la sorte di singoli alberi nel regolamento dei rapporti di proprietari limitrofi.

Appare invece risolutivo, ai fini della decisione, anzitutto il rilievo che le norme impugnate hanno carattere meramente suppletivo di quanto stabilito dai "regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali" (art. 892); i quali, nel loro continuo adeguamento -oltre che tener conto delle particolari condizioni locali (clima, colture, terreni)- posso no rendere la disciplina di questa materia sempre più conforme alle esigenze di una moderna concezione della proprietà. Senza contare che sfuggirebbe ai poteri del giudice delle leggi scegliere, fra le tante possibili, le soluzioni di superamento dei limiti posti in proposito dal codice civile.

3. Questa Corte in alcune sentenze (n. 239 del 1982 e n. 94 del 1985) ha in generale affermato che il "paesaggio costituisce un valore estetico- culturale cui la Costituzione ha conferito straordinario rilievo, collocando la norma che fa carico alla Repubblica di tutelarlo fra i principi fonda mentali dell'ordinamento", e questa tutela "presuppone, normalmente, la comparazione ed il bilancia mento di interessi diversi".

La Corte ha avuto altre occasioni di precisare (sent. n. 247 del 1974 e n.39 del 1986) che la protezione di interessi diversi da quelli dei proprietari di fondi contigui, eventualmente spettanti anche ad altre persone o ad intere collettività, può essere prevista dalla legislazione di settore. É stato in particolare ritenuto che "chiunque abbia interesse ad opporsi al taglio degli alberi posti a distanza non legale (il proprietario del terreno in cui essi sono posti o altri) può sollecitare l'attivazione dei poteri della Regione o del Ministero per i beni ambientali e culturali (art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, anche in riferimento alla legge n. 1497 del 1939)" (sentenza n.39 del 1986).

4. La sollevata questione di costituzionalità viene ritenuta non fondata soprattutto perchè non è riscontrabile alcun vulnus dell'unica norma costituzionale (art. 3), che il giudice a quo ritiene violata sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento fra la disciplina delle distanze (artt. 892-894 del codice civile) e quella delle immissioni, di cui al precedente art. 844 del codice civile.

Il Pretore di Torino ravvisa l'omogeneità di queste due situazioni nella identità di ratio che sarebbe alla base di entrambe, e cioé il contemperamento di interessi confliggenti dei proprietari di fondi vicini nell'uso del territorio.

Ma questa impostazione non appare condivisibile dal momento che, mentre la disciplina sulle di stanze mediante criteri obiettivi e rigidi- attiene alla definizione del contenuto del diritto di proprietà (tanto che il mantenimento a distanze inferiori a quelle legali può dar vita, per convenzioni od usucapione, all'altro diritto reale di servitù), la disciplina sulle immissioni partecipa invece della logica della responsabilità civile, riguardando l'attività dinamica nell'uso della proprietà che può essere pregiudizievole al vicino quando superi la normale tollerabilità; così come ancora più attinente alla responsabilità è l'uso della proprietà che abbia come unico scopo quello di nuocere ad altri (art. 833 del codice civile). Delle tre situazioni risultano evidenti quindi i caratteri differenziali e le diverse conseguenze.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 892 e 894 del codice civile, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/02/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23/02/94.