Sentenza n. 259 del 1992

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SENTENZA N. 259

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 21, comma quinto, della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), promosso con ordinanza emessa il 20 novembre 1991 dal Pretore di Modena nel procedimento civile vertente tra Bursi Romano ed altri e Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri e gli architetti liberi professionisti, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di costituzione di Bursi Romano ed altri, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1992 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'avvocato Mattia Persiani per Bursi Romano ed altri e l'Avvocato dello Stato Carlo Bafile per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio civile promosso dall'ing. Romano Bursi e altri contro la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per gli ingegneri e gli architetti, il Pretore di Modena, con ordinanza del 20 novembre 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6, nella parte in cui non esclude dall'obbligo di iscrizione alla Cassa, oltre agli ingegneri e architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di altra attività di lavoro subordinato o autonomo, anche coloro che esercitano la libera professione essendo già titolari di un trattamento pensionistico derivante dalla pregressa iscrizione a una forma di previdenza obbligatoria.

Ad avviso del giudice remittente la disposizione impugnata viola l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo del principio di eguaglianza perchè discrimina ingiustificatamente i liberi professonisti in base alla circostanza che siano o no titolari di trattamenti pensionistici erogati da una forma di previdenza obbligatoria, imponendo ai primi un onere non previsto da nessun altro sistema previdenziale per i lavoratori autonomi, sia sotto il profilo del principio di ragionevolezza perchè fa sorgere l'obbligo di iscrizione alla Cassa (fino a questo momento vietata) proprio quando ne viene meno qualsiasi finalità previdenziale per effetto della materiale impossibilità di maturare il diritto alle prestazioni della Cassa, e in assenza di uno stato di bisogno, stante il godimento di altro trattamento pensionistico.

Sarebbe conseguentemente violato anche l'art. 38 Cost. perchè la norma in esame impone un obbligo di contribuzione previdenziale sine causa, non correlato con le situazioni di bisogno prese in considerazione dal legislatore costituente. La mancanza di corrispettività si sarebbe aggravata in seguito alla legge 11 ottobre 1990, n. 290, che ha fortemente ridotto la possibilità di ottenere il rimborso dei contributi.

2. Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti i ricorrenti sostenendo la fondatezza della questione con argomentazioni che riprendono, sviluppandoli e integrandoli, i motivi dell'ordinanza di rimessione. La posizione delle parti private è stata ulteriormente illustrata in un'ampia memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione.

In particolare si fa osservare che qualsiasi confronto con la legge sulla previdenza forense, al fine di argomentare la natura solidaristica, piuttosto che mutualistica, della previdenza per gli ingegneri e gli architetti, è precluso dal rilievo che la questione investe una norma del tutto estranea al sistema previdenziale forense, nel quale vige la regola dell'iscrizione obbligatoria alla Cassa di tutti gli iscritti agli albi di avvocato e di procuratore.

3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione, soprattutto sul riflesso dell'erroneità della premessa di fondo da cui muove il giudice a quo, il quale attribuisce natura mutualistica al sistema previdenziale per gli ingegneri e gli architetti, malgrado la chiara omogeneità della legge n. 6 del 1981 col modello della legge n. 576 del 1980 sulla previdenza forense.

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Modena ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6, "nella parte in cui non esclude, quanto meno a partire dalla data di entrata in vigore della legge 11 ottobre 1990, n. 290, l'iscrizione alla loro Cassa di previdenza degli ingegneri e degli architetti liberi professionisti che, per essere stati iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria, siano titolari di pensione, o quanto meno di quelli che, per essere stati collocati a riposo per raggiunti limiti di età o comunque per raggiungimento dell'età pensionabile, godano di pensione di vecchiaia o di altro analogo trattamento di quiescenza".

2. La questione non è fondata.

Secondo la premessa di fondo, da cui muove il giudice a quo, le sentenze nn.132 e 133 del 1984 di questa Corte, dopo avere qualificato il sistema previdenziale forense come appartenente al tipo solidaristico, avrebbero "espressamente affermato che opposta soluzione è stata adottata dal legislatore per la previdenza degli ingegneri e degli architetti, da ricondursi dunque ad un sistema di tipo essenzialmente mutualistico". Da tale premessa viene argomentato un giudizio di irrazionalità della norma impugnata, in quanto impone un obbligo di contribuzione non correlato a un rischio proprio dell'iscritto alla Cassa.

Va rilevato in contrario che l'"opposta soluzione" constatata dalla sentenza n. 133 nella legge n. 6 del 1981, confrontata con la legge n. 576 del 1980, non riguarda la scelta tra l'uno o l'altro tipo di sistema previdenziale, ma soltanto la questione particolare dell'obbligatorietà o meno di iscrizione alla rispettiva Cassa di previdenza dei professionisti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria. La regola di obbligatorietà incondizionata, stabilita dalla sola legge sulla previdenza forense (mentre per i professionisti delle altre categorie l'iscrizione alla Cassa, nella detta situazione, è facoltativa o addirittura vietata), non ha impedito alla sentenza n. 132 di "negare risolutamente che le altre previdenze concernenti professioni intellettuali possano qualificarsi di tipo mutualistico" (cfr. pure ord. n. 667 del 1988).

Invero la distinzione tra sistema "mutualistico" e sistema "solidaristico" contrappone due tipi ideali, i cui elementi si trovano mescolati in gradazioni diverse nella realtà normativa. Come hanno precisato le sentenze nn. 1008 del 1988 e 99 del 1990, nei sistemi previdenziali per i liberi professionisti il principio di solidarietà non si sovrappone al principio mutualistico, ma funge da correttivo mitigando il criterio di proporzionalità delle prestazioni ai contributi versati nella misura occorrente per assicurare a tutti gli appartenenti alla categoria mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, giusta il precetto dell'art. 38 Cost.

La sentenza n. 108 del 1989 ha poi chiarito che, secondo la ratio peculiare sottesa all'art. 21, quinto comma, della legge n. 6 del 1981, il senso del divieto di iscrizione alla Cassa degli ingegneri e architetti affiliati ad altre forme di previdenza obbligatoria non è tanto quello di esonerare questi professionisti dal vincolo della solidarietà di categoria, quanto l'intendimento di impedirne un'applicazione distorta con pregiudizio per gli equilibri finanziari della Cassa.

D'altra parte, più che confronti con i sistemi previdenziali di altre categorie professionali, dei quali questa Corte ha ripetutamente riconosciuto la reciproca autonomia, conviene istituire, all'interno del sistema di previdenza in esame, un confronto tra la condizione dei ricorrenti e quella dei professionisti titolari di pensione a carico della Cassa. La pretesa dei primi di essere esentati dall'obbligo di iscrizione alla Cassa implica una discriminazione, di cui non si vede una ragione giustificatrice, a sfavore dei secondi, ai quali l'art. 9, secondo comma, della legge impone l'obbligo di rimanere iscritti continuando a versare il contributo di cui al primo comma.

3. Il giudice a quo obietta che i primi si trovano gravati da un obbligo di contribuzione di cui è "certa l'assoluta inutilità e gratuità", essendo praticamente esclusa, a ragione dell'età, "la possibilità di acquisire il diritto alle prestazioni della Cassa", e senza nemmeno la certezza di poter ottenere - essi o i loro eredi - la restituzione dei contributi versati, atteso che l'art. 20 della legge n. 6 del 1981, nel nuovo testo sostituito dall'art. 15 della legge 11 ottobre 1990, n. 290, ha limitato il diritto al rimborso a coloro che cessano dall'iscrizione alla Cassa avendo compiuto almeno sessantacinque anni e, in caso di morte, ai soli superstiti indicati all'art. 7 (coniuge o, in sua mancanza, figli minorenni o maggiorenni inabili a lavoro).

L'obiezione non è proponibile dopo la legge ora citata del 1990, il cui art. 6 qualifica il rapporto assicurativo di iscritto che goda di trattamento pensionistico a carico di altro istituto previdenziale come titolo "a liquidazione di supplemento di pensione mediante ricongiunzione presso l'ente erogatore". La disposizione - avente natura di lex specialis rispetto alla norma generale dell'art. 1, comma 5, della legge 5 marzo 1990, n. 45 - non ripete la specificazione che in quest'ultima restringe il diritto a supplemento ai professionisti titolari di una pensione di anzianità, nè contiene alcun rinvio ad essa. Si deve ritenere perciò che l'art. 6, della legge n. 290 del 1990 sia applicabile anche ai ricorrenti, titolari di pensione di vecchiaia a carico di altro istituto previdenziale.

Non solo essi possono utilizzare il periodo assicurativo successivamente maturato presso la Cassa per chiedere un supplemento di pensione, analogamente ai pensionati della Cassa ingegneri che continuano l'esercizio della professione, ma - come è stato osservato in sede di votazione dell'art. 6 della legge n. 290 del 1990 (Camera dei deputati, X legislatura, Commissione XI, seduta del 25 luglio 1990, pag. 129) - questa norma, diversamente dall'art. 2, ultimo comma, della legge n. 6 del 1981, relativo ai pensionati a carico della Cassa, prevede la liquidazione del supplemento mediante ricongiunzione presso l'ente erogatore, sebbene non sia più in atto una posizione assicurativa presso tale ente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.21, quinto comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Modena con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/06/92.