ORDINANZA N. 34
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 409 del codice di procedura penale, pro mosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1993 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano nel procedimento penale a carico di Scherlin Franz ed altri, iscritta al n.558 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano, premesso di dover respingere la richiesta di archiviazione appalesandosi la necessità di ulteriori indagini e di dovere, in particolare, "ordinare al P.M. di svolgere intercettazioni telefoniche, di eseguire perquisizioni domiciliari e sequestri di documenti, di sentire altri testimoni e parti offese", ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 409 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che, in caso di dissenso sulla richiesta di archiviazione, il giudice per le indagini preliminari debba fissare udienza in camera di consiglio facendo così "venir meno il segreto istruttorio";
che la norma impugnata si porrebbe quindi in contrasto, secondo il rimettente, con gli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, in quanto la stessa farebbe dipendere l'esito del procedimento esclusivamente "dal modo in cui il P.M. imposta un'indagine, senza possibilità di un sostanziale ed efficace controllo del Giudice", risultando per le stesse ragioni limitato "il diritto dello Stato a perseguire i rei" e ridotto "ad un mero fatto formale" l'obbligo di esercitare l'azione penale;
e che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
considerato che il giudice a quo evoca sub specie di questione di legittimità costituzionale un profilo di mero fatto, quale e' il possibile pregiudizio che la celebrazione dell'udienza camerale prevista dalla norma impugnata determinerebbe per il compimento di specifici atti di indagine "a sorpresa" che lo stesso rimettente ipotizza di dover "ordinare" al pubblico ministero, in ciò muovendo, per di più, dall'erroneo presupposto di poter sovrapporre - come correttamente osserva l'Avvocatura Generale dello Stato - le proprie "metodologie di indagine" a quelle del pubblico ministero;
che a quest'ultimo proposito questa Corte ha già avuto modo di affermare che l'obbligo di espletare le indagini indicate dal giudice a norma dell'art. 409, quarto comma, del codice di rito, "non e' avulso ne' autonomo rispetto a quello di compiere <<ogni attività necessaria>> per assumere le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale (art. 358 in relazione all'art. 326 c.p.p.), di talche' l'indicazione del giudice opera come devoluzione di un tema di indagine che il pubblico ministero e' chiamato a sviluppare in piena autonomia e libertà di scelta circa la natura, il contenuto e le modalità di assunzione dei singoli atti che ritenga necessari ai fini suddetti" (v. ordinanza n. 235 del 1991);
che, d'altra parte, a svelare l'infondatezza delle dedotte censure sta l'assorbente rilievo che l'udienza camerale, vòlta a consentire attraverso il contraddittorio una più esauriente valutazione circa l'effettiva necessità di svolgere ulteriori atti di indagine, presuppone comunque che sia lo stesso pubblico ministero, vale a dire l'unico soggetto deputato alla "gestione" di quella attività, ad aver ritenuto esaurite le particolari cautele che assistono la fase delle indagini preliminari, con l'ovvio corollario di rendere la norma impugnata del tutto compatibile con gli invocati parametri;
e che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 409 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/01/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 10/02/94.