SENTENZA N. 450
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), con le modificazioni ed integrazioni apportate dalla legge 11 ottobre 1990, n. 290, e della legge 2 aprile 1958, n. 322 (Ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai fini dell'accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza), promosso con ordinanza emessa il 16 febbraio 1993 dal Pretore di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra Barbieri Riccardo ed altri e la Cassa Nazionale di Previdenza e assistenza per gli Ingegneri ed Architetti, iscritta al n. 201 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di costituzione di Barbieri Riccardo ed altri nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 16 novembre 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni;
uditi l'Avv. Manlio Abati per Barbieri Riccardo ed altri e l'Avvocato dello Stato Carlo Carbone per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
l. Nel corso di un giudizio civile promosso da alcuni ingegneri ex dipendenti dello Stato e titolari di pensione di vecchiaia a carico del Tesoro contro la Cassa Nazionale di Previdenza e assistenza per gli Ingegneri ed Architetti, il Pretore di Reggio Emilia, con ordinanza del 16 febbraio 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6, nella parte in cui non prevede che l'esclusione dall'iscrizione alla Cassa e dall'obbligo conseguente di contribuzione "debba rimanere anche per gli ingegneri ed architetti che, già iscritti a forme di previdenza obbligatoria a seguito di un rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con lo Stato o sue aziende autonome, abbiano conseguito la pensione di vecchiaia per raggiunti limiti di età e non possano fruire, per la successiva attività professionale, di supplemento di pensione ex art. 6 legge 11 ottobre 1990, n. 290, siccome statuito da Corte cost. n. 259 del 1992".
Ad avviso del giudice remittente, nel caso in esame non ricorre la ratio decidendi sottesa alla citata sentenza di questa Corte, che ha dichiarato infondata la medesima questione in considerazione della possibilità per i ricorrenti di far valere le contribuzioni versate al fine di ottenere un supplemento di pensione mediante ricongiunzione presso l'ente erogatore, ai sensi dell'art. 6 della legge n.290 del 1990. Tale possibilità non sussiste per gli odierni ricorrenti, iscritti alla Cassa dopo il collocamento in quiescenza come dipendenti statali, essendo l'istituto del supplemento di pensione sconosciuto all'ordinamento pensionistico del settore statale, come ha precisato la circolare 13 marzo 1992, n. 24, del Ministero del tesoro.
Pertanto la questione viene riproposta limitatamente alla categoria dei liberi professionisti titolari di pensione a carico dello Stato, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., perchè la norma impugnata impone loro un onere di contribuzione senza il corrispettivo della maturazione di un diritto alle prestazioni della Cassa e non correlato a una situazione di bisogno.
In subordine, qualora la Corte non intendesse discostarsi dalla precedente statuizione, l'ordinanza di rimessione impugna l'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 322 "nella parte in cui non prevede la possibilità di supplemento di pensione per i liberi professionisti che, collocati in quiescenza per raggiunti limiti di età a seguito di un rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con lo Stato o sue aziende autonome, successivamente esercitino in modo continuativo attività libero-professionale con iscrizione obbligatoria alla Cassa convenuta".
2. Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti i ricorrenti aderendo alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione concludendo nei medesimi sensi.
Le parti costituite ribadiscono che per il libero professionista pensionato statale è esclusa la possibilità di richiedere la ricongiunzione all'ordinamento del settore statale, ai fini del diritto e della misura di un'unica pensione, in quanto la cessazione del rapporto presso le amministrazioni statali comporta anche la definizione della posizione previdenziale, sicchè non esiste la possibilità di liquidazione di un supplemento di pensione dopo la concessione del trattamento di quiescenza.
3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che sia dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, quinto comma, della legge n. 6 del 1981, e inammissibile quella, proposta in via subordinata, in relazione alla legge n. 322 del 1958.
L'interveniente osserva che ratio decidendi fondamentale della sentenza di questa Corte n. 259 del 1992 è il carattere solidaristico della Cassa di previdenza per gli ingegneri e gli architetti, e che tale carattere non è stato essenzialmente modificato dai limiti introdotti della legge n.290 del 1990 alla possibilità di ottenere il rimborso dei contributi versati da parte di coloro che cessino dall'iscrizione alla Cassa senza aver maturato il diritto alla pensione o da parte dei superstiti.
L'altra questione, formulata in via subordinata e condizionata, è inammissibile sia perchè la legge censurata non ha alcuna attinenza con i supplementi di pensione, il cui divieto per i pensionati statali va semmai ricercato all'interno dell'ordinamento pensionistico dello Stato, sia perchè è irrilevante ai fini del giudizio a quo ove si controverte dell'obbligo dell'iscrizione alla Cassa degli ingegneri e degli architetti.
Considerato in diritto
l. La questione di legittimità costituzionale dell'art.21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6 - nella parte in cui non conserva l'esclusione dall'iscrizione alla Cassa di previdenza per gli ingegneri e gli architetti dei professionisti titolari di pensione a carico di una forma di previdenza cui erano obbligatoriamente iscritti in dipendenza di una pregressa attività di lavoro subordinato o autonomo - già dichiarata non fondata da questa Corte con sentenza n.259 del 1992, è riproposta, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dal Pretore di Reggio Emilia limitatamente agli ingegneri e agli architetti collocati in quiescenza a carico del Ministero del tesoro in seguito alla cessazione di un pregresso rapporto di impiego con lo Stato o con un'azienda autonoma statale.
2. La questione non è fondata.
Essa è stata riformulata, nel limite indicato, sulla base di una non corretta valutazione della ratio decidendi della sentenza citata, ritenuta dal giudice remittente essenzialmente dipendente dall'art. 6 della legge 11 ottobre 1990, n. 290, che agli ingegneri e agli architetti titolari di pensione (non solo di anzianità, come previsto per tutti i liberi professionisti dall'art. 1, comma 5, della legge 5 marzo 1990, n. 45) a carico di altro istituto previdenziale attribuisce la facoltà di utilizzare la successiva contribuzione alla Cassa di previdenza della professione per ottenere un supplemento di pensione mediante ricongiunzione presso l'ente erogatore. Posto che allo Stato erogatore delle pensioni ai propri ex dipendenti non convengono nè la qualifica di ente pubblico, nè quella di istituto previdenziale, si argomenta che il diritto di ricongiunzione non è concesso agli ingegneri e agli architetti titolari di pensione a carico dello Stato (cfr. circolare 13 marzo 1992, n. 24, del Ministero del tesoro).
Perciò, conclude l'ordinanza di rimessione, in relazione a questi professionisti la questione di legittimità costituzionale dell'obbligo di iscrizione alla Cassa deve reputarsi fondata alla stregua della stessa sentenza n. 259 del 1992.
In realtà, nell'economia della decisione l'argomento tratto dal citato art.6 è affatto secondario e condizionato dalla particolarità della fattispecie concreta. La ratio decidendi è data autonomamente dal principio solidaristico, cui è improntato anche il sistema previdenziale degli ingegneri e degli architetti dopo la riforma del 1981, che ne ha corretto il carattere individualistico derivante dal criterio di mutualità temperando le esigenze del singolo a favore della solidarietà di gruppo. Tale principio impone a tutti coloro che esercitano continuativamente la libera professione (non cumulata con una diversa attività di lavoro comportante l'iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria) il dovere di contribuire all'onere finanziario della previdenza di categoria in proporzione del reddito professionale, senza riguardo alle condizioni individuali di concreta possibilità di maturazione del diritto alle prestazioni della Cassa.
É rimessa alla discrezionalità del legislatore la misura del contemperamento di questo principio con l'interesse dei singoli mediante il riconoscimento, a certe condizioni, del diritto al rimborso dei contributi in caso di cessazione dall'iscrizione alla Cassa (in seguito a cancellazione dall'albo) senza avere maturato i requisiti del diritto alla pensione. Il ius superveniens portato dal nuovo testo dell'art. 20 della legge del 1981, introdotto dall'art. 15 della legge n. 290 del 1990, non ha fatto venir meno questo momento conciliativo tra i due ordini di esigenze, ma lo ha ridefinito in termini più restrittivi secondo criteri che non possono dirsi irrazionali.
3. Nell'ipotesi di libero professionista titolare di pensione a carico di altro istituto previdenziale la restrizione delle condizioni per ottenere il rimborso dei contributi versati alla Cassa di previdenza per gli ingegneri e gli architetti è compensata dal diritto a un supplemento di pensione previa ricongiunzione presso l'ente erogatore, previsto dall'art. 6 della medesima legge n. 290 del 1990.
Poichè obbligato a corrispondere il supplemento è un soggetto (terzo) diverso dalla Cassa, questa norma non inserisce formalmente un elemento di corrispettività nell'obbligo di contribuzione alla Cassa: essa presuppone tale obbligo, non già ne costituisce la ragione fondante nell'ambito del concetto di mutualità. Nella motivazione della sentenza n. 259 del 1992 essa fornisce soltanto un argomento ad hominem, che mette in evidenza come, nel caso allora controverso, l'assunto dei ricorrenti di essere obbligati a contribuire alla Cassa pur nella certezza di "assoluta inutilità e gratuità" dell'obbligo, fosse, oltre che non producente in diritto, inesatto in fatto.
Perciò non si fa buon uso del ragionamento a contrario convertendo tale argomento in un argomento di illegittimità costituzionale dell'art. 21, quinto comma, della legge n. 6 del 1981, nella parte in cui non esclude dall'obbligo di iscrizione alla Cassa i professionisti che, essendo stati collocati in quiescenza in virtù di un cessato rapporto di impiego con lo Stato, non possono accedere al beneficio del supplemento di pensione. I due argomenti non sono legati da una relazione biunivoca di specularità.
4. La discriminazione operata dall'art. 6 della legge n.290 del 1990 (destinata a cadere con l'assunzione dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato da parte dell'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, prevista dall'art. 2, comma 2, del d.l. 19 ottobre 1993, n. 416) potrebbe semmai suscitare, alla stregua del principio di eguaglianza, una questione di legittimità costituzionale diretta ad estendere agli ingegneri e agli architetti di cui è causa il diritto di ricongiunzione della contribuzione successiva.
In questa prospettiva si colloca, alla fine dei conti, lo stesso giudice a quo, il quale formula la questione ora ipotizzata in linea di alternativa subordinata all'eventualità di conferma della precedente giurisprudenza di questa Corte. Ma, a parte l'erronea identificazione della norma impugnanda nell'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 322, la questione è irrilevante per la decisione del giudizio principale, nel quale tra i ricorrenti e la Cassa di previdenza per gli ingegneri e gli architetti si controverte esclusivamente dell'obbligo di iscrizione alla Cassa imposto dall'art. 21, quinto comma, della legge n. 6 del 1981 anche ai liberi professionisti titolari di un trattamento pensionistico a carico dello Stato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Reggio Emilia con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 322 (Ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai fini dell'accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal nominato Pretore con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 20/12/93.