SENTENZA N. 480
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Sicilia 28 dicembre 1989, n. 19, dell'art. 23 della legge della Regione Sicilia 5 settembre 1990, n. 35 ed - ove occorra - dell'art. 61 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 e della legge 4 ottobre 1986, n. 657 (delega al governo per la istituzione e disciplina del servizio di riscossione dei tributi), promosso con ordinanza emessa il 18 gennaio 1992 dalla Commissione tributaria di 1° grado di Catania sul ricorso proposto da Potenza Renato Carlo ed altra contro l'Ufficio II.DD. di Catania, iscritta al n.165 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Regione Sicilia;
udito nella camera di consiglio del 17 novembre 1993 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 18 gennaio 1992 - emessa in un giudizio instaurato dai coniugi Potenza nei confronti dell'ufficio II.DD. di Catania, per opporsi all'applicazione del compenso esattoriale come richiesto, nella cartella loro notificata nel 1991, in misura di L. 15.000 "per ogni voce" ivi elencata anche se di importo largamente inferiore - l'adita Commissione tributaria di 1° grado di Catania ha sollevato, nei sensi e per le ragioni che più avanti si esporranno, questione incidentale di legittimità < < della normativa regionale e di quella nazionale (art. 3 legge regionale siciliana 1989 n. 19; art. 23 l. Sicilia 1990, n. 35 ed - ove occorra - l. 1986 n.657; art. 61 del D.P.R.28.l.1988, n. 43 e relativi Decreti Ministeriali ed assessoriali di attuazione) che disciplina il sistema di determinazione dei compensi spettanti al concessionario in misura percentuale delle somme riscosse, stabilita con un importo minimo (appunto L. 15.000) e massimo, distintamente, per i pagamenti spontanei eseguiti dopo la notifica della cartella di pagamento>>: < < per contrasto con gli artt. 3, 59, 76 e 97 Cost.>>.
2. Nel giudizio innanzi a questa Corte sono intervenuti il Presidente della Regione ed il Presidente del Consiglio dei ministri. E per entrambi l'Avvocatura Generale dello Stato, con distinte comparse di identico contenuto, ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità, sotto plurimi profili, della impugnativa (per contraddittorietà delle censure contestualmente rivolte alla legge delega ed al decreto delegato; insindacabilità dei decreti ministeriali; apoditticità dell'ipotesi di violazione dell'art. 97 Cost.; non pertinenza del richiamo all'art. 53 Cost.); e ne ha contestato, comunque, in subordine la fondatezza nel merito.
Considerato in diritto
1.1. La Commissione tributaria di Catania denunzia la disciplina dei compensi ai concessionari del servizio di riscossione dei tributi nella parte in cui - con riguardo, in particolare, al "compenso dovuto per la riscossione degli importi iscritti a ruolo per i pagamenti effettuati dopo la notifica della cartella di pagamento (e prima della notifica dell'avviso di mora") - ne determina l'ammontare in percentuale (1%) delle somme riscosse con un minimo di 15.000 lire, " per ogni articolo iscritto a ruolo", ancorchè di un importo (pur di gran lunga) inferiore a quella cifra.
E tale disposizione localizza - a livello di legislazione regionale siciliana, applicabile ratione loci nel giudizio a quo - nell'art. 3 della l. n. 19/1989 e nell'art. 23 della l.n. 35/1990.
1.2. Sul duplice presupposto che analoga disposizione - determinativa dei compensi in questione con previsione di "importi minimi sproporzionati ai carichi di imposta e per di più ragguagliati ad ogni articolo di ruolo" - si contenga anche nella legislazione nazionale e costituisca "principio fondamentale della materia", cui il legislatore siciliano sia tenuto ad attenersi (avendo nella materia stessa competenza ripartita) ex art. 117 Cost. e 132 d.P.R. n. 43/1988, la stessa Commissione estende poi l'impugnativa pure a detta normativa nazionale: individuata nel cumulativo disposto dall'art. 1 co. 7 della legge delega 1986 n. 657, dell'art. 61 d.P.R. 1988 n. 43 e dei decreti ministeriali di attuazione.
1.3. Con riguardo alla normativa regionale le censure si risolvono in un dubbio di violazione degli artt. 3 (sotto il duplice profilo della irragionevolezza e disparità di trattamento tra contribuenti in relazione all'importo del tributo dovuto), 53, 97 della Costituzione.
Con riferimento alla normativa nazionale, si assumono violati - oltre l'art.3 (sotto l'ulteriore profilo di una disparità tra contribuenti in relazione all'elemento della rispettiva residenza in una od altra regione) e l'art. 97 - anche l'art. 76 Cost. (nella duplice prospettiva di un vizio di indeterminatezza, addebitabile alla legge di delega e di "eccesso" dalla medesima, ascrivibile alla "normativa di attuazione").
2. A fronte di questioni così (approssimativamente) prospettate - ed anche in ragione delle eccezioni preliminari al riguardo formulate dall'Avvocatura - il thema decidendum esige di essere puntualizzato e delimitato, in relazione agli eventuali profili di inammissibilità dall'oggetto o dei parametri della impugnativa.
2. A) In ordine all'oggetto.
A/l. Per quanto attiene alla normativa regionale.
A prescindere dalla considerazione che, per ciò che concerne la legge del 1990 la disposizione denunciata si contiene nell'art. 35 e non nell'art. 23, indicato dalla Commissione rimettente, va rilevato che le due leggi impugnate, del 1989 e del 1990, non costituiscono un combinato contesto ma la reiterazione (con minime varianti terminologiche) dell'identico precetto, in sequenza temporale [la seconda legge (n. 35/90) subentrando alla prima (n. 19/89) a partire dal 9 settembre 1990]: di talchè una soltanto delle due è evidentemente applicabile, ratione temporis, alla fattispecie.
Ora, poichè dall'ordinanza di rimessione risulta che l'eccezione di illegittimità era stata formulata dai ricorrenti con riguardo alla l. 19/89 e la Commissione, nel far proprio la sottesa questione, non ha contestato la correttezza di tale riferimento, può inferirsene che proprio la citata legge dell'89, nella prospettiva di quel Collegio, formi il precipuo oggetto della questione rilevante ai fini del decidere. Come del resto è confermato dalla testuale trascrizione, nel provvedimento di rinvio, dell'espressione < < per ogni articolo iscritto a ruolo>> che, nella sua letteralità, si rinviene (oltre che nell'art. 35 - peraltro ignorato dal giudice a quo - della legge n. 35/90) solo nell'art. 3 co. 3° della predetta legge n. 19/89 e non anche nel denunciato art. 23 della legge 35/90 che usa, al riguardo, la diversa dizione "per operazione".
Dal che appunto discende che unicamente le questioni relative alla prima delle due leggi indicate siano ammissibili, sotto il profilo della rilevanza nel giudizio a quo, mentre la denuncia dell'art. 23 della legge del 1990 (non applicabile alla fattispecie) è di per sè inammissibile, potendo al più valere (stante la già rilevata identità di contenuto tra l'art. 3 l.n. 19/89 e l'art. 35 - e non 23 - della legge n. 35/90) come mera sollecitazione del potere di annullamento conseguenziale di questa Corte, in caso di accoglimento delle questioni che precedono.
A/2. Quanto alla normativa statuale.
Va premesso che nè l'art. 1, n. 7 della l. 657/86 [che si limita a fissare canoni di trasparenza e congruità ai costi di gestione dei compensi in questione al fine di assicurare < < l'equilibrio economico della gestione], nè l'art. 61 del d.P.R. 43/88 [che, anche nel testo modificato dall'art. 13 della sopravvenuta l. 1987 n. 75, in sede determinativa del compenso stesso non va oltre la correlativa commisurazione percentuale, con previsione di un minimo ed un massimo non riferiti ai singoli articoli di ruolo, nè in concreto quantificati] contengono quindi la disposizione censurata: la quale compare, a livello nazionale, solo nel contesto dei singoli decreti ministeriali di attuazione, che fissano, per taluni comparti territoriali, minimi corrispondenti, per importo e criteri di riferimento, a quelli stabiliti per la Sicilia. E da ciò può direttamente inferirsi l'inammissibilità, sotto ogni profilo, della impugnativa in ordine alla suddetta normativa nazionale:
a) quanto alla legge n. 657/86 ed al d.P.R. 43/88, per aberratio ictus;
b) quanto ai decreti ministeriali, per l'intrinseca inidoneità di tali provvedimenti a formare oggetto del sindacato di legittimità.
E neppure potrebbe ipotizzarsi una sorta di ricaduta del contenuto di tali decreti sull'artico lato legislativo, perchè, la questione sarebbe, anche in tale prospettiva, comunque inammissibile per non essere consentita a fronte di un complessivo contesto normativo, risultante (in tesi) dalla combinazione di norme primarie e subprimarie, aggredire il segmento precettivo contenuto unicamente nelle seconde.
3. B) In ordine ai parametri evocati, pure fondata risulta infine la eccezione di inammissibilità relativa all'art. 97 Cost., la cui violazione effettivamente è stata solo apoditticamente enunciata e non autonomamente argomentata dal giudice a quo. Mentre, con riguardo all'art. 53 Cost., l'eventuale non pertinenza del correlativo richiamo va piuttosto verificata in sede di delibazione nel merito della questione (cfr. sent. 7/93).
4. Sfrondato dei sin qui rilevati profili (oggettivi e relazionali) di inammissibilità il quesito, cui questa Corte è chiamato a dare risposta, si riduce quindi a quello di legittimità della disposizione sub art. 3, co.3, l. Sicilia 1989 n. 19, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.
5. In questi termini, la questione è comunque, per ogni aspetto, infondata.
In primo luogo va esclusa in radice l'adombrata violazione dell'art. 53 Cost., atteso che con detto precetto - che attiene al momento sostanziale dell'imposizione, quanto alla individuazione del presupposto economico del tributo, (che deve appunto rispecchiare la capacità contributiva dell'obbligato) - non può collidere norma, quale è quella in oggetto, che ha riguardo solo al diverso e successivo aspetto della riscossione del tributo stesso (cfr. sent. 63/1982).
6. Nè, in relazione all'art. 3 Cost. la medesima disposizione può reputarsi irragionevole o discriminatoria.
In una fattispecie in cui il compenso per il concessionario del servizio di riscossione dei tributi è (senza contestazioni sul piano della legittimità) posto a carico del contribuente, che a quel servizio ha dato causa con il suo inadempimento all'obbligo di una veritiera e precisa denuncia, la prevista determinazione di tale compenso in misura percentuale del tributo (1%) con il contestuale correttivo di un prestabilito importo minimo (o 15.000) e massimo (o 300.000) è volta infatti a realizzare (con l'utilizzazione di un meccanismo necessariamente articolato in termini medi e forfettari) un opportuno ed effettivo ancoraggio della remunerazione al costo del servizio; contemporaneamente impedendo, per un verso, che, in caso di iscrizione di tributi di importo eccessivamente limitato (inferiore a o 1.500.000) la misura percentuale del compenso scenda al di sotto del livello minimo di remuneratività del servizio e, per converso, che, in caso di iscrizione di tributi di ammontare elevato (superiore a o 30.000.000) il compenso stesso salga notevolmente al di sopra della predetta soglia di copertura del costo della procedura.
Dal che l'evidente non irragionevolezza dell'obiettivo perseguito dalla norma impugnata: in linea, del resto, con i principi al riguardo enunciati dalla richiamata legge di delega, nel senso appunto della determinazione del compenso in discussione anche secondo criteri "di congruità ai costi medi del servizio, al fine di assicurarne l'equilibrio economico".
E resta, per l'effetto, anche esclusa l'ipotizzata discriminazione in danno del contribuente chiamato a corrispondere un compenso di importo in tesi superiore a quello del tributo iscritto in ruolo, proprio in ragione del riferito complessivo meccanismo di compensazione e bilanciamento di un tale inconveniente con il vantaggio (economicamente più rilevante e probabilmente anche statisticamente più frequente) del contenimento del compenso stesso entro il limite massimo, per singola voce, corrispondentemente stabilito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
- dichiara inammissibile le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 n. 7 della legge 4 ottobre 1986 n. 657 (delega al governo per la istituzione e disciplina del servizio di riscossione dei tributi), 61 del d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43 (istituzione del servizio di riscossione dei tributi) "e relativi decreti ministeriali di attuazione", sollevate in riferimento agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione con l'ordinanza della Commissione Tributaria di I grado di Catania in epigrafe indicata;
- dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 della legge della regione Sicilia 5 settembre 1990 n. 35 (istituzione e disciplina del servizio di riscossione dei tributi ed altre entrate) sollevata dalla stessa Commissione in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione;
- dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 n.3 della regione Sicilia 29 dicembre 1989 n. 19 (esercizio provvisorio del bilancio della regione per l'anno finanziario 1990) in riferimento all'art. 97 della Costituzione, di cui alla medesima ordinanza;
- dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 3 n.3 L. reg. 1989 n. 19, per contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, ivi pure sollevata.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/12/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 30/12/93.